lunedì 13 settembre 2021

Ancora lucciole (6).

 


Lucciola lucciola.

 

Lucciola lucciola vien da me,
che ti darò il pan del re;
pan del re e della regina,
lucciola lucciola vien vicina.


Lucciola lucciola vieni da me,
ti darò veste da re,
veste da re e mantello da regina
lucciola, lucciola piccolina.


Lucciola lucciola vieni da me,
ti darò letto da re,
letto da re e lenzuola da regina,
lucciola lucciola maggiolina.

 

   Questa filastrocca mi ha colpito per alcune espressioni che richiamano chiaramente, a mio avviso, radici e parole che indicano la luce o il fuoco.  La prima strofe contiene termini già analizzati negli articoli precedenti.

   Nella seconda strofe si nomina la “veste da re”, la quale è pari pari il nome della dea latina del focolare Vesta, gr. hestíafocolare’, gr. Hestía dea del focolare’; un’altra parola è il mant-ello della regina la cui radice rimanda, a mio parere, al ted. Mond  ‘luna’, ingl. moon ‘luna’, olandese maan ’luna’.  Questi termini, in quanto luna, alludono per prima cosa alla luminosità del nostro satellite il quale, con le sue varie fasi, servì per misurare il tempo nei più antichi calendari.  I linguisti ritengono che la radice indoeuropea ME- avesse il valore di ‘misura’, ma questo può valere, a mio avviso, solo per il significato di ‘mese’, che nelle lingue germaniche è espresso in modo simile come ingl. month ‘mese’, ted. Mon-at ‘mese’.  Secondo me la voce germanica per lunapassò automaticamente ad indicare il ‘mese’ in questi calendari, dato che il moto di rivoluzione del satellite intorno alla terra è di circa 29 giorni. Naturalmente ci sarà stato poi un incrocio con la radice simile per ‘misura’.   La radice avrà qualche rapporto con l’aggett. lat. mund-u(m) ‘pulito, netto, mondo’ e con il sost. lat. mund-u(m) ‘mondo’ che in Manilio è usato col significato di ‘sole’.  Nelle Marche, a Fano, si incontra il verbo mantà ‘lampeggiare delle luci sul mare prodotto dai fanali delle barche, dal faro, ecc.’ che è risolutivo.  Nella seconda strofe compare anche l’aggett. picc-ol-ina riferito alla lucciola: sappiamo già, come ho detto in un precedente articolo, che picc-ol-ina è uno dei tanti nomi per la lucciola, che richiama a mio avviso il gr. pygo-lampís ‘lucciola’ , ingl. bick-er ‘brillare, vacillare (di luce)’, ecc.

    Nella terza strofe si dice che sarà dato alla lucciola addirittura un letto da re! Ma  come possono nascere simili idee nella mente di qualcuno che osserva questi animaletti? E’ piuttosto semplice se dietro la parola letto (lat. lect-um 'letto') riusciamo a scorgere il ted. Lichtluce’, che doveva essere altro nome per il coleottero.  E dietro le lenzuola che vengono nominate subito dopo che bisogna vedere? L’it. lindo, spagn. lindo ‘bello’ nonché il celtico lintz ‘brillante, rilucente’, seguito dall’altro elemento –ola, che abbiamo incontrato spesso, anche con sue varianti, negli articoli precedenti.

   La mia scorribanda tra le sfiziose lucciole credo che termini qui, ma non si sa mai.

 ma non si sa mai.

domenica 12 settembre 2021

Ancora lucciole (5).


    

    A Marcellina-Rm il nome della lucciola è luccica-penna: ricompare l’elemento –penna  adombrato già nelle voci per la lucciola  -penta, venn-ola dell’articolo precedente, ma non solo: una filastrocca di Cerchio-Aq recita  Lucë-capp-èlla, penna penna/mittë le salë alla jummèlla (trad. ‘Lucciola, penna penna/metti il sale nella giumella’).  A Subiaco-Rm si ha lucc-ica ‘lucciola’, a Rocca di Botte-Aq compare lucc-ic-arèlla ‘lucciola’. Più che derivati diretti dal verbo lucc-ic-are considero queste voci, compreso il verbo lucc-ic-are, ampliamenti tautologici della base luc-‘luce’: il secondo membro –ic-  dovrebbe avere qualche rapporto con lat. ig-n-e(m) ‘fuoco’; il membro –ar-èlla comprene due radici che abbiamo già inteso come ‘luce, fuoco, ecc.’: basta ricordare lat. ar-a(m) ‘altare (per i sacrifici)’. 

