venerdì 27 novembre 2020

Il succiacapre.

 

                                     

    Il succiacapre è un uccello notturno più o meno della grandezza di un merlo il quale, secondo un’antichissima tradizione, succhierebbe il latte dalle mammelle delle capre o pecore, come sembra attestare il nome stesso.  In realtà l’uccello frequenta le greggi e gli ovili in cerca degli insetti che si annidano nel vello di questi animali e negli ovili.  La tradizione è riferita, con qualche variante, dagli scrittori latini Plinio (I sec. d.C.) e Eliano (II-III sec. d. C.),  Quest’ultimo scrive in lingua greca e usa per “succiacapre” il termine aigi-thl-as che letteralmente significa proprio ‘succia-capre’, da gr. aiks ‘capra’ e radice del verbo gr. thēl-áz-ein ‘allattare, poppare, succhiare’.  Il caso vuole che in greco esista anche il composto aigí-thāl-os o aigí-thāll-os ‘cinciallegra’, parola che sembra fatta apposta per innescare una evidente etimologia popolare del suddetto aigi-thl-as ‘succiacapre’. 

     In latino il termine per questo uccello era capri-mulg-u(m) ‘caprimulgo, succiacapre, capraio’, dal lat. capr-a(m) ‘capra’ più la radice del verbo mulg-ēre ‘mungere’.  Allora l’it. succiacapre potrebbe considerarsi una traduzione diretta del termine latino? Io propendo a credere che anch’esso sia il prodotto di incroci, ma lascio ad altri la possibilità di provarlo in qualche modo. Intanto faccio notare che esistono altri nomi greci preceduti dalla radice indicante la capra come 1) aigo-thl-as ‘succiacapre’, variante usata da Aristotele del suddetto  aigi-thl-as ‘succiacapre’; 2) aigí-oth-os ‘fanello’, variante di aigi-th-os ‘fanello’; 3) aig-ōli-όs ‘strige (uccello notturno)’.  Ora è legittimo chiedersi cosa c’entri questa capra in questi vocaboli: a mio avviso nulla.  Oppure c’entra, ma col suo probabilissimo significato preistorico di ‘animale’ o anche ‘uccello’ presente tautologicamente anche nelle altre componenti. A toglierci dalla mente l’immagine ossessiva della capra (gr. aík-s) ci può aiutare l’altro suo significato di ‘onda tempestosa’ che ci riporta, secondo me, all’idea originaria di fondo “spinta, forza, ecc.”. Anche la componente -thāl(l)-os, ad esempio, rimanda ad una radice col significato di ‘germogliare, fiorire’ o di ‘ramoscello, germoglio’.  Si tratta, nel fondo, di un significato generico di ‘forza, crescita, spinta, anima, animale’ che, nel corso della lunga vita della parola, si può specializzare in vario modo.  Lo stesso gioco di significati si ritrova, ampliato, nel gr. mόskh-os ‘ramoscello, pollone, vitello, giovenca, fanciullo, fanciulla, rondinino’ ma anche ‘muschio’, parola che ritorna all’idea di “vegetazione, erba” e simili. Secondo me anche l’it. mosca fa parte del gruppo  insieme ad it. mosc-ardo ‘sparviere’ ma anche ‘falco cuculo’ e ‘pigliamosche’.  La componente –ardo richiama il lat. arde-a(m) ‘airone’.

    La seconda componente del suddetto  gr. aig-ōli-όs ‘strige’ riappare in altri vocaboli indoeuropei come gr. ele-όs ‘sorta di uccello notturno’, nel lat. ul-ul-a(m) ‘civetta’ (così chiamata, a mio avviso, non a causa del suo verso), ingl. owl ‘gufo,civetta’, ted. Eule ‘civetta, gufo, barbagianni’.  Il barba-gianni è noto, non ricordo in quale dialetto, come Ian (Gianni) loli, il cui secondo appellativo –oli fa parte di questa serie che sto elencando, a cui appartiene anche l’it. all-occo, dal tardo lat. al-uc-u(m), ul-uc-u(m), ul-ucc-u(m). Serie considerata dai linguisti, a mio avviso erroneamente, composta da parole onomatopeiche con la radice ul di lat. ul-ul-are ‘urlare’, ad esempio.  Ma basta gettare uno sguardo al sopra citato gr. aig-ōli-όs ‘strige’ per dissuadersene.  Oltre al fatto che io non credo nelle onomatopee, come ho dimostrato (penso) in un articolo presente nel mio blog.

    Non ho qui intenzione di inseguire i vari nomi dialettali del caprimulgo (nottola, nottolone, calca-botto, boccalone, ecc.) che certamente richiederebbero uno studio  dettagliato dei tanti ornitonimi tedeschi, inglesi, francesi, compresi quelli dialettali, ecc.  Mi accontento di aver individuato (senza presunzione) l’etimo del gr. aigi-thl-as ‘succiacapre’, termine che ci invita a cercare l’origine di questi nomi al di là dei loro significati superficiali che spesso sembrano fatti apposta per il loro referente, ma, caso strano, non lo nominano mai direttamente, cioè  indicando la sua natura di uccello o di animale.

    Per il lat. capri-mulg-u(m) ‘succiacapre, mungitore di capre’ mi limito a dire che dovrebbe  essere di qualche importanza la circostanza che in latino non esiste un sostantivo mulg-u(m) ‘mungitore’ indipendente dal precedente composto, la cui componente –mulg-u(m) si fa derivare dal verbo lat. mulg-ēre ‘mungere’: può quindi benissimo accadere che il significato superficiale di questa componente, cioè ‘mungitore’,  sia stato causato solo dall’ incrocio con la radice di lat. mulg-ēre ‘mungere’ di un precedente termine di altro significato, reinterpretato come ‘mungitore’ per etimologia popolare.  Faccio notare, inoltre, che la prima componente capri- potrebbe condividere il suo significato originario con il gr. kápr-os ’cinghiale’ ma anche ‘tipo di pesce’ detto anche, in forma diminutiva, kapr-ísk-os ‘caprisco’.  La seconda componente allora poteva contenere inizialmente  la parola lat. -mugil-e(m) ’muggine’, diventata *-mugl-e(m) attraverso la facile caduta della -i- postonica, e successivamente reinterpretata, per etimologia popolare, come *-mulg-u(m) ‘mungitore’ (ma, ribadisco, solo in questo contesto!) con la metatesi g/l.    Così il composto che forse indicava originariamente un tipo di pesce finì con l’assumere un significato del tutto diverso, fatto apposta, però, per designare l’uccello notturno del succia-capre, per il quale si tramandava, da lunga pezza (almeno dal tempo dei Greci), il singolare (ma falso) comportamento che ne faceva un vero e proprio succhiatore del latte di capre e pecore.

    La radice di lat. mugil-e(m) è messa in relazione da diversi linguisti col verbo latino e-mung-ĕre ‘soffiare il naso, spremere’, per via della viscosità di questo pesce.  Anche il verbo it. mung-ere sembra aver abbandonato la radice del lat. mulg-ēre ‘mungere’ a tutto vantaggio di quella del lat. e-mung-ĕre ‘soffiare il naso, spremere’. Così vanno le cose normalmente nella storia delle lingue: c’è sempre la possibilità che dietro l’angolo la fisionomia di una parola possa imprevedibilmente  mutare per l’influsso esercitato su di essa da altra parola omofona ma non omosemantica, influsso magari agevolato da circostanze che fanno sembrare accettabile e naturale il nuovo significato.