giovedì 4 marzo 2021

Ancora sulle particolari parole riferite ai defunti, di cui parlavo ieri.

 

          

    Anche stamane, mentre ero ancora a letto (a mente serena e riposata si capiscono meglio le cose), mi sono ricordato di avere già incontrato in latino una radice fav-  che indicava il silenzio nell’espressione religiosa  fav-ēre linguis ‘tacere’ (letteral. ‘essere propizio con la lingua’) rivolta agli astanti in un sacrificio. Si incontra peraltro anche il semplice fav-ēre ‘fare silenzio’.   Ma questa radice è considerata dai linguisti (credo nessuno escluso) la stessa del verbo lat. fav-ēre ‘essere favorevole, propizio’. No! Assolutamente! Io penso che essa, col favore del fatto che appare solo in questa unica espressione, se ne stia tutta  quieta sotto l’altra  ben nota per non farsi riconoscere, ma al sottoscritto (detto senza nessuna iattanza) non la dà a bere: essa è la stessa di cui ho parlato ieri, la quale si ritrova nell’ingl. few ’pochi’, nel gr. paú-ein ‘cessare, smettere’, nel lat. pau-per-e(m) ‘povero’ e nell’it. fu ‘defunto’. Sicchè l’espressione suddetta fav-ēre linguis aveva all’origine il semplice e diretto significato di ‘smettere di parlare, fare silenzio’ e non di ‘essere propizio con la lingua’.  Il lat. faventi-a (m) vale ‘silenzio, raccoglimento (religioso)’ come pure, a volte, lo stesso lat. favor-e(m) ‘favore, simpatia, sostegno, ecc,’.

    Ieri mi è sfuggita la presenza di un antico norreno far ‘poco, taciturno’ messo in relazione dai linguisti con ingl. few ‘pochi’. Ora, questo accostamento sembra giusto semanticamente, anche se non spiega la consonante liquida finale –r- di far ‘piccolo, taciturno’.  Questo far non va connesso, infatti, esattamente con ingl. few ‘pochi’ bensì col secondo membro tautologico di lat. pau-per-e(m), che ha lo stesso significato di ‘manchevole, mancante’ del primo membro[1].  Anche l’it. orbo, ad esempio, è una specializzazione di lat. orb-u(m) che aveva sostanzialmente il significato generico di ‘privo di’.

    Ant. norreno far abbiamo visto che significa, oltre a ‘poco’, anche ‘taciturno’: come si spiega ciò? Credo che non sia molto difficile rispondere giacchè il significato di fondo di queste radici era ‘manchevole’.  Ora si può essere manchevole di beni (povero) e manchevole di parole (muto o taciturno).  Comincio a pensare che anche il lat. mut-u(m) ‘muto, tacito, silenzioso’ debba essere messo in rapporto con la radice di lat. mut-il-u(m) ’senza corna, mutilato, mozzo’, piuttosto che essere spiegato come onomatopeico. Non credo in genere nelle onomatopee. Vivaddio!

   



[1]  Per una approfondita trattazione di questa radice “per” cfr. l’articolo del mio blog di Meditazioni Linguistiche intitolato  Un’altra espressione aiellese-abruzzese […] del 21 dicembre 2019.     

 

    


Anche stamane, mentre ero ancora a letto (a mente serena e riposata si capiscono meglio le cose), mi sono ricordato di avere già incontrato in latino una radice fav-  che indicava il silenzio nell’espressione religiosa  fav-ēre linguis ‘tacere’ (letteral. ‘essere propizio con la lingua’) rivolta agli astanti in un sacrificio. Si incontra peraltro anche il semplice fav-ēre ‘fare silenzio’.   Ma questa radice è considerata dai linguisti (credo nessuno escluso) la stessa del verbo lat. fav-ēre ‘essere favorevole, propizio’. No! Assolutamente! Io penso che essa, col favore del fatto che appare solo in questa unica espressione, se ne stia tutta  quieta sotto l’altra  ben nota per non farsi riconoscere, ma al sottoscritto (detto senza nessuna iattanza) non la dà a bere: essa è la stessa di cui ho parlato ieri, la quale si ritrova nell’ingl. few ’pochi’, nel gr. paú-ein ‘cessare, smettere’, nel lat. pau-per-e(m) ‘povero’ e nell’it. fu ‘defunto’. Sicchè l’espressione suddetta fav-ēre linguis aveva all’origine il semplice e diretto significato di ‘smettere di parlare, fare silenzio, tacere’ e non di ‘essere propizio con la lingua’.  Il lat. faventi-a (m) vale ‘silenzio, raccoglimento (religioso)’ come pure, a volte, lo stesso lat. favor-e(m) ‘favore, simpatia, sostegno, ecc,’.

    Ieri mi è sfuggita la presenza di un antico norreno far ‘poco, taciturno’ messo in relazione dai linguisti con ingl. few ‘pochi’. Ora, questo accostamento sembra giusto semanticamente, anche se non spiega la consonante liquida finale –r- di far ‘piccolo, taciturno’.  Questo far non va connesso, infatti, esattamente con ingl. few ‘pochi’ bensì col secondo membro tautologico di lat. pau-per-e(m), che ha lo stesso significato di ‘manchevole, mancante’ del primo membro.  Anche l’it. orbo, ad esempio, è una specializzazione di lat. orb-u(m) che