     Interessantissime sono le filastrocche per la lucciola.  Una nota a tutti (credo) recita al primo verso lucciola, lucciola, vien da me:  mi sembra molto probabile che l’espressione vien da sia frutto di una rietimologizzazione di un precedente venda, uno dei tanti nomi della lucciola, come abbiamo visto.

      A Celano-Aq la filastrocca per la lucciola inizia con Luce-cappèllë, bèllë bèllë,/ mittë la sèllë alla cavallë (trad. ‘lucciola, bella bella/metti la sella alla cavalla’)Ora, bell-ina  è altro nome per la lucciola, nome che è in rapporto con la festa di Bel-taine, cioè del dio celtico Bel o Bel-enos, la cui radice vale ‘brillare’, cfr. serbo-croato bijel ‘bianco’.  Abbiamo visto che altri nomi per la lucciola sono  car-ina e picc-ol-ina, nomi che ricorrono in varianti della filastrocca.  In questo contesto, la voce sèllë non può essere a mio avviso che la radice del gr. sél-as ‘splendore, raggio, lampo, scintille’, gr. sel-ḗne ‘luna’. La stessa voce compare come sale nella filastrocca di Cerchio, più sopra citata. La cav-àllë presenta un primo membro simile a quello di gr. kap-nόs ‘fumo’, radice kaw- di gr. kái-ein ‘bruciare, ardere’. Esisteva in Siria il dio del sole  Gabal  di cui ho parlato in riferimento alla voce dialettale marsicana cavajjë ‘cavallo’ che ad Avezzano indicava il covone posto in cima ad un mucchio di covoni, e con le spighe rivolte ad oriente.  Si prega vivamente di leggere il mio articolo intitolato Il “covone” ed altro tra linguistica ed antropologia, presente nel mio blog (2 luglio 2017)L’articolo, più comodamente, appare anche in internet.

    La filastrocca di Celano termina con la cavalla degi re,/lucecappellë vittënë a mmì.  Il re, insieme alla regina, compare in altre filastrocche per le lucciole.  Credo che la radice latina reg-e(m) ‘re’  si sia sovrapposta  quella precedente che doveva essere quella del ted. rege ‘vivace, vivido, sveglio’ e quindi, in questo caso, luminoso.  Anche in vittënë  bisogna scorgere l’it. viente-ne, o vien da (me) di altre filastrocche, forme che rimandano a vent-ola, vend-ola  come detto più sopra.

       Concludendo, affermo che queste filastrocche che presentano diverse varianti di paese in paese assomigliano molto all’antica poesia cosiddetta catalogica che si basava sull’elencazione di cose come, ad esempio, il famoso catalogo delle navi nell’Iliade.  Le società primitive, mancando di scrittura, si servivano di elencazioni come quelle che si vedono in trasparenza (almeno credo) nelle suddette filastrocche che avevano la funzione di archiviare e trasmettere di generazione in generazione la conoscenza del passato. Naturalmente, molte erano le variazioni che avvenivano strada facendo, a contatto con lingue e parole diverse per il significato da quelle originarie.

    

sabato 11 settembre 2021

Ancora lucciole (4).

 

    Ad Antrosano-Aq la lucciola è chiamata luci-penta mentre a Sant’Elpidio-Ri, non lontano dalla Marsica, essa porta il nome di cuccia-penta. A San Pelino-Aq è chiamata luci-vennola il cui secondo membro discende chiaramente da un precedente vent-ola, vend-ola variante di –penta. 

    Io suppongo che questi nomi abbiano molto in comune col celtico vindo ‘bianco, bello, biondo, sacro’, col dio Vintius Pollux  venerato nelle regioni ad ovest del fiume Loira in Francia, e con Bendis, dea lunare traco-frigia.

     Ad Ovindoli-Aq si ha il nome marìa per la lucciola, la quale rimanda alla grande dea della luna chiamata in Asia Minore Ay-Mari (cfr. turco ay 'luna'), Mari-an, Mari-anne, Mari-enne, Mir-ina, nonché al primo membro di ted. Marien-glas ‘mica’, minerale lucente. La radice è presente nel celtico, germanico, greco e latino mer-u(m) ‘mero, puro, schietto’.  In greco si ha il verbo mar-maír-ein ‘brillare, splendere’ con radice raddoppiata.

