martedì 13 luglio 2021

Sicofante.

 


 

Il termine sicofante dal significato di ‘delatore, calunniatore’ ci viene direttamente dal greco syko-phántēs ritenuto di formazione chiara, ma di significato etimologico incerto. Il primo membro syko-, infatti, secondo tutti i linguisti sarebbe il gr. sk-on ‘fico’, mentre il secondo –phántēs sarebbe sostantivo con la stessa radice phan del verbo gr. phaín-ein ‘portare alla luce, mostrare, annunziare, ecc.’.

   Questo in effetti sembra tutto esatto, tanto è vero che un’antica interpretazione pensava che inizialmente si trattasse di fichi di contrabbando venduti fuori dell’Attica o solo rubati.  Anche se il sicofante nei tempi storici denunciava qualsiasi tipo di reato.  La parola assunse il valore dispregiativo di ‘calunniatore’, dato il comprensibile fiorire, nelle città greche a regime democratico come Atene, di numerosi falsi delatori i quali, in cambio di denaro, ritiravano le loro accuse.

    Ora, finchè la linguistica non riuscirà a capire il principio della tautologica, cardine della mia visione della Lingua, non si potranno avere in futuro che interpretazioni come la precedente; in pratica non si potrà superare l’impasse che dura sin dall’inizio per questa parola sicofante.

   La semplice verità è che nel primo membro syko- si è avuto un incrocio con altra radice per ‘dire, rivelare, parlare’ scomparsa dal vocabolario usuale greco, ma presente ad esempio nel latino arcaico difettivo in-sĕc-o, is ‘dire, narrare’, nel ted. sag-en ‘dire’, ingl. say ‘dire’, medio ingl. segg-en ‘dire’, ecc. 

   Il composto greco risulta quindi  normalmente tautologico essendo formato da due membri dallo stesso significato di ‘dire, rivelare’; sicchè all’inizio, prima che esso assumesse il valore dispregiativo di ‘calunniatore’ per il motivo suddetto, il suo dignificato era solo quello di ‘denunciatore, rivelatore’.

sabato 10 luglio 2021

Porco-bera, Gando-bera, Com-ber-anea.

 


  

Ritorno di mala voglia, dopo molti anni, a trattare di toponimi (in questo caso idronimi) i quali, non avendo in genere alcun significato certo, offrono facilmente  il fianco a interpretazioni diverse. 

   Gli idronimi liguri del titolo ci sono attestati in latino, i primi due si riferiscono ai torrenti  odierni di Polcé-vera e di Gandò-vere e vengono interpretati in questo modo: il primo significherebbe ‘portatore  (-bera)’ di ‘trote ‘ da una radice indoeuropea (cfr. lat. perc-am ’pesce persico’); il secondo significherebbe ‘portatore (-bera) di pietre, da una radice preindoeuropea gand ‘pietra’. La radice di –bera è quella di lat. ferre ‘portare’  L’ultimo idronimo viene inteso come ‘convogliatore’  (di  acqua), si tratterebbe, insomma, di un torrente formato da diversi affluenti che portano insieme le acque.  Ma questa definizione mi pare un po’ forzata, visto che probabilmente non esiste torrente che non abbia almeno piccoli affluenti. Ma anche il nome ‘portatore di pietre’ e l’altro ‘portatore di trote’ mi sembrano a questo punto alquanto improbabili, come se questi corsi d’acqua dovessero essere caratterizzati per forza dal fatto che portano o non portano qualcosa e mai dal fatto incontestabile che essi sono appunto dei corsi d’acqua.  E non si pensa che i loro nomi potrebbero essere nati in tempi preistorici lontanissimi da noi e anche tra loro stessi, per cui è possibile che il significato di superficie sia molto ingannevole.

    Un principio importante della mia linguistica è d’altronde    quello tautologico, che mi spinge a dare ai due composti lo stesso valore, in questo caso quello di ‘corso d’acqua, torrente, rio’.  Io credo infatti che il membro –vera (-bera) sia una variante della radice del fiume ligure Vara, nome preindoeuropeo presente persino nell’arabo bahr ‘fiume, lago, mare’.  Sono della partita anche il torrente Im-pero (Imperia) il quale, tutto intero, richiama il secondo e terzo membro lel  Let-im-bro (Savona), il lat. im-br-e(m)  ‘pioggia, acqua’, gr. όm-br-os ‘pioggia’, termine che trae in ballo i nomi dei fiumi Om-br-one e Am-bra in Toscana.  E pensare che ne I dialetti italiani[1] si sostiene che come Imperia è sorta nel 1923 dall’unione di due precedenti comuni anche “l’idronimo è di origine relativamente recente, perché sostituì nel sec. XVII-XVIII, in occasione delle guerre tra Francia e Impero austriaco, il più antico aqua Unelie (sec.XII).  Ora, io non so se questo sia vero, ma è anche probabile che esistesse da tempo immemorabile anche il nome Impero se è vero che in Wikipedia si pensa che probabilmente il nome risalga al tempo degli antichi romani, quando il torrente, per un certo periodo, rappresentò il confine tra l’Impero romano e il territorio dei Liguri.  Anche qui si fa una supposizione errata, secondo me, perché l’origine del nome deve essere preistorica, ma almeno la si pone in forma dubitativa. I corsi d’acqua in antico potevano avere molti nomi a seconda di paesi che incontravano, come il fiume Liri, ad esempio.

