domenica 19 maggio 2019

La cantilena per la chiocciola ad Aielli.





E cosi siamo giunti alla nostra cantilena per la chiocciola. In verità non so se qualcuno la conosca ancora, dato che io stesso la imparai da un altro ragazzo, ma poi non la sentii recitare più da nessun altro. Essa suona così: Iscë ciammarùca,/ iscë dalla bùscia,/ ca màmmëta s’è morta i pa(t)rëtë s’è mbëccàte/ allë forchë sandë Dunàtë (Esci lumaca, esci dalla buca,/ perchè tua madre è morta e tuo padre s’è impiccato/ alle forche di san Donato).  Non si scherza mica, vi si parla di morte della madre  e di impiccagione del padre!  Ma naturalmente, come abbiamo visto nelle altre cantilene, si tratta di quelli che definirei effetti sonori causati dal solito incrociarsi dei termini nel corso dei millenni. Come in ogni filastrocca, si nota la presenza della rima o assonanza.  La voce bùscia è lo sviluppo di un precedente latino medievale  bucea ‘scorza’ ma che, a mio parere, è in connessione con buca, in quanto cavità, avvolgimento.  La ricerca della rima non deve far pensare che vi sia una volontà marcata del dicitore e quindi una possibilità di invenzione dei termini, i quali, se li si gratta, ci si accorge che riguardano i concetti fondamentali nella filastrocca.

  La bùscia ‘buca’ in genere non manca mai, anche se espressa con vocabolo diverso (a proposito! sarebbe interessantissimo raccogliere le filastrocche e cantilene dei vari paesi d’Abruzzo o almeno della Marsica che quasi tutti, credo,  non ne saranno sprovvisti, prima che la modernità ne spazzi via gli ultimi avanzi), dato che essa fa riferimento al guscio del gasteropode.  Ritorna anche la presenza della mamma del cui valore di copertura, guscio abbiamo già parlato nel commento della cantilena del paese di Gallicchio in Lucania.  Ma vi compare anche il padre, e non per fare un torto al genitore (che poveretto si impicca!), ma perché,  mio avviso, esso nasconde la radice di sscr. patram ‘secchio’, lat. patĕr-a(m) ’patera’, cioè una tazza o coppa.  La mamma si dice che sia morta, ma in realtà il termine nascondeva una radice per ‘cavità, recipiente’, come in lat. mort-ariu(m) ‘mortaio’ la cui radice è considerata piuttosto incerta.  Ma l’it. mort-asa ‘incavo (per incastro)’ dal fr. mort-aise dovrebbe indirizzare verso un significato di ‘cavità’ della radice in questi casi.