      Ora, tutte queste connessioni e sovrapposizioni che a non pochi sembreranno forse improbabili, imprecise, varroniane, credo che abbiano, invece, al di là di ogni formalismo teorico, una tale forza di concretezza e verità che con può essere passata sotto silenzio.   Le parole usate dagli uomini sono, a mio avviso, come particelle pulviscolari di una nube gigantesca, le quali continuamente si agitano, trasaliscono e trascolorano a seconda dei sistemi linguistici entro cui vengono a trovarsi fin dai tempi più remoti, perdendo il contatto con le molte particelle-sosia finite all’interno di altre lingue: non se ne può capire la natura e il significato profondo fermandole e ritagliando per esse dei significati, per quanto ampi, sempre più o meno specifici e limitati a questa o quella lingua, a questo o quello strato. Il significato di fondo è, secondo me, uguale per tutte; di conseguenza, anche il loro aspetto formale (il significante) per il quale spesso si incrociano le spade dei linguisti, perde molto della sua importanza perché, detto con tutta semplicità, l’uno vale l’altro, l’uno è variante dell’altro.  Se non si capisce, per esempio, che il gr. astr-agal-ȋnos ‘cardellino’ (ma non perché l’uccello abbia gli stessi colori della pianta corrispondente) è la stessa cosa, con i primi due membri invertiti, di ant. tedesco agal-astra ‘uccello crocidante’ (incrociatosi con la radice gall ‘suono’) non si faranno, a mio avviso, grandi passi in avanti in linguistica. 


    


 

venerdì 10 settembre 2021

Ancora lucciole (3).

 


 

    A Villavallelonga-Aq nella Marsica la lucciola ha il caratteristico nome di luccëla-capë-strèlla (lucciola-capistrella).  Come si vede, si ripresenta il cap(p)- di lucë-capp-èlla ‘lucciola’, voce analizzata negli articoli precedenti. Secondo me la componente –strèlla non è altro che la radice del termine spagn. e-strella ‘stella’ con una –e- protetica come, ad esempio, nella parola spagn. e-spina ‘spina’ e in tutte le altre che cominciano per –s- impura. Il lat. stell-a(m) è una variante della radice Ster che si ritrova nell’ingl. star ‘stella’, ted. Stern ‘stella’.  Sono convinto che questa radice ha molto in comune con il verbo sanscrito  stri ‘spargere’ e anche col lat. stern-ĕre ‘stendere, spargere, ecc.’ che al perfetto fa stra-vi ‘io sparsi’.  Il concetto di “spargere” è similissimo a quello di “diffondere” o “irradiare” in riferimento alla luce, la quale, a mio avviso, è vista dall’uomo onomaturgo come una forza che si eccita, si sveglia, e si diffonde intorno.  Sempre a mio parere, si tratta, insomma, del concetto originario di “forza, spinta, vita”.

    Per la componente –strèlla non è fuori luogo tener presente l’it. strale dal longobardo strāl ‘freccia’ lituano striela, russo strela, ecc.(con i vari significati di ‘dardo, saetta, folgore’), ted. Strahl ‘raggio luminoso, lampo’ nonché ‘getto d’acqua, zampillo’, sempre dal significato originario di ‘spinta, spargimento,ecc.’.

    E’ assodato quindi che la radice cap-, di cui  ho già parlato negli articoli precedenti, deve avere in questi casi il valore di ‘fuoco, luce’.  Esiste nei nostri dialetti la voce capë-fochë che indica l’arnese su cui si poggia la legna nel camino. Ora, il significato apparente ‘capo del fuoco’ mi sembra alquanto artificioso ed impreciso: perché i due alari sarebbero dei capi del fuoco?  Credo perciò che il composto fosse all’origine tautologico e che la componente capë- dovesse avere lo stesso significato di ‘fuoco’, la seconda componente.  Ad un certo punto della sua lunga storia la componente capë- dovette probabilmente incrociarsi con una radice indicante la ‘pietra’, la quale in epoche primitive doveva sostituire il moderno alare di metallo.  Nel Parco nazionale dell’Aspromonte in Calabria esiste infatti un famoso monolite chiamato La Cappa. Azzardo l’ipotesi che questo termine abbia a che fare con l’ebraico cefa ‘pietra’.

     In altro articolo avevo supposto che il composto capë-fochë indicasse la ‘cavità’ del focolare.  Queste contraddizioni, invece di scoraggiarmi, mi confermano invece che sono diversi i significati di una radice, sviluppatisi da quello genericissimo di fondo.

    




mercoledì 8 settembre 2021

Ancora lucciole (2).

