venerdì 25 settembre 2020

Riflessi etimologici, su alcuni toponimi, dell’analisi lessicale da me fatta nei due articoli precedenti.

 


      Premetto che l’analisi etimologica dei toponimi è sempre piuttosto aleatoria rispetto a quella lessicale, dato che essi costituiscono di per sé nomi senza un significato, tranne quello  che noi loro attribuiamo. 

      Ora, partendo dalla  radice bell-, bill-, pill-, di cui ho parlato negli articoli precdenti si può, a mio parere, indicare un etimo probabilmente vero del nome del paese di Piglio-Fr, situato su uno sperone del monte Scalambra.  Nel Dizionario di toponomastica[1]  si riporta l’ipotesi del linguista G. Pardi secondo cui il toponimo sarebbe derivato  dal lat. pilleus o pilleum ‘pileo, berretto di feltro semiovale o conico’ attraverso una metafora geomorfica «essendo un rialto tra due monti».  L’altra ipotesi di W. Schulze vuole che il nome  sia facilmente  riconducibile all’antico antroponimo lat. Pilius.

     Questi linguisti, come spesso avviene, volgono lo sguardo a qualcosa che non concerne la natura stessa del luogo su cui sorge il paese: il berretto conico o l’antroponimo ad hoc.  Ma in questo caso mi pare che  cada a fagiuolo il significato della detta radice bill-, pell-,pill-. ecc. che vale proprio ’punta, promontorio, sperone’, cioè la propaggine che si diparte dal monte Scalambra, su cui è appollaiato Piglio.  Anche  qui il nome indica direttamente la natura del suolo del paese, senza che si ricorra a metafore geomorfiche o all’antico antroponimo. Anzi, sono convinto  che il lat. pilleum o pilleus possa trarre la specializzazione di ‘(berretto) a punta’ dall’idea di cima, punta, protuberanza della radice in questione. Pertanto dò alla probabilità dell’antroponimo Pilius  solo 1 o 2 punti percentuali. Che la mia ipotesi sia giusta può confermarlo anche il primo nome del monte Pila Rocca a sud del paese. La forma iniziale del nome Piglio poteva essere anche semplicemente *Pil-um , diventato in dialetto prima Pije, con la normale palatalizzazione della –l- , e poi Piglio, allineato con i nomi italiani in –glio, come it. figlio, coniglio, artiglio e lo stesso it. piglio.

      Sempre nel Dizionario di toponomastica vengono dati sostanzialmente gli stessi etimi per il paese di Pèglio-Ps fatto derivare dal personale latino Pilius o Pellius o dal lat.pil(l)eus ‘elmo’, come metafora geomorfica. Il colle su cui sorge il paese non merita nemmeno uno sguardo da questi esimi linguisti.    Anche l’idea di colle   a mio parere rientra in quella sovraordinata di protuberanza  espressa anche dalla radice pill-, pell-, ecc., come abbiamo già visto.  Sempre nello stesso Dizionario si incontra un altro Pèglio-Co come pure Pèio-Tn per i quali si ripropongono i soliti personali latini o celtici.  Mentre bisognerebbe accostare la forma Pèio al secondo membro di it. male-ppeggio col valore di ‘punta, promontorio, sperone, monte, ecc.’. E in effetti è molto strano che non si faccia alcun cenno al fatto che Pèglio di Como sorge alle pendici del monte Pelo, da cui sarà derivato quasi certamente il nome del paese!

     Io credo che questi linguisti sono convinti che il lat. bi-dent-em ‘bidente’ sia nato con il latino stesso, mediante la particella bi- (due, doppio) e non pensano nemmeno lontanamente alla sua precedente derivazione da una forma bil(l), bili.  Questo è il motivo per cui danno degli etimi, in questi casi, secondo me completamente ipotetici, al 98-99 per cento. 

     



[1] Cfr. Aa. Vv. Dizionario di toponomastica, UTET (sec. ediz.), Torino, 1990

giovedì 24 settembre 2020

L’italiano “bidente”, ovvero le insidie etimologiche. Raffronti con le rispettive voci abruzzesi e marsicane.