   Per l’idronimo Gando-bera  e le sue false pietre  è bene tenere presente il rio Cant-ar-ena (Genova) il cui secondo e terzo membro ricompare nel torrente Ar-ena del paese di Favaro di Mal-varo-Ge. Mal-varo è il nome del torrente del paese, nome in cui riappare la radice del torrente Vara.

  C’è  anche il torrente Gand-olfi (Genova) e il torrente Centa (Albenga).  Il nome Com-ber-anea significa quindi nient’altro che ‘corso d’acqua’ con un prefisso corrispondente formalmente al lat. cum ‘con’ ma in realtà col valore originario di ‘acqua, torrente’, come nel gr. kma ‘onda’, gr. khema ’versamento’, ant. ind. homa ‘versamento’ e forse lago di Como. Si continua con torrente Br-an-ega (Genova), lago Br-uno (Genova), ted. Br-unn-en ‘fonte’.  Si continua con il torrente Pora (Savona), ingl. pour ‘piovere a dirotto, fluire, sgorgare, colare’, torrente Bόr-bera (Alessandria), torrente Bόr-bore (Asti) con radice raddoppiata, rio Para  (Airole-Im), latino medievale buri-a(m)  ‘fonte’. 

  Diversi altri idronimi potrebbero essere interessanti soprattutto se si conoscesse la microidronimia della regione, ma mi fermo qui.

   Aggiungo solo che nel dialetto ligure esiste il sostantivo femminile bera  ‘ruscello, canaletto’ che insieme alle voci béu, biu, bedo viene ricondotto ad un bedo-/bedu-  ‘fosso, canale’ di origine gallica. Ma a mio avviso nulla impedisce che bera ‘ruscello, canaletto’ sia quello di Gando-bera e di tutti gli altri.

   Per la componente Porco- di Porco-bera basta pensare a fonte dei Porci nella zona di Roccacasale-Aq. e al rio dei Porci nell zona di Domodossola in Piemonte.  Ma la cosa importante è costituita dal termine calabrese pùrchia ‘fonte di acqua sorgiva’[2] affiancato dal nuorese porcu de abba ‘sorgente’, che letteralmente sarebbe ‘porco d’acqua’ ma originariamente qui  porcu  doveva significare qualcosa come ‘getto, sorgente’.

    Interessantissimo , per capire la natura della Lingua, è il verbo dialettale calabrese porchi-are[3],  sicil. im-purchi-ari, pugliese im-brucchi, camp. prucchi-à ‘accestire’, cioè emettere dei getti, polloni, gemme. Nel calabrese significava anche ‘partorire (delle scrofe e delle pecore)’.  La spiegazione data ne I dialetti italiani sopra citato è la seguente:” Dal latino parlato *porculāre ‘produrre come una scrofa’ da porcula’porcella’. Il significato di accestire è dunque secondario rispetto a quello di ‘partorire (della scrofa)’”.  Ma è l’esatto contrario!!! Le cose sono andate in altro modo: esisteva un significato generico della radice che possiamo indicare come ‘spinta, getto, emissione’ come è dimostrato da quanto detto sopra e dal termine calabrese simile purchia ‘fonte di acqua sorgiva’,  il quale si specializza variamente in quello dell’accestire, del gettare delle piante, in quello di partorire delle scrofe (dato l’incrocio col lat. porc-ul-a(m) ‘porcella’), ma anche delle pecore, e in quello di ‘prorompere, scaturire (dell’acqua)’.  Inoltre il verbo in calabrese significava anche ‘mettere un animale lattante alla poppa di un animale che non è la madre’, molto probabilmente perché *porchia, *purchia aveva assunto in qualche dialetto il significato di ‘poppa’, la quale è un rigonfiamento simile a quello della gemma di una pianta (anche se naturalmente più grosso) e del lat. porc-a(m) ‘rialzo di terra, tra solco e solco’.

