domenica 4 agosto 2019

Un verbo strano: mbrungà (urtare, sbattere, scontrarsi), e la rivoluzione copernicana della mia linguistica.



Il verbo fa parte del vocabolario del dialetto aiellese e trasaccano. In quest’ultimo si ha la leggera variante m-brëng. A colpo d’occhio di desume che esso è formato dal solito prefisso italiano-lat. in- più il corpo centrale –brung- (chiuso normalmente in -brëng- nel dialetto di Trasacco-Aq), seguito dalla desinenza -are, che forma l’infinito della 1° coniugazione italiano-latina. Ad Aielli esiste anche la forma pronominale mbrungàssë< *mbrungarse-

La solita domanda: donde ci arriva questo strano anatroccolo? 

La risposta, in fondo, è piuttosto facile se si tiene conto dell’ingl. prong ‘oggetto appuntito, forca, rebbio, punta, dente, ramo’.  So benissimo, dopo anni di ricerche, che l’idea di “punta” è un derivato di quella di “spinta (in avanti)”, di “pro-tuber-anza (spinta, rigonfiamento  in avanti)”. Infatti in antico medio tedesco si ha pfreng-en ‘premere’. Quando si urta contro qualcosa o qualcuno in effetti è come se si esercitasse una pressione nei loro confronti. Ora, ricordo che ad Aielli-Aq si registra anche un uso particolare del verbo, nell’espressione, ad esempio: Sténghë m-brùnghë ècchë da n’ora! ‘sto fermo qui da un’ora’. Il particolare significato del verbo (che qui mostra un participio passato forte di sapore arcaico, invece del normale m-brung-àtë) deve essere frutto della serie semantica sbattere>premere>spingere>piantare>fissare>fermare. 

Il verbo dialettale prunc-
ë, prung-ëcà, prong-ëcà ‘pungere, pizzicare’ è un chiaro ampliamento della stessa radice prong-, prung- col valore di ‘punta’. In alcuni dialetti il sostantivo pronca, pronga, prunca significa ‘prugna’. Allora è chiaro che questa radice deve essere apparentata con quella più breve di lat. prun-u(m) ‘prugno, susino’. In italiano (qui vi prego di seguirmi perché quello che dirò costituisce un nodo importante della mia linguistica) il sostantivo pruno significa anche ‘spino’, ma non perché l’arbusto del prugno, specie quello selvatico, è ricoperto di abbondanti spine ma per un motivo più profondo: abbiamo visto che questa radice pron(g)- ha il valore di “punta”, concetto che contiene in sé anche quello di “spina”, di “ramo” e anche, a mio parere, quello di “albero” il quale è anch’esso, come il “ramo”, una “pro-tuber-anza”, una “es-cresc-enza”, concetti legati a quelli di una forza naturale che spinge (in avanti), pro-crea, dona la vita. Il frutto egli alberi è anch’esso spesso espressione di qualcosa, in genere rotondeggiante, che è spinto in avanti o gonfiato sempre ad opera della forza creatrice della natura, la phýs-is ‘natura’.  In fatti in greco phyt-òn vuol dire ‘pianta, albero, creatura’, sempre dal verbo gr. phý-ein ‘generare, essere generato, crescere, germogliare’.

Nel dialetto di Rocca di Botte-Aq la voce prunca significa ‘prugna’ e ‘prugno’. La voce prunc-όio derivata dalla precedente, da una forma *prunc-olo (con la normale palatalizzaione della –l-), significa, secondo la definizione data dall’autore del libro citato, ‘pianta spontanea spinosa. Il frutto ha lo stesso nome, è piccolo, rotondo di colore blu scuro (nero quando è maturo) e di sapore aspro’. E’ senz’altro lo stesso frutice spinoso che noi, ad Aielli, chiamavamo strenga. Il nome italiano non lo conosco.

   Rivedendo quest’articoletto, mi sono ricordato che la parola bruncu, con le varianti fruncu, vruncu è sarda (Io ho insegnato per due anni nella bella Sardegna, circa cinquanta anni fa) e significa ‘muso, grugno’ oltre che ‘vetta, punta, spuntone di roccia e simili’. Ci siamo. Il termine l’avrò  citato  anche in qualche articolo precedente del mio blog, ma me ne sono completamente dimenticato. L’italiano mettere il broncio ha certamente a che fare con questo bruncu ‘muso’, come pensa il linguista Massimo Pittau.[1]

    Ma la cosa molto interessante, e profondamente rivoluzionaria rispetto alla posizione di tutti, credo, i linguisti tradizionali, è la constatazione che la forma sarda fruncu  può senz’altro essere accostata al lat. fur-unc-ul-u(m) ‘foruncolo’ sia nel nostro senso che nel senso di ‘gemma’, e in quello di ‘tralcio della vite’, inteso metaforicamente come ‘ladruncolo’ (lat. fur-unc-ul-u(m) ‘ladruncolo’, dalla radice di lat. fur-em ‘ladro’), cioè che sottrae la linfa al ramo principale. Ma abbiamo visto che l’ingl. prong ‘punta’ significava anche ‘ramo’: le parole non dimenticano le loro moltissime possibilità espressive, e allora si deve desumere che il significato di ‘tralcio’ in latino non è affatto metaforico in questo caso, ma reale e senza significati aggiuntivi, prima naturalmente  che il nome subisca l’incrocio di eventuale altro termine omofono, come in questo caso il lat. fur-unc-ul-u(m) ‘ladruncolo’ (che porta un valore aggiunto al primitivo significato, quello di tralcio ladro di linfa, ma più nell'interpretazione dei linguisti che nella realtà del significato latino che vale solo 'getto, protuberanza, tralcio'), e si diverta a prendere per il naso impietosamente i linguisti che abboccano con ingenuità perché non allargano lo sguardo  al vasto e remoto mondo da dove ci viene  questa parola, la cui vita non resta assolutamente ristretta alla lingua latina.

   Quando si sveglierà la Linguistica? Avrò mai l'onore di assistervi, data la mia età avanzata, anche se non troppo? Linguisti,  compagni miei spesso  più preparati di me, siate più concreti, non perdetevi dietro teorie a volte sottilissime che lasciano il tempo che trovano!

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