mercoledì 14 aprile 2021

Muzio Scevola.

 

                                       

 

   Notissima a quasi tutti gli italiani è la leggenda  di Gaio Muzio Scevola, il nobile romano il quale, intrufolatosi nel campo nemico degli Etruschi che assediavano Roma intorno alla fine del VI sec. a.C., tentò di uccidere il capo  Porsenna, come narra Tito Livio. Purtroppo il suo pugnale si infilò sulla schiena di un collaboratore di Porsenna, scambiato da lui per il re avversario.  Muzio non si perse d’animo, anzi, per mostrare tutto il suo coraggio, pose la sua mano destra, che aveva commesso lo sbaglio, sulle fiamme di un braciere ardente che era lì davanti e ve la tenne fino a quando non si bruciò interamente. Porsenna, ammirato di tanto coraggio, lo lasciò libero e fece la pace con Roma.

    Il nome del nobile romano era esattamente Gaius Mucius (Gaio Mucio), ma Mucius aveva la variante Mutius ‘Muzio’: sta di fatto, comunque, che a noi la leggenda è arrivata col nome Muzio, e non Mucio. Dopo il fatto Gaio Muzio fu chiamato Scevola (termine che deriva dal lat. scaev-u(m) ‘sinistro’) perché era rimasto solo con la mano sinistra. Tutta la leggenda in verità non si riferisce a qualche fatto  realmente accaduto, ma pare avere una forte motivazione  eziologica,  mirante a trovare l’origine del cognomen Scaevola proprio della gente Mucia. 

    Però mi pare che nessuno abbia fatto attenzione al nome Mutius ‘Muzio’ che offre un’esca prelibata alla supposizione che sto per fare: il nobile e leggendario Gaio Muzio in realtà doveva avere già la mano mozza, prima del verificarsi del famoso episodio, dato che nel latino parlato, già a partire dai suoi antichissimi tempi (VI sec. a.C)  e forse prima, doveva esistere  un aggett. *mutj-u(m) ‘mozzo, tagliato’, variante del classico mut-il-u(m) ‘mutilo’ e generato, credo, dalla palatalizzazione della –l-, fenomeno attestato già da epoca romana, anche se non si può escludere una diretta drivazione dalla radice mut-.  Aveva ragione Mario Alinei nel supporre che le forme dialettali sono più antiche o, semmai, coeve di quelle classiche. Ad Aielli-Aq, Cerchio-Aq ed altrove un coltello am-muzz-ìte< *ad-mutj-ite è un coltello che ha perso il filo, che taglia poco, che si è smussato, verbo anche questo collegato, attraverso il franc. mousse ’mozzo, troncato’, al lat. *mutj-u (m)  ‘mozzo’.

  La bella leggenda di Muzio Scevola, che appresi la prima volta dalla bocca della mia maestra di III elementare rimanendone colpito, si è autosviluppata certamente a partire dal nome Muzio del presunto protagonista. E questo dimostra che tutte le leggende sono, dal punto di vista linguistico, dei tesori che nascondono e contemporaneamente attestano stati della lingua, che possono raggiungere anche la preistoria.

     Ad onor del vero debbo riconoscere che nell’etimo proposto per l’aggett. mozzo da Ottorino Pianigiani (presente in rete), magistrato e linguista dell’Ottocento, si accenna anche al lat. mut-ilus nonché al lat. mutius, “usato –come lui si esprime- dai Latini solo come pronome (la  sottolineatura è mia)”.  Mi pare evidente che qui egli volesse intendere prenome invece di pronome, riferendosi al nome, però, piuttosto che prenome, Mutius ‘Muzio’.  Il prenome, secondo il sistema onomastico latino dei tria nomina, era Gaius ‘Gaio’(il nostro nome proprio); il nome era Mutius ’Muzio’ che individuava la gens cui si apprteneva (il nostro cognome); Il cognome  o soprannome era Scaevola (il nome della famiglia nucleare).               Comunque, onore e gloria al Pianigiani, spesso misconosciuto.

 

 

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