   Un’ultima osservazione. E’ molto probabile, a mio avviso, che il verbo greco pro-khé-ein ‘versare, effondere, spargere’, formato dalla preposizione pro- ‘avanti’ e  dal verbo khé-ein ‘versare, effondere, spargere’, sia la reinterpretazione di un precedente verbo con una radice simile a quella di pork- di cui si parla, reinterpretazione causata dalla tendenza della Lingua a specializzare una radice e a renderla in apparenza più chiara. Il gr. pro-khόē nel vocabolario del Rocci porta il significato di ‘sbocco, foce’, ma anche di ‘promontorio’ per via del significato di fondo di spinta, protuberanza, rigonfiamento’: di conseguenza il significato di gr. prό-kho-os ‘boccale’, da cui l’it. brocca, non è dovuto tanto al significato di ‘versare’ quanto a quello di ‘(oggetto) rigonfio, panciuto’.

    L’è tutto da rifare! era solito dire il grande ciclista Gino Bartali.

 



[1] Cortelazzo-Marcato, I diletti italiani, UTET Torino, 1998.

[2] Cfr.Aa Vv., Dizionario di Toponomastica , UTET Torino 1990,  sotto il lemma Motta Santa Lucia-Cs.

 

[3] Cfr. Cortelazzo-Marcato, cit.

giovedì 8 luglio 2021

Le bandijjòlë.

 


Ad Aielli ed altrove nella Marsica, a volte con varianti, le bandijjòlë sono le convulsioni che capitavano spesso ai bambini.  La forma nfandijjòlë  taglierebbe la testa al toro secondo i linguisti che perciò non esitano nemmeno un momento ad indicare il termine it. infante come origine dell’espressione, sicchè le convulsioni sarebbero quelle che prendono ai bambini. 

    Eppure mi pare che bambino dalle nostre parti si dica diversamente, come uajjulìttë o quatrànë, quatranéjjë, a non voler tener presente il principio della mia linguistica secondo cui le cose vengono in genere nominate dalla Lingua per quello che sono (in questo caso appunto convulsioni) e non in riferimento alle persone che ne soffrono. 

    Infatti la voce vind-aiùlë ‘convulsioni’ usata a Pescara e altrove ci illumina sul suo vero etimo che rimanda chiaramente alla radice di ted. wind-en ‘contorcere, avvolgere’, ted. Winde ‘argano, arcolaio, convolvolo’, abruzzese (nel Bielli) vinn-ëlë ‘arcolaio’ con normale assimilazione nd>nn.  Tutte le altre forme dialettali abruzzesi hanno subito l’influsso del termine italiano infante e hnno fatto credere che questo ne fosse l’etimo.  Anche il verbo ted. bind-en ‘allacciare, annodare’ dà un’idea di “avvolgimento”. La radice di questo verbo presenta la variante band ‘volume, fascia, cerchio’.

lunedì 5 luglio 2021

Caccavèlla.

 


E’ un altro nome del frutto della rosa canina, diffuso in Toscana, Umbria e Lazio, con alcune varianti come caccabèlla, cuccuvèlla[1]. Secondo il Cortelazzo il suo nome sarebbe dovuto al fatto che il frutto, nella forma, sembrerebbe una piccola pignatta, lat. caccab-us ‘pentola, paiolo’.  

    Ora, questa spiegazione non è di per sé errata, in quanto accosta il concetto di “rotondità” del frutto a quello speculare di “cavità” della pignatta.  Ma essa è, come dire, parziale perché non suppone affatto che la parola potrebbe spiegarsi come composta da due voci tautologiche se intesa come cacca-vèlla, con il primo membro corrispondente ai numerosi termini che ho citato nei due articoli precedenti su caca-vàscë ‘frutto della rosa canina’. 

    Esistono voci dialettali abruzzesi riportate dal Bielli quali cocca-vàllë, cucca-vàllë indicanti la ‘gallozzola della quercia’ che, rispetto all’altra voce balla-cucchë ‘gallozzola della quercia’, presentano i membri invertiti, dimostrando la loro indipendenza.  Ad Aielli-Aq la parola cucca-vèlla significa ‘pigna (frutto conico dei pini)’.  La componente –vèlla mi sembra variante di –valle e credo che possa richiamare, ad esempio, il ted. Welle ‘onda’, in quanto rotondità, rigonfiamento.  Intendiamoci! La parola caccavèlla potrebbe spiegarsi benissimo come fa il Cortelazzo, ma nel contempo non si può trascurare la soluzione da me proposta, che ricollega il termine alla radice caca nel senso di frutto rotondeggiante, la quale è anche la base, nel contempo, del lat. caccab-u(m) ‘pentola’ e delle rispettive parole dialettali come càccamë ‘recipiente da cucina’.A Milano la rosa canina è chiamata Rosa bella e non credo che chi pose per primo quel nome volesse dare un giudizio estetico del frutto.