     L’ impiccato credo sia reinterpretazione di una voce precedente che faceva capo al ted. ein-bieg-en ‘piegare in dentro, svoltare’, ted. ein-bieg-ung ‘curvatura in dentro, concavità’, radice che andrebbe a fagiolo per indicare il guscio della lumaca con le sue volute.  Molti sono i termini sia germanici che anche italiani o dialettali i quali presuppongono tale radice Cito solo la voce dialettale ammëccàtë ‘ricurvo, inclinato’  della parlata di Chiauci-Is, che fa il paio col verbo abruzz, ammuccà ‘versare un liquido’ ma anche ‘curvarsi, cadere, tramontare’.  Queste voci presuppongono, come ammëlòppë ‘busta’ o ammastì ‘imbastire’ o ammàttë ‘imbattersi’, ecc., un *imbuccà da riportare, forse anche con il  lat. bucc-a(m) ‘bocca’, ad una radice simile o uguale a quella tedesca di bieg-en (passato bog) e ein-bieg-ung ‘concavità, curvatura in dentro’.  L’impiccato sarà stato dunque un sostantivo simile al ted. Bucht che significa ‘sinuosità, curvatura’ e, geograficamente, ‘baia, seno di mare’, corrispondente, a mio parere, al nome di  Cala Bucùto, piccola insenatura in provincia di Trapani.  Del resto la presenza della voce  buca>bùscia conferma,a mio parere, che l’interpretazione di m-bëcc-atë  deve andare in quella direzione.  Il concetto di “cavità “ continua con l’accenno alle forche: il termine forca geograficamente si riferisce a passi montani, in genere stretti o avvallati e magari con profilo a V, come le Forche Caudine dell’antichità. Ma non si trascuri il suo riferirsi in questo contesto anche alle due corna o antenne della lumaca (cfr. lat. furc-as ‘chele del gambero’).  Mi pare oltremodo esemplificativo  il nome della Grotta della Tana, nota anche come Furchio di la Zappa, in provincia di Lecce. La voce furchië nel mio dialetto di Aielli indica la distanza tra il pollice e l’indice aperti, che formano quindi una specie di forca. Ma nel toponimo la parola deve indicare la cavità della grotta, come  nell’abruzz. forchjë ‘caprile, stalla per capre’, nel pugliese,calabrese, lucano forchia ‘buco, tana della volpe’[1].    Anche la Zappa sta per cavità, e ci si può convincere se pensiamo allo sp. zapa ‘galleria sotterranea’, ingl. sap ‘trincea d’approccio’. Credo che anche la parola seppia, relativa al  noto pesce, tragga la sua origine da un significato di ‘cavità’, costituita più che dalla conchiglia interna (osso di seppia) dal mantello che avvolge il suo corpo come un sacco da cui fuoriesce la testa con i tentacoli. In inglese il cefalopode  viene chiamato cuttle o cuttle-fish in cui cuttle richiama termini dell’area germanica dal significato di ‘tasca, cuscino, guscio, scroto’.  

   Resta da spiegare il sandë Dunatë .  Senza dilungarmi troppo e lasciando la testa piena di dubbi, sostengo che la prima parola richiama la radice dell’ingl. sound ‘canale, stretto, vescica natatoria’, ted. Sund ‘stretto di mare’.  La parola Dunatë deve essere una variante di ingl. tunn-el ‘galleria’, fr. tonne, tonneau ‘botte’, medio irlandese tonne ‘pelle’.  Originariamente nella cantilena forse era presente una forma tonale diventata inevitabilmente Donato, per etimologia popolare, data la presenza del termine santo. Quest’ultima parte lascia un po’ a desiderare ma per l’interpretazione della  precedente metterei la mano sul fuoco.

   Ma debbo ricredermi.  In quel di Gaggio-Ve. si recita questa cantilena alla lumaca: Toni, Toni/tira fora i corni/  che to pare xè in preson par un gran de formenton (Antonio, Antonio/caccia fuori i corni/che tuo padre è in prigione, per un granello di mais)[2].  E’ a mio parere evidente che il nome Toni (Antonio), con cui è chiamata la lumaca, non è un appellativo scherzoso per il gasteropode, il quale viene invece indicato direttamente: esso costituisce la prima parte del Don-ato di cui sopra. La seconda parte potrebbe essere anche una radice simile a quella del lat. aed-es ‘casa, tempio’ di cui non condivido la solita etimologia  che  fa riferimento al gr. aíth-ein ‘ardere’.

   Già che ci sono faccio notare che il granello di formenton è stato suggerito, nella cantilena, dalla voce precedente corni in quanto il ted. Korn significa ‘grano’, corrispondente ad ingl. corn ‘grano’ ma anche (in americano) ‘frumentone, granoturco’, come nella filastrocca. La nozione di prigione ( che è quella di prendere, afferrare) deve essersi sviluppata da quella espressa dal verbo ngurnà usato nella cantilena di Gallicchio-Pt, che, come abbiamo visto doveva valere, in quel contesto, ‘avvolgere, coprire’, ma poteva aver sviluppato anche quello di ‘legare, ammanettare, arrestare’.    





[1] Cfr. Cortelzzo-Marcato, I dialetti italiani, UTET, Torino, 1998, s. v. catafòrchia





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