 Ripubblico, quasi senza correzioni, questo articolo del 19 aprile 2010, dopo quello precedente intitolato "Maleppeggio", perchè i due articoli si rafforzano bellamente a vicenda, soprattutto in merito al valore da dare al secondo membro -peggio di male-ppeggio, ma anche perchè vi vengono riconfermati importanti principi linguistici.  Naturalmente gradirei che qualche linguista di professione si facesse vivo per esprimere le proprie opinioni. 


     

      Si può con certezza affermare, senza tema di smentite, che tutti gli etimologi spiegano senza difficoltà alcuna l’appellativo bi-dente (strumento notissimo a chi come me è vissuto in un piccolo paese di montagna  dove si era quasi tutti contadini e/o pastori) risalendo al lat. bi-dente(m) ‘bidente (zappa a due denti)’. Eppure, frugando tra i dialetti abruzzesi, ho dovuto constatare che la storia del nome potrebbe essere del tutto diversa. A Pescina-Aq lo strumento è chiamato bili-dente. Nel Vocabolario Abruzzese di Domenico Bielli sono registrate diverse varianti come bel-dentebul-denteple-denteple-tente che costantemente esibiscono un primo membro diverso dal prefisso latino bi- (due, due volte). A Cerchio-Aq (cfr. Fiorenzo Amiconi, Tradizioni popolari marsicane: il dialetto cerchiese, Museo Civico, anno VII 2004, quad. 57 sub voce) la voce suona biu-dende, a Luco dei Marsi-Aq bié-dente oppure bio-dente (cfr. Giovanni Proia, La parlata di Luco dei Marsi, Grafiche Cellini, Avezzano-Aq, 2006, p. 53), tutte trasformazioni regolari di un precedente *ble-dente  o *blu-dente. Cosa può significare tutto ciò?

 

      La mia risposta è che, come in tanti altri casi, qui ci troviamo di fronte ad un originario composto tautologico di due membri. Non si può pensare ad uno sviluppo del termine a partire dal lat. bi-dente(m), con l'aggiunta ingiustificata della liquida -l-, per quanto riguarda il primo membro, data anche la costanza con cui essa appare nelle diverse parlate. La mia supposizione è, quindi, che questo membro sia costituito dalla stessa radice di ingl. bill ‘piccone, alabarda, ronca, becco, promontorio, punta’, ted. Beil ‘scure’ e che, all’origine, il *bil(i)dente fosse uno strumento ad una sola punta, non importa se triangolare come quella di una marra, ad esempio, o assottigliata come quella di un piccone. E certamente non si può escludere che il concetto di 'punta' che la parola portava con sè provenisse dal Neolitico o anche dal Paleolitico, naturalmente in riferimento a strumenti con punta di pietra . Quando questo termine dell'antico strumento si incrociò con quello relativo al nuovo strumento a due punte, inventato successivamente nel tempo, esso si riciclò, per così dire, adattandosi con una leggera modifica formale (ma abbiamo visto che in molte parlate non fu necessario, forse per l'assenza nel loro lessico della particella latina bi- portata dalla latinizzazione) a designare esclusivamente il nuovo e letterale bi-dente.  Mi pare, insomma, che anche il lat. bi-dent-e(m)  derivi da un originario *bili-dente. Del resto anche il piccone, benchè sia munito di due punte, una delle quali appiattita a forma di zappa molto stretta, porta un nome che designa, nella forma accrescitiva, solo il concetto di 'punta'.  Forse il passaggio alla nozione di ‘due’ fu favorita da una precedente forma con la liquida –l- palatalizzata, del tipo *biji-dente , che diede bi-dente. A Trasacco-Aq , infatti,l’arnese è chiamato  by-tèntë , termine la cui lettera –y- rappresenterebbe un suono particolare, vicino ad ji, je, secondo il dialetto locale[1].  Ma anche ad Aielli-Aq, il mio paese, l’it. bi-dente suona bji-dèndë.  Se questa voce fosse derivata la lat. bi-dent-e(m) ‘bidente’si sarebbe dovuto avere come esito nel mio dialetto -dèndë , come abruzz. bë-dèndë[2],aiellese -langia ‘bilancia’, abr. bë-sèstë ‘bisestile’[3], ecc.  Non si scappa: questi fenomeni linguistici parlano chiaro: il latino bi-dent-e(m)  è sicuramente una reinterpretazione di un sottostante italico *bili- (dente )o *bil-(dente), o *bli-(dente).  Ma il bello è che in latino esiste anche il termine bi-palium 'vanga'  che, secondo il significato di superficie, dovrebbe indicare una 'doppia vanga', cioè uno strumento per dissodare dotato  di due lame a punta, cosa del tutto irreale per una vanga: è quindi giocoforza dedurre che il bi-  iniziale derivasse da un precedente bili- come abbiamo visto per lat. bi-dent-e(m) 'bidente', e che il composto bi-palium indicasse tautologicamente l'unica lama della vanga. Sarei curioso di sapere come spiegano questo termine i linguisti.

