lunedì 5 luglio 2021

Caccavèlla.

 


E’ un altro nome del frutto della rosa canina, diffuso in Toscana, Umbria e Lazio, con alcune varianti come caccabèlla, cuccuvèlla[1]. Secondo il Cortelazzo il suo nome sarebbe dovuto al fatto che il frutto, nella forma, sembrerebbe una piccola pignatta, lat. caccab-us ‘pentola, paiolo’.  

    Ora, questa spiegazione non è di per sé errata, in quanto accosta il concetto di “rotondità” del frutto a quello speculare di “cavità” della pignatta.  Ma essa è, come dire, parziale perché non suppone affatto che la parola potrebbe spiegarsi come composta da due voci tautologiche se intesa come cacca-vèlla, con il primo membro corrispondente ai numerosi termini che ho citato nei due articoli precedenti su caca-vàscë ‘frutto della rosa canina’. 

    Esistono voci dialettali abruzzesi riportate dal Bielli quali cocca-vàllë, cucca-vàllë indicanti la ‘gallozzola della quercia’ che, rispetto all’altra voce balla-cucchë ‘gallozzola della quercia’, presentano i membri invertiti, dimostrando la loro indipendenza.  Ad Aielli-Aq la parola cucca-vèlla significa ‘pigna (frutto conico dei pini)’.  La componente –vèlla mi sembra variante di –valle e credo che possa richiamare, ad esempio, il ted. Welle ‘onda’, in quanto rotondità, rigonfiamento.  Intendiamoci! La parola caccavèlla potrebbe spiegarsi benissimo come fa il Cortelazzo, ma nel contempo non si può trascurare la soluzione da me proposta, che ricollega il termine alla radice caca nel senso di frutto rotondeggiante, la quale è anche la base, nel contempo, del lat. caccab-u(m) ‘pentola’ e delle rispettive parole dialettali come càccamë ‘recipiente da cucina’.A Milano la rosa canina è chiamata Rosa bella e non credo che chi pose per primo quel nome volesse dare un giudizio estetico del frutto.

 

   La spiegazione delle parole è spesso più complicata del previsto, a causa del significato d’origine genericissimo delle radici.  Non è detto che queste voci che fanno riferimento ai frutti rotondeggianti non indicassero, nei primordi, la pianta stessa che li produce, sia essa un’erba, un frutice o un albero vero e proprio, concetti a mio avviso da riportare tutti a quello di “protuberanza”: c’è un tardo latino cacabasia  che indica un tipo d’erba, termine riflesso in diverse voci dialettali come il ligure caga-bàsciu ‘solano nero’, marchigiano caca-bàscia ‘mercorella’, marchigiano cacca-basso ‘laureola’, in cui si resta un po’ incerti se  attribuire il nome alla pianta o ai frutti.

    Può succedere benissimo che un nome nato per indicare una pianta si incroci, dopo molto o poco tempo, con lo stesso nome che si è evoluto, autonomamente, ad indicare una rotondità, compresa quella del frutto.

  



[1] Cfr. Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani, UTET, Torino, 1998.

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