venerdì 9 aprile 2021

Scafare, scafarsi, scafato.

 

      

 

    Dalle nostre parti il verbo scafà significa ‘mutare pelo’ (detto di equini o bovini ed altri animali soggetti a tale fenomeno stagionale), oppure ‘fare il lavaggio delle pecore prima della tosatura immergendole nell’acqua di torrenti o stagni. Ha anche il senso figurato di ‘diventare più civile, disinvolto, nei rapporti con gli altri avendo acquisito una certa emancipazione e padronanza di sé’[1].  Quest’ultimo significato è presente anche nel romanesco, oltre a quello di ‘ liberare dal baccello, sgranare’.

    Ora, l’etimo del verbo sarebbe lo stesso del sostantivo dialettale scafa ’fava, baccello’ di cui abbiamo parlato nei precedenti articoli.  La s- iniziale di s-cafà, oltre ad essere parte della radice svolgerebbe contemporaneamente anche una funzione sottrattiva, proveniente dalla prep. lat. ex ‘fuori da’: il tutto significherebbe ‘cavare la fava fuori dal baccello’.  Io, però, temo fortemente che questo scafà  possa giungerci da una forma come quella del lat. ex-cav-are ‘cavar fuori, scavare’, incrociatasi colla voce dialettale scafa ‘fava, baccello’ e dando, così, il nostro scaf-are al posto dell’it. scav-are. Nel dialetto lucano di Gallicchio-Pz scafë vale ‘scavo’ e scafà vale ‘scavare’.

    Resta comunque da spiegare il significato di ‘mutare il pelo’ che difficilmente può, a mio avviso, derivare da quello di ‘sbaccellare, sgusciare’.  Per farlo bisogna ricorrere ad un valore fondamentale della radice in questione, che, come abbiamo visto in precedenti articoli, è quello di ‘spingere, urtare, cozzare, tagliare’: l’ant. slavo skuba-ti, che presenta la stessa radice di ingl. shove ‘spingere’ imparentata sempre con la radice in questione, significa proprio ‘cogliere, spennare, strappare (capelli)’ facendo capire che l’idea di “spinta” questa volta si concretizza e specializza in quella di “spennare, pelare, strappare” e “far pelare, perdere i capelli o il pelo”. Altrimenti non si spiegherebbe nemmeno il significato del dialettale scaf-etta ‘affettuoso pizzicotto dato sulla guancia’ (a Rocca di Botte-Aq)[2].

    Il verbo regionale scafarsi indica anche il rotolarsi di uccelli su terreno sabbioso asciutto, in particolare dei gallinacei, per liberarsi dei parassiti e quindi pulirsi, in un certo senso.  E qui riappare stupendamente uno dei significati base di queste radici come l’ingl. shave ‘radersi’, ad indicare l’azione dello sfregamento compiuto da questi uccelli al fine di togliersi di dosso le impurità incrostate e, anche qui, ripulirsi, in qualche modo lavarsi. Mi viene in mente il verbo abruzz. štrëc-ulà ‘stropicciare i pannolini, fregare gli occhi’, il trasaccano striquià ‘liberare dal fango secco un indumento incrostato’[3].  Il verbo è di ascendenza germanica, cfr. ted. streichel-n ‘passare sopra con la mano, lisciare’. E così abbiamo spiegato anche il significato di ‘fare il lavaggio (delle pecore)’ della radice scaf-.

    Ma non è finita. Nel dialetto di Avezzano-Aq si incontra il verbo scapà ‘togliere i semi dei cereali dai rispettivi baccelli’[4]: è lo stesso significato di scafà ‘sgranare, sbaccellare’ incontrato sopra.  Per esso ho supposto la derivazione possibile dal lat. ex-cav-are ‘cavar fuori’ ma non è escluso che sia una forma con fricativa sorda f- al posto della labiale sorda –p- di questo verbo scapà, come ce ne sono tante nei nostri dialetti, e di cui ho parlato anche qualche articolo fa.  Ma il significato originario di queste due forme non era tanto ‘togliere fuori dal baccello (scafa) i semi’ quanto quello di spingere via, strappare, estrarre’, significato che poteva andare bene anche per altre operazioni, come quella dello spennare, dell’estrarre tartufi dal suolo, del sottrarre qualcosa ad altri, ecc. e che  solo per caso, o per influsso di qualche radice che non conosciamo, si è concretizzato e specializzato in quello di ‘sbaccellare’. Spero di essere stato chiaro.

 

 



[1] Cfr. Q. Lucarelli, Biabbà Q-Z, Grafiche Di Censo, Avezzano-Aq, 2003.

[2] Cfr. M. Marzolini, “…Me ‘nténni?” , Arti Grafiche Tofani, Alatri-Fr, 1995.

 

[3] Cfr. Q. Lucarelli, cit.

[4] Cfr. Buzzelli-Pitoni, Vocabolario del dialetto avezzanese, senza editore, Avezzano-Aq 2002.

 

    

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