    Ci tengo a ribadire che anche in questi casi opera il principio saussuriano che stabilisce che, contrariamente alla falsa idea che noi facilmente ce ne facciamo, una lingua non è un organismo creato ed ordinato in vista dei concetti da esprimere. In altri termini la parola bi-dente circolava molto tempo prima che assumesse in latino il significato specializzato di '(strumento) a due denti'. D'altronde la lingua rimane spesso legata al passato come nel caso di it. penna, lo strumento usato per scrivere, che da qualche secolo non è più formato da una penna d'oca e che probabilmente continuerà ad essere chiamato così anche quando, nei secoli futuri, dovesse assumere altre forme ed essere costituito di materiali completamente diversi da quelli attuali, ammesso che il suo uso non sia destinato a scomparire. Con questo si conferma il fatto che generalmente i nomi non indicano funzioni o caratteristiche particolari di un referente, ma piuttosto la sua natura essenziale e profonda, che, nel caso del bidente, non sarebbe il suo significato d'arrivo che pone l'accento sui due denti, ma il significato di partenza che indicava uno strumento a punta. Qualcuno potrebbe obbiettare che tra i dialetti italiani non si incontra una radice per 'bidente' simile a ingl. bill. Effettivamente io non so se sia così (nessuno è andato a frugare per bene in ciascuna parlata di ogni più isolato villaggio, ed è un vero peccato), ma so che si incontra, ad esempio, la voce ligure bel-ìn ‘membro virile’ appartenente alla numerosa famiglia di *bill/*bell tra i cui significati si annovera quello di ‘birillo’ (cfr. Cortelazzo-Marcato, I Dialetti Italiani, UTET, Torino, 1998, sub voce). Se ciò non bastasse si possono elencare i numerosi toponimi composti dalla stessa radice come Bel-monte del SannioBel-monte CalabroMonte-bello sul Sangro-Ch ecc. che, come alcuni linguisti sanno, non presuppongono all’origine un giudizio estetico sul 'monte' relativo, ma una radice preistorica bal/bel per ‘monte’, concetto che solitamente copre, in quanto ‘protuberanza’, anche quello per ‘membro virile’ come nel succitato bel-ìn e nel siciliano minchia da lat. ment-ula(m) 'membro virile', uguale a lat. ment-u(m) ‘mento’, variante di lat. mont-e(m) ‘monte’.  E’ chiaro di conseguenza che il linguista che non conosce questa radice preistorica bel (con varianti come vel, cfr., ad es., monte Vel-ino  nella Marsica) non potrà che convincersi che con essa  l’uomo che l’ha usata per primo ha voluto esprimere un giudizio estetico, riportando la genesi del nome  ad uno strato linguistico recente: e il vecchio nome, che quel monte pur doveva avere, quale fine ha fatto?

 

     Sulla stessa scia dei composti tautologici credo vada collocato l'interessante vocabolo greco (Il. XXIII851883) hemi-pélekk-on 'scure ad un solo taglio' da Omero contrapposto, in questi versi, al termine pélek-ys 'scure a doppio taglio' che però, normalmente, designava anche la 'scure ad un taglio, accetta'. Secondo il mio modo di vedere le cose anche la voce hemi-pélekk-on, letteralmente 'mezza (hemi-) scure (-pélekk-on)', è partita col significato di 'scure' in ambo i membri. Il primo membro hemi-, da *semi(cfr. lat. semi- 'mezzo)che all'origine doveva essere variante della radice di gr. smi-le 'coltellino, trincetto, roncola' e di grsmi-nye 'bidente, zappa', si è prestato, col suo significato (acquisito strada facendo) di 'mezzo, metà', a specializzare il significato generico dell'altro membro –pélekk-on ’scure in genere’ (simile a pélek-ys ‘scure’ e a pélyk-s ‘scure’) in quello di ‘scure a doppio taglio’.  Così, anche in questo caso, vediamo in azione l'importantissimo principio saussuriano sopra ricordato.

