giovedì 10 dicembre 2020

Abruzzese sciuscèlla ‘carruba’ ed altro.



 

    Nel mio paese di Aielli-Aq la parola è sciuscèlla come  nella vicina Cerchio-Aq (ma anche altrove, nel Meridione), mentre a Trasacco-Aq si ha la variante sciscèlla[1]. Non ne ho mai letto o sentito un etimo purchessia, o appena accettabile, dalle nostre parti: la parola è così poco maneggevole, per così dire, e con diversi significati (come vedremo), da  scoraggiare  chiunque e, semmai, da indurre a confonderla con altre.

   A me pare che, in fondo, l’etimo sia abbastanza facile, se si parte dal trasaccano sciscella, il quale dovrebbe essere l’esito finale di una forma del latino parlato *siliqu-ella> silic-ella> silcella> sicella> sciscella. Tutti questi passaggi non sono eccezionali, ma abbastanza comuni: in latino esiste infatti  la forma diminutiva silic-ul-a(m) ‘piccolo baccello’ da siliqu-a(m) ‘siliqua, carruba’. Eh già! La carruba è sostanzialmente una siliqua, un baccello.  Silicella  si trasforma in silcella per la semplice caduta della vocale atona –i-, come in it. pulcino da latino tardo pullicin-u(m); silcellasicella per la caduta della –l- come nel dialettale pëcìnë proveniente da lat. pulcin-u(m) ‘pulcino’; sicella, come avviene in altre parole, assume in dialetto, nella prima sillaba, la forma fricativo-palatale scicella che per assimilazione trasforma la seconda sillaba –ce- da palatale a fricativo-palatale.  Nulla di eccezionale, dunque:  la nostra sciscèlla o sciuscèlla non è altro che il lat. siliqua-(m),  naturalmente un po’ strapazzata attraverso i secoli dalla bocca dei parlanti.  Direi anche che il suffisso–ella ha perso, o quasi, il suo valore originario di diminutivo come in tante altre parole quali an-ello, cerv-ello, frat-ello.

    L’idea espressa dal lat. siliqu-a-(m) ‘baccello’ si ritrova anche nell’altro nome dialettale abruzzese della carruba, e cioè fain-èlla, vain-èlla, da *guain-èlla: un baccello è una specie di guaina, vagina, infatti, che contiene e avvolge i semi. 

    La scisc-èlla divenne sciusc-èlla perché si incrociò col il lat. ius-cell-u(m) ‘brodetto’, da lat. ius ‘brodo’, e taluni pensano che esso sia all’origine del dial. sciuscella ‘carruba’, perché in antico le carrube potevano essere cotte in un brodo, appunto.   Ma questo fatto non può in alcun modo sostituire la natura di siliqua del frutto. 

    Diversi sono i significati della voce sciusc-èlla nel Meridione riguardanti cibi di natura diversa ma più o meno immersi in un brodo.  L’idea di “guaina, baccello” che sta dietro il termine fa sì che nel dialetto romanesco esso significhi anche ‘giumella’[2], una cavità, dunque, formata dalle due palme delle mani, come fossero le due valve di un baccello.

      Ad Aielli-Aq, il mio paese, addirittura la sciuscella significa anche ‘ciabatta’, una scarpa leggera e senza allacciature, una specie di sandalo.  A mio parere qui opera sempre, alla base, il concetto di “copertura” o di “avvolgimento” del piede, come nell’ingl. shoe ‘scarpa’, ted. Schuh ‘scarpa’, ingl sky ‘cielo’, in quanto ‘volta celeste’ che copre, latino ob-scur-u(m) ‘oscuro, scuro’: ma questa radice non ha che fare con quella di sciuscèlla, anche se il significato fondamentale è lo stesso.

     Quanto ai verbi sciuscià ‘bere (liberamente)’ e sciuscià ‘spendere smodatamente, lapidare, consumare, ecc.’ si deve pensare ad altra radice, che per ora trascuro e lascio per qualcuno più esperto di me.

   



[1] Cfr. Q. Lucarelli, Biabbà Q-Z, Grafiche Di Censo Avezzano-Aq, 2003.

[2] Cfr. U. Buzzelli-G.Pitoni, Vocabolario del dialetto avezzanese, (senza edit ore), Avezzano-Aq 2002,  p. 326.

 

    



     

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