 


 

   Ho incontrato la bella voce portoghese piri-lampo ’lucciola’ la quale è composta chiaramente dal membro piri- corrispondente all’ant.umbro pir ‘fuoco’, gr. pr ‘fuoco’, lat. pur-u(m) ‘puro, pulito, limpido’, e dal membro –lampo di evidente significato. In napoletano si incontra, tra le altre, anche la voce pir-oca ‘lucciola’. Il portoghese ha anche un altro nome per la lucciola, cioè vaga-lumen il cui secondo membro corrisponde al lat. lumen ‘lume, luce, ecc.’. Il primo membro apparentemente richiama il verbo port. vagar ‘vagare’ e quindi l’espressione sembrerebbe indicare una luce che vaga (nella notte), dietro la componente vaga- deve nascondersi una radice per ‘luce, calore’ e simili.  In molti dialetti, infatti, si incontra la voce vacca (vachi, in parmigiano) che indica la scottatura, l’incotto, che una volta caratterizzava le gambe delle donne le quali d’inverno, per riscaldarsi, stavano troppo tempo vicino al fuoco.  Penso che la radice di questo termine vacca ‘incotto’ abbia a che fare con il verbo ingl. bake ‘cuocere(al forno), cuocersi’. Lo scambio b/v è abbastanza comune nei nostri dialetti. Per una più approfondita analisi della radice si legga l’articolo Corollario sull’articolo sui nomi dei venti con belle sorprese, presente nel mio blog (1 giugno 2012).

    Luce-cappella ‘lucciola’ è termine diffuso in Abruzzo e nel Lazio. La componente –capp-ella presenta una radice CAP(P)-  che secondo me richiama il gr. kap-nόs ‘fumo,vapore’, gr. kap-yr-όs ‘disseccato, adusto, bruciato, ardente, cocente (di malattia)’ e gr. kapy-ein ‘esalare’. La radice del verbo greco kaí-ein ‘ardere, bruciare’ era kav- (ho reso il digamma greco con la lettera –v-) che mi sembra proprio variante di CAP-. La componente –ella è variante di –ola incontrata nel napoletano cari-ola ‘lucciola’ nei due articoli precedenti.

  

martedì 7 settembre 2021

Ancora lucciole.

 

Ancora lucciole.

 

   Tornando alla  voce  cata- che ho inteso qualche giorno fa come ‘lucciola’, trovo un forte indizio  che conferma il mio giudizio nel verbo greco kata-lámp-ein ‘illuminare, risplendere’. 

    Ora in greco la preposizione catá ha il significato generico di ‘giù, verso il basso’, significato che non compare nel verbo suddetto, per un semplice motivo: all’origine essa era una radice tautologica rispetto al verbo lámp-ein ‘rilucere, risplendere, illuminare’, radice che non poté non incrociarsi col gr. katá ‘giù, in basso’ senza, però, che questo significato entrasse a modificare il valore del verbo.  In altre parole fra lámp-ein e kata-lámp-ein non c’è differenza alcuna di significato, in quanto cata- all’origine  aveva lo stesso valore di –lámp-ein ‘rilucere, risplendere’. 

   Nel greco moderno si incontra il termine kōlo-phōtiá ‘lucciola’ che letteralmente vale ‘fuoco nel culo(kōlo)’.

  Ora, a parte la considerazione che, secondo me, i nomi non nascono  come descrizione   del referente da nominare, ma lo indicano direttamente, c’è da considerare  il fatto che esiste in inglese un termine molto simile al gr- l-os ‘culo’ ed è coal ‘carbone’, ted. Kohle ‘carbone’. Quindi è probabilissimo, a mio avviso, che il greco moderno kōlo-phōtiá sia anch’esso un composto tautologico col valore iniziale di ‘fuoco’ e simili. Sicchè le varie voci dialettali italiane come culi-luci ‘lucciola’, culi-lucida’lucciola’ all’origine non facevano riferimento al deretano, ma alla luce della lucciola.

     In inglese si incontra anche il termine char-coal che significa ugualmente ‘carbone’ e presenta, nella prima componente char-, la radice stessa di carb-one nonché delle voci dialettali analizzate l’altro giorno come il napoletano cari-ola ‘lucciola’ e la pani-gar-ola ’lucciola’ nel dialetto di Pellio Inferiore-Co.

 

   


domenica 5 settembre 2021

Rapido excursus sui nomi dialettali delle lucciole.

