venerdì 22 gennaio 2021

Le mura ciclopiche.

 



 

   E’ abbastanza facile che le espressioni che si usano normalmente nella lingua di tutti i giorni, essendo spesso antichissime, nascondano un significato poco o molto diverso da quello usuale eppure nessuno si sogna di andarlo a scovare: si può dire, insomma, che talora usiamo locuzioni di lingue del lontano passato senza averne la pur minima contezza. 

  Una di queste locuzioni è, appunto, mura ciclopiche il cui significato di superficie è ‘mura costituite da massi poligonali piuttosto grandi, tanto che sembrano essere stati messi in opera dai famosi giganti mitologici dotati di un solo occhio al centro della fronte, come le mura di Argo,Tirinto e Micene nel Peloponneso, attribuite talora anche ai Pelasgi preellenici.  In realtà sappiamo benissimo che gli antichi conoscevano bene i sistemi e le tecniche per poter spostare e collocare al loro posto grandi macigni.  Se ad Atene esisteva una muraglia  chiamata muro pelasgico è quasi sicuro, a mio avviso, che l’aggettivo non si riferisse al supposto popolo preellenico che l’avrebbe costruita, ma alla muraglia stessa, di cui doveva essere un antico nome, poi caduto dall’uso.  Da noi ad Aielli-Aq la voce muràjja ’muraglia’ viene riferita solo ad un muro a secco, tipico delle mura ciclopiche.

    Anche per questa parola ciclope si verificò quello che succede più o meno a tutte le parole che  circolano da molti millenni: l’incrocio con altri termini simili.  La cosa, relativamente a ciclope, si può di primo acchito sospettare anche solo riflettendo sul racconto omerico a tutti noto dell’incontro del ciclope Polifemo con Ulisse e i suoi compagni.  Il ciclope era solito chiudere l’ingresso della grande grotta in cui abitava con un enorme macigno; enormi macigni confitti nel terreno costituivano  il recinto dinanzi ad essa, e quando Ulisse e i suoi compagni, dopo averlo accecato, risalirono precipitosamente sulla loro nave per sfuggire alla sua ira, il mostro imbestialito lanciò verso il mare massi enormi come cocuzzoli di montagna che, per fortuna, mancarono il bersaglio. Le Isole dei Ciclopi, faraglioni  dinanzi ad Aci Trezza nella provincia di Catania in Sicilia,  non traggono naturalmente il nome  dall’episodio  raccontato da Omero ma quasi sicuramente si trovavano lì, con quel nome, già in tempi precedenti a quelli del racconto, sebbene mitici[1],e, anzi, dovettero contribuire certamente alla nascita o sviluppo della narrazione omerica.

    Nel monte Cimo (Val d’Adige) si trova una strapiombante parete nota come Scoglio dei Ciclopi: molti penseranno che il nome sia dovuto alla reminiscenza degli Scogli dei Ciclopi siciliani di Aci Trezza, ma a riportarci con i piedi per terra sono umili voci dialettali abruzzesi come chichil-ònë (Lanciano-Ch.) ’pietra grande, grandine’ o come cìcëlë ’ciottolo, endice’[2]. Questi ultimi due significati, in particolare, sembrano sottolineare la ‘rotondità’ del sasso arrotondato (ciottolo) e dell’uovo, vero o finto, che si metteva nel nido dove le galline deponevano le uova.  Allora è molto appropriato supporre che i due termini dialettali non sono altro che l’esito del gr. kýkl-os ’circolo, ruota, ecc.’ attraverso l’inserimento  di una vocale anaptittica tra le lettera –k- e –l- che ha generato, appunto, chichil-òne e cìcë, quest’ultimo con la palatalizzazione della velare sorda –k-.  L’it. bicicletta, infatti, nel dialetto di Aielli-Aq, ad esempio, si trasforma in bëcëchëllétta. Ora bisogna osservare, però, che  il concetto di “rotondità” includeva, all’origine, anche quelli di “curva, piega, piegatura” nonché di “massa, masso, macigno”. Sia detto en passant, anche il macigno è un prodotto della ‘macina’, pietra cilindrica o comunque circolare dei mulini.

    I mostruosi e giganteschi  ciclopi  probabilmente erano stati originati proprio dai significati di ‘scogli, grandi rupi(minacciose)’ e successivamente si erano arricchiti di altri significati come quello di ‘occhio (-ṓps) rotondo (kýkl-)’. Del resto il gr. kýkl-ōps, come aggettivo (v. vocab. del Rocci), vale solo ‘rotondo, circolare’(altra spia della ripetizione tautologica). E non si è prestata attenzione al fatto che in greco anche il solo kýkl-os ’cerchio’ significava ‘bulbo dell’occhio, occhio’ e che quindi il termine kýkl-ōps ripeteva tautologicamente, nei due membri, lo stesso significato di ‘occhio’ o di ‘pietra, scoglio’. 

   Bisogna conoscerli questi fenomeni essenziali della Lingua per riuscire a sfuggire alle interpretazioni tradizionali di questi racconti, interpretazioni che altrimenti restano quasi obbligate, come è successo  da migliaia di anni a questa parte.

     



[1] Per una più dettagliata disamina della questione si legga il mio articolo  Isole dei Ciclopi. Genesi e sviluppo del mito (presente nel mio blog, 29/6/2018).

 [2] Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, Adelmo Polla  Edit. Cerchio-Aq, 2004.

     




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