 

     Per quanto riguarda il significato di semi 'mezzo' c'è da osservare che esso molto probabilmente si è sviluppato da quello di 'taglio' e di 'cosa tagliata, scheggia', il quale a sua volta sarà trapassato da quello di 'pezzo (risultante da un taglio)' all'altro di 'pezzo (risultante da un taglio a metà), metà'. I diversi termini inglesi relativi a questi strumenti a punta o taglio seguono le stesse linee tautologiche di cui sopra. Il pick-ax(e) 'piccone' è composto da pick 'piccone, piccozza, martellina' e da ax(e) 'ascia, scure'. Attenti a non lasciarsi ingannare da una spiegazione simile a 'ascia a punta, a forma di piccone' come si è portati a fare per tutti i composti di questa lingua che hanno subito un processo di adattamento allo schema determinante-determinato sovrappostosi, secondo me, a quello preistorico tautologico . Il termine  prong-hoe 'bidente' è compost da prong- ' bidente, forca, tridente, dente, rebbio (il che conferma che non è il numero dei denti a determinare il nome dello strumento, ma la sua idea primordiale di 'punta')' e da hoe' zappa', legata al verbo to hew 'tagliare, fare a pezzi, fendere' che presuppone l'azione di una 'punta' (cfr. ted. hau-er 'zappatore, zanna, coltello da caccia', tra altri significati) o di una 'lama tagliente'. L'inglese ha ereditato dal lat. furca(m) 'forca' il termine fork' forchetta, forca, forcone'. Pare che il latino lo abbia preso dal gr. fork-s 'palo', attestato solo al pl. fork-es (cfrAaVv. Popoli e Civiltà dell'Italia antica, volVI, Biblioteca di Storia Patria, Roma, 1978, pp. 493-494). L'ingl. pitch-fork 'forcone' sembra un composto costruito apposta per indicare lo strumento adatto a gettare il fieno nel carro per trasportarlo alla stalla (cfr. l'espressione to pitchfork hay 'caricare fieno (nel carro)' ma se andiamo a cercare l'etimo di to pitch, che ha molti significati tra cui quello di 'gettare' e l'arcaico 'piantare e fissare', ritroviamo il pick del sopra citato pick-ax(e) 'piccone'. Quando però l'inglese prese fork 'forconeforca' dal latino furca(m) l'epoca preistorica dei composti tautologici era passata da un pezzo, e così il composto suddetto dovette formarsi in ottemperanza alla nuova norma determinante-determinato regolatrice dei composti, che sfruttava la specializzazione  dei significati di ciascuno dei due membri originariamente tautologici intervenuta a causa del loro incrocio con parole di altro significato: in questo caso il composto perciò passava a significare 'forca per gettare (pitch-) fieno nel carro'. A meno che la voce fork non esistesse già in inglese indipendentemente dal latino: un indizio, per quanto labile, è costituito dal ted. Furche 'solco' corrispondete al lat. porca(m) 'rialzo di terra tra solco e solco'. Ora, data la intercambiabilità sopra evidenziata del concetto di 'punta' e quello di 'protuberanza, rialzo, monte' potrebbe esserci in effetti la possibilità, almeno in linea teorica, che il fork inglese fosse preesistente all'arrivo del latino. 

 