 


      Cito alcuni nomi delle lucciole come botta cat-ascia (Calitri-Av.), abbotta-cat-ascia (Basilicata), cata-cat-ascia, cate-cat-ascia, cata-cat-oscia, cala-cat-ascia, ascia-cat-ascia (Campania), cari-ola (Napoli), cari-cat-ascia (Torre del Greco-Na), buta-fog (Veneto). 

    L’abbotta-cat-ascia  della Basilicata è presumibilmente uno sviluppo della botta cat-ascia di Calitri. i nomi campani mantengono questo cat-ascia la cui prima componente cat- viene addirittura ripetuta all’inizio del nome cata-cat-ascia. La componente –ascia presenta anche, per così dire, la variante –oscia nella parola cata-cat-oscia.  Sempre la componente –ascia ricompare all’inizio di ascia-cat-ascia. La componente cala- di cala-cat-ascia è la radice della voce cal-ina ‘scintilla’ in uso a Collelongo-Aq di cui ho parlato altrove[1]. La cari-ola di Napoli è composta da cari- che si ritrova all’inizio del nome della lucciola a Torre del Greco, cioè cari-cat-ascia.  La componente –ola deve corrispondere alla seconda componente di it. lucci-ola, che quindi non aveva valore diminutivo all’origine, ma era una pura e semplice componente tautologica come tutte le altre. La componente cari- è presente anche nel gr. khar-op-όs ‘dagli occhi lucenti’, come ho detto nell’articolo citato Le sviste di personalità eminenti in linguistica. Nello stesso articolo si cita il nome dialettale della lucciola car-ina il quale quindi si allinea col napoletano cari-ola e con la cari-cat-ascia di Torre del greco.

    La componente cata-  deve avere la stessa radice di ingl. heat ‘calore’, la componente cala-  richiama la radice di lat. cal-ēre ‘essere caldo, ardere’ ampiamente diffusa in ambito indoeuropeo. La componente ascia- rimanda all’ingl. ash ‘cenere’, ant. alto ted. asca ‘cenere’ dalla radice AS- di lat. ar-ēre ‘essere arido’, lat. ard-ēre ‘ardere, bruciare, splendere, scintillare’, forme rotacizzate da una radice As-.  La componente (variante) -oscia  sfrutta la variante os-di as-  che è presente, ad esempio, nel sanscrito osa-ti ‘egli arde’ ma anche nel lat. ur-ĕre ‘ardere, bruciare’.

      Le componenti iniziali di botta cat-ascia (Calitri-Av.) e abbotta-cat-ascia (Basilicata) si allineano con quella iniziale di buta-fog ‘Veneto’.  All’origine il termine non doveva significare, come oggi, ‘buttafuoco’, ma doveva essere una voce tautologica in cui il significato di ciascun membro era quello di ‘lucciola’: è bene tener conto, infatti, della parola sanscrita bodhi ‘illuminazione, risveglio’.

      Furmi-garöla è il nome della lucciola a Osteno-Co, e pani-garöla a Pellio Inferiore-Co.  Ognuno può vedere che il membro –garöla è simile alla voce naoletana sopra citata  cari-ola ‘lucciola’ con sonorizzazione della velare iniziale.  La componente furmi- è simile all’aggettivo latino form-u(m) ‘caldo’, nonché al ted. warm ‘caldo’ e al ted. wurm ‘verme’; non per nulla in tedesco Leucht-wurm significa ‘lucciola’, letteralmente ‘verme che risplende’. Si dirà che la lucciola assomiglia vagamente ad un verme ma la cosa non mi pare accettabile.  La componente pani- corrisponde al gr. pan-όs ‘fiaccola’ tanto è vero che esiste il nome della lucciola panu-el, con varianti, nella Valtellina.  Per un’analisi approfondita della radice PAN bisognerebbe leggere l’articolo Nomi di animali nelle espressioni idiomatiche della valle dell’Adda e della Mera, presente nel mio blog (2 luglio 2012). 

      Credo che anche un ragazzo della scuola media inferiore, se messo di fronte alle suddette parole per la lucciola con le componenti evidenziate, possa rendersi conto che esse sono composte di parti o pezzi o componenti che si alternano in vari modi per dare origine a composti tautologici. 

      Se si potessero conoscere capillarmente i nomi delle lucciole paese per paese, uscirebbero fuori meravigliosi raffronti come quelli spiegati sopra che farebbero capire una volta per sempre come funzionano le parole e la Lingua.



[1] Cfr.Importante  articolo Le sviste di personalità eminenti in linguistica, presente nel mio blog (10 dic. 2019)