 

   La spiegazione delle parole è spesso più complicata del previsto, a causa del significato d’origine genericissimo delle radici.  Non è detto che queste voci che fanno riferimento ai frutti rotondeggianti non indicassero, nei primordi, la pianta stessa che li produce, sia essa un’erba, un frutice o un albero vero e proprio, concetti a mio avviso da riportare tutti a quello di “protuberanza”: c’è un tardo latino cacabasia  che indica un tipo d’erba, termine riflesso in diverse voci dialettali come il ligure caga-bàsciu ‘solano nero’, marchigiano caca-bàscia ‘mercorella’, marchigiano cacca-basso ‘laureola’, in cui si resta un po’ incerti se  attribuire il nome alla pianta o ai frutti.

    Può succedere benissimo che un nome nato per indicare una pianta si incroci, dopo molto o poco tempo, con lo stesso nome che si è evoluto, autonomamente, ad indicare una rotondità, compresa quella del frutto.

  



[1] Cfr. Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani, UTET, Torino, 1998.

domenica 4 luglio 2021

Cake.

 


Nell’articolo precedente intitolato Cacchietella ho dimenticato di citare la parola più importante, direi: l’ingl. cake ‘torta, focaccia, crocchetta’ ma anche pezzo di sostanze dure e compatte’ come in cake of soap ‘saponetta’.  Si conferma così il significato della voce di Luco dei Marsi cacchia ‘pagnotta grossa e lunga’, da un presunto *cacula>*cacla> cacchia. L’antico ingl. era coec-el, non imparentato col lat. coqu-ĕre ‘cuocere’ come una volta si credeva.  Nel dialetto di Gallicchio-Pt la voce cac-όnë non significa ‘uomo pavido’ o ‘che defeca spesso’ come nei nostri dialetti, ma, a sorpresa, ‘uomo molto robusto’, significato che avrà a che fare  con una idea di “massa, compattezza” riferita alla persona stessa ben messa e solida, oppure riferita ai muscoli: in questo caso potrebbe avere qualcosa in comune con lo spagn.(familiare) cachas ‘ben messo, muscoloso’.

    Sempre a Gallicchio cacarόnë significa ‘chi va spesso di corpo’ o ‘persona paurosa’.

giovedì 1 luglio 2021

Cacchietèlla.

 

   

Ad Avezzano il termine indica una torta pasquale a forma di gallina con un uovo sodo sulla pancia. Il nome indica anche piccole ciambelle[1].  A Trasacco la cacchiëtèlla o cacchiarèlla è una pizza rustica cotta sotto il coppo sul ripiano del camino[2]. A Luco dei Marsi càcchia significa ‘pagnotta grossa e lunga’, ma anche ‘cavallo dei pantaloni’, mentre cacchiëtèlla e cacchiètta  valgono ‘pagnotta più piccola’[3]. In Toscana la cacchiatella è un ‘piccolo panino’

    Ora io credo che queste parole presuppongano una forma iniziale *caccola, *caccula, *cacalë, e simili, col significato generico di ‘protuberanza, rotondità’, significato già da me individuato per l’it. caccola e sue varianti dialettali.  Anzi questi termini sono la prova della bontà di quanto sostenevo, in concorrenza con l’etimo usuale che riconduce il termine alla radice di it. cacca.

    Che la forma iniziale sia caccola e simili, me lo conferma sicuramente il fatto che la cacchietèlla  di Avezzano è a forma di gallina. Ora esistono nei nostri dialetti verbi come cacalïà, cachëlëjà, cachilïà[4] ‘schiamazzare della gallina che ha fatto l’uovo’, i quali sono quasi uguali al verbo ingl. cackle ‘chiocciare, far coccodè, schiamazzare, ciarlare’, all’abr. cacajjë ‘balbuziente, al lucano di Gallicchio cacaglià ‘balbettare, tartagliare’ e al fr. cacaill-er ‘balbettare’.  A mio parere doveva esistere anche un termine *cackle ‘gallina’, parallelo in qualche modo all’ingl. coq ’gallo’.  Quindi la torta pasquale  a forma di gallina, con l’uovo sodo in mezzo, non doveva essere frutto di pura invenzione, ma doveva essersi incrociata  con questi termini e forse anche con it. cacchi-one ‘uova di mosche ed altri insetti’.  I vocaboli che indicano cose o costumi tradizionali, attraggono a sé, più di altri, altre voci, le quali modellano a loro volta, con la loro influenza, l’uso stesso.