     Moltissimi termini composti delle lingue germaniche, provenendo dalla preistoria, rivelano nel fondo, se ripuliti dall'incrostazione superficiale, il meccanismo tautologico originario. Se prendiamo, ad esempio, l'ingl. black-smith ' fabbro' mi suona poco convincente la spiegazione corrente del termine, secondo la quale il primo membro black- rimanderebbe al ferro, il cosiddetto black metal 'metallo nero', che sarebbe così chiamato dalla patina di ossidi che ricopre il ferro quando viene surriscaldato nella forgia. Prima di tutto essa è di colore rosso o porpora, e poi è poco credibile sostenere, piuttosto artificiosamente, che black-smith sarebbe da intendere come 'colui che lavora quel metallo che, quando viene surriscaldato, si ricopre di tale strato di ossidi': mi viene da dire che non ci crederei nemmeno se fosse vero. E in effetti esiste in inglese una radice simile a black 'nero' che ha però lo stesso significato del secondo membro smith 'fabbro' (dal verbo to smite 'colpire'), probabilmente imparentata con la radice smisopra analizzata a proposito di gr. hemi-pélekk-on 'scure'. Essa corrisponde a quella di ingl. to blow 'colpire' il quale presenta varianti come il medio inglese dialettale blaw 'colpo', a. ingl. blaw-an 'colpire'a. norreno bleg-thi 'cuneo', gotico bligw-an 'battere, picchiare'. La forma blaw rimanda quindi, a mio parere, a un precedente *blag (cfr. medio oland. blak-en 'colpire, agitare')quasi uguale black-, e variante di lat. plaga(m) 'percossaferita' da una radice plag/plak attiva anche in greco e rappresentata in area germanica almeno dall'ingl. dial. flack 'colpobattito' (che non vedo perchè dovrebbe essere di origine imitativa come vuole il vocabolario Webster), dal ted. flack-en ' battere la lana, aprire spaccando', ingl. flay< *flag 'scorticare, battere, frustare, criticare aspramente'. E non esisteva nemmeno la necessità, per indicare il 'fabbro', di ricorrere al black riferito al supposto 'metallo con la patina...', dato che il solo smith già aveva, ed ha ancora, il significato di 'fabbro'. Inoltre è probabile che la radice in questione si ripresenti nel ted. bleck-en, usato in espressioni come Die Zunge bleck-en 'cacciar fuori la lingua (Zunge)', dove esso si configura come uno 'spingere (fuori)', concetto molto simile a quello di 'battere' e riconfermato nel ted. Bleck-zahn 'dente (-zahn) sporgente(Bleck-)'. Il significato di 'mostrare' come nell'espressione Die zaehne bleck-en 'mostrare i denti' deve essere derivato da quello di 'sporgere' come nel lat. os-tendere' protendere, esporre, mostrare' e come in tutti gli altri nomi e verbi che in latino indicano un 'evento eccezionale, fenomeno' quali por-tentu(m) por-tend-ere 'presentare' , os-tentu(m) ed os-tendere 'protendere', prod-igiu(m) prod-ig-are 'spingere avanti' sicchè mi parrebbe quasi un torto accostare il lat. mon-stru(m) 'prodigiomostro' mon-strare alla radice men di latmente(m) 'mente' e mon-ere 'ammonirericordare (da parte della divinità, come volevano gli antichi)': a mio avviso si tratta dell'altra radice men 'sporgere' di monte(m) 'monte' mentu(m) sopra citati, radice che, tuttavia, come indica il 'movimento (spinta) verso qualche direzione' che può concretizzarsi in una sporgenza, così può concretizzarsi nel movimento della mente o del pensiero oppure direttamente nella mente o nello spirito, come nel ted. Mann 'uomo': il soffio dello spirito può anche animare l'universo intero come fa il mana, la forza soprannaturale impersonale dei polinesiani, e Manitu, forza soprannaturale, personificata o impersonale, degli algonchini dell'America del nord. Il soffio si trasforma in una furia tempestosa nel grmain-o, main-o-mai 'rendere (oppure essere) furente, pazzo, ubbriaco, invasato' . 

 

     Anche in latino, per il concetto di 'pensare', si incontra un verbo per così dire di movimento, azione come cogit-are 'pensare', da lat. co-agit-are 'mescolare agitando'. Si noti che anche lat. ag-it-are è frequentativo di ag-ere 'spingere, fare'. L'elemento -str-um di mon-str-um credo corrisponda alla radice ster, la stessa della grande famiglia di lat. stern-ere 'stendere, abbattere' che dovrebbe essere qui tautologica rispetto a mon- 'sporgere'. In altri termini il concetto di 'apparire' e 'far apparire, mostrare' verrebbe nella fattispecie ottenuto attraverso quello di 'tender(si), protender(si), presentar(si)'. Ma le stesse radici si prestavano ad indicare un 'presagio, preannuncio' in quanto ciò che si pro-tende può trasformarsi in una 'indicazione, saggio, anticipo, avvertimento, avvisaglia, cenno, presentimento, pre-monizione' di ciò che in futuro potrà avere pieno compimento. In questo senso, e per la radice stersi tenga presente il lat. str-ena 'presagio, augurio, segno' ma anche 'strenna, dono augurale', concetto che può essersi sviluppato da quello di '(s)porgere, dare': cfr. la voce strine ' strenna, legumi cotti che i ragazzi van chiedendo la mattina del capo d'anno' nel Vocabolario Abruzzese di Domenico Bielli. Infine ritorno all'espressione black metal 'ferro' per osservare che essa si spiegherebbe più agevolmente se la si intendesse come *blag's metal nel senso di 'metallo del fabbro(*blag)'. Tutto tornerebbe così al proprio posto.

 

 

 

 

 

   

 



[1] Cfr. Q.Lucarelli, “Biabbà” A-E , Grafiche Di Censo, Avezzano-Aq, 2003.

 

[2]Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A. Polla edit. Cerchio-Aq,  2004.  

 

[3]Cfr. D. Bielli, cit.

     





 

 

 

   

 

 

 

 

 

 

 





      




     

venerdì 18 settembre 2020

Maleppeggio

 


                                    

    

Il termine italiano maleppeggio non è registrato in tutti i vocabolari, perché sentito forse come dialettale.  Esso indica una martellina da muratore atta a tagliare, sgrossare o rifinire, con due penne piatte perpendicolari tra loro.  Durante la trasmissione televisiva di Uno Mattina del 13/9/ 2020 (Rai 1), ne ha parlato anche l’illustre linguista Francesco Sabatini di Pescocostanzo-Aq, riferendo l’interpretazione etimologica a lui data da muratori abruzzesi, i quali sostenevano che il nome dell’attrezzo deriverebbe dal fatto che esso, se colpisce con la penna orizzontale fa male, ma se colpisce con l’altra penna fa molto più male.  Il grande studioso ha riferito l’interpretazione dei muratori ma evidentemente senza condividerla e senza darne però un’altra.  Taluni pensano che maleppeggio sia il risultato dell’espressione romanesca alla mala peggio nel senso di ‘alla meno peggio’, dato che lo strumento è più adatto ad una sommaria sgrossatura che ad una vera e propria rifinitura. 

    Come si vede la gente comune, come sempre succede, cerca di interpretare il nome lasciandosi suggestionare dai suoi significati di superficie e gli esperti, i linguisti, non sapendo in questo caso dove andare a parare, si limitano a riportare queste interpretazioni che talora condividono anche.

    Ora, il mio metodo di studio, basato sulla tautologia, mi suggerisce che il male-, elemento iniziale della parola,  deve in realtà essere l’interpretazione di un originario mal(l)-, radice indoeuropea abbastanza diffusa del lat. mall-eu(m) ‘martello, maglio’. E in effetti, se è vero che il significato più diffuso nei dialetti del termine maleppeggio è quello che abbiamo dato sopra, ne circola tuttavia  anche un altro come quello del dialetto di Luco dei Marsi-Aq  in cui malëppèggë significa: attrezzo da muratore, consistente in un manico di legno e testa bifronte, con martello e taglio[1].  Quindi, a Luco dei Marsi, l’attrezzo non ha due tagli ortogonali tra loro, essendo uno sostituito da normale martello

    Io sono del parere che il significato del nome di questo arnese, nelle sue probabilmente lontane origini, doveva essere semplicemente quello di martello ad una o due teste. E mi spiego.  Come accennavo prima, secondo me le parole in genere sono composte da uno o più membri tautologici dallo stesso significato, che in questo caso poteva essere quello di testa  atta a battere, picchiare, inchiodare.  Ma poteva essere anche quello di punta dando così origine al significato di piccone, ad una o due punte.  Queste diversità di significato nascono perché nella nostra mente di uomini d'oggi che usano un linguaggio superspecializzato una testa, più o meno rotondeggiante, è abbastanza diversa da una punta più o meno acuta.  Ma se ben si riflette, queste due nozioni, dovettero rientrare, alle origini, in quella più generica e sovraordinata di protuberanza, prominenza, sporgenza.  Così, a mano a mano che il linguaggio andava specializzandosi, poteva succedere che da qualche parte una parola nata col significato di martello si trasformasse in quello apparentemente opposto di piccone. Esagerando, si può dire che questa metamorfosi avveniva quasi tra le mani di chi usava l’attrezzo. Le lingue sono soggette a cambiare sotto la spinta di diversi fattori, soprattutto con l’aiuto del molto tempo che passa, e di conseguenza se un termine nato per indicare il martello poteva continuare a farlo in qualche luogo, è ugualmente possibile che in altri luoghi, per influsso o incrocio con termine omofono ma non omosemantico, esso assumesse senza sforzo un significato diverso, cosa che capita a moltissimi vocaboli.