   Nel dialetto di Gallicchio-Pt il termine cacchiavόtë significa ‘giravolta, svolta veloce’. Il membro cacchia- è tautologico rispetto a vόtë ‘volta’, e indica quindi un ‘giro’ o qualcosa di simile, in sintonia col significato di fondo di caccola  e simili, come abbiamo visto.  A Trasacco-Aq càcchië vale ‘angolo formato da due rami di cui uno si diparte dall’altro.  Non importa se l’angolo suddetto sia anche acuto, perché il concetto stesso di “angolo” rientra in quello di “rotondità, curva”: cfr. gr. ánkyl-os ‘curvo, ricurvo’.

     A questo punto bisogna parlare anche dell’it. cacchio, getto, germoglio non fruttifero di una pianta’ fatto derivare dal lat. cat-ul-u(m) ‘cagnolino, piccolo animale’ che, nel tardo  latino, significò ‘tralcio’; si tratta  a mio avviso semplicemente di una variante dell’altra cac- che può essere accostata, come ho già detto in altro articolo, all’abruzzese cat-èllë ‘stanghetta del chiavistello’ che mi pare rifiuti l’accostamento al cagnolino e, se mai, rimanda al secondo membro dell’ingl. tip-cat ‘lippa’, in cui a mio avviso -cat  ripete il significato del primo membro tip- che di per sé significa ‘punta’ ma qui si riferisce al bastoncino appuntito usato nel gioco. 

   Il guaio dei linguisti è che, in questi casi, tirano dritto e non sospettano che si possa trattare di due radici simili, come cac- e cat-, essendo la prima piuttosto rara, nella forma caccola, in significati che non siano riconducibili alla radice di cacca.  Abbiamo visto però, che nella forma cacchia, la radice riprende vigore fino a significare ‘piccola ciambella’ ad Avezzano e ‘giro’ in cacchia-vόtë ‘giravolta’ nel dialetto di Gallicchio-Pt: una rotondità, dunque, che è improbabile che derivi dalla radice cat-.

   A Trasacco e altrove càcchie è naturalmente anche la forchetta ricavata da due rami divergenti, per farne un tipo di fionda e così si spiega anche la cacchia ‘cavallo dei pantaloni’ di Luco dei Marsi.  Sempre a Trasacco la parola indica il ‘membro virile’, in quanto simile ad una verga: in questo caso non può che derivare dal cat-ul-u(m) suddetto, per quanto non siano nulle le probabilità che derivi, in quanto protuberanza, dalla radice cac-.   Da questo si desume che l’it. cacchio non è nato come eufemismo di cazzo, ma inizialmente anch’esso indicava senza infingimenti la verga maschile: quando poi in italiano cazzo è diventato padrone assoluto, questa forma cacchio, che magari vivacchiava ai margini della lingua, è diventata automaticamente un eufemismo. Naturalmente a Trasacco esiste oggi anche la forma eufemistica cacchië, importata dall’italiano. La giostra degli avvicendamenti è inesauribile in ogni lingua.

  Il verbo ‘ngacchiàrsë in vari dialetti ha assunto il significato di ‘unirsi sessualmente’, sia di uomini che di animali: significato che può essere scaturito da quello di ‘avvinghiarsi, avvolgersi, annodarsi’ dato che a Gallicchio cacchiόlë vale ‘annodatura ingarbugliata’.   O sarà bastata la semplice immagine di due rami che si uniscono a generare il significato.  Il verbo scacchià, scacchiarsë , con la –s-esprimente il contrario, indica il divaricarsi di due cose, fino magari a spezzarsi: mo’ të scacchië cumma na ranocchia ‘adesso ti spezzo come una rana’. Nu scacchië de saucìccia significa un pezzo, un rocchio di salsiccia.

    In questa girandola di parole e significati è sempre possibile qualche svista, ma l’idea concreta che se ne ricava è una concezione della parola non sclerotizzata intorno ad un unico  significato di origine, ma naturalmente aperta ad una diversità di significati.

  

  

     



[1] Cfr. Buzzelli-Pitoni, Vocabolario el dialetto avezzanese, 2002.

 

[2] Cfr Q. Lucarelli, Biabbà A-E, Grafiche Di censo, Avezzano-Aq, 2003.

 

[3] Cfr. G. Proia,La parlata di luco dei Marsi, Grafiche Cellini, Avezzano-Aq 2006.

 

[4] Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A. Polla editore, Cerchio-Aq, 2004.