   Il secondo membro –peggio del termine in questione  dovette essere all’inizio qualcosa come picco se nel dialetto abruzzese compaiono voci come piccë (palatalizzato)‘picca, puntiglio, bizza, battibecco (sia pure in questi significati metaforici)’ o come picchë ‘becco, beccuccio’[2].  Va da sé che una eventuale forma originaria *malë-picchë ‘martello’ o ‘piccone’, trasformatasi prima in malë-piccë per palatalizzazione della velare e poi, per etimologia popolare, in malë e péggë perdesse inevitabilmente la sua identità originaria e ne assumesse un’altra superficiale del tutto diversa.  Se così stanno le cose, risulta di conseguenza impossibile, anche ai più seri e preparati linguisti, rintracciare il significato del nome iniziale, a meno che essi non siano convinti della composizione tautologica della parole, di cui ho parlato sopra.

   A me pare, così, che anche il composto ingl. mill pick ‘ascia (pick) bipenne per levigare la mola di mulino (mill)’ sia il prodotto di una reinterpretazione di un composto tautologico in cui un originario *mul(l), o *mil(l), o *mol(l), o *mal(l), che indicava tautologicamente una testa o una punta o una protuberanza, finì per cadere naturalmente in braccio ad ingl. mill ‘mulino’, simile a ted. Mϋhle ‘mulino’, ted. mahl-en ‘macinare’.  Cito solo l’ingl. mull ‘promontorio’ che a mio avviso fa il paio con il lat. mol-em ‘diga, molo, ecc.’. E il promontorio Punta di Mulo a Capri non dovrebbe aver avuto il nome dall’animale.

   C’è inoltre da dire che un sinonimo di ingl. mill pick  è mill bill . In ingl. bill vale ‘becco, punta, promontorio, roncola’ e si potrebbe supporre che esso, arrivato in Italia in tempi remoti, deve aver subito la diffusissima palatalizzazione della doppia elle (fenomeno antichissimo) trasformandosi in bijjë (simile al lat. peior, peius ‘peggio’) e quindi, per etimologia popolare, in peggio, secondo membro dell’it. male-ppeggio. Ma si potrebbe supporre addirittura un originario ingl. *pill ‘ascia, accetta, ecc.’ se il significato arcaico di ingl. pill è ‘scorticare, spellare’ oltre a ‘saccheggiare’.

    Mi sono ricordato solo ora che la suddetta radice bill, bell, pell, ecc.  è stata trattata ampiamente e accuratamente nell’articolo sul bidente del 19 aprile 2010, presente nel mio blog.  Raccomanderei caldamente di leggerlo, per convincersi ancora di più di quello che vado sostenendo.

    C’è anche da osservare che l’idea di coppia di due cose male assortite potrebbe essersi sviluppata da una interpretazione popolare del nome originario dell’attrezzo, quale sarebbe quella risultante dall’espressione *mala piccia che in toscano suonerebbe come   ‘cattiva coppia (piccia)’ o ‘coppia male assortita’ con riferimento ai due tagli dalla posizione non perfettamente identica, essendo ortogonali tra loro.

    Come si può notare, le interpretazioni superficiali della parola in questione potevano essere svariate e potrebbero aumentare in futuro se nel frattempo la lingua italiana si sarà trasformata accogliendo anche nuove radici che potrebbero incrociarsi con quella o quelle di maleppeggio, ammesso che quest'ultimo non sia caduto dall'uso. La Lingua sa attendere pazientemente per migliaia e migliaia di anni.  Tutte queste interpretazioni di superficie, però, hanno il grave difetto, secondo me, di non nominare mai direttamente l’oggetto cui si riferiscono, come se esso, già dagli inizi, fosse stato indicato preferibilmente dalla Lingua in questo modo indiretto. Cosa inesorabilmente negata dalla stragrande maggioranza dei casi che nella mia annosa ricerca ho preso in considerazione.   

   

    

  

   



[1] Cfr. G. Proia, La parlata di Luco dei Marsi, Grafiche Cellini, Avezzano-Aq, 2006.

[2] Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A. Polla editore, Cerchio-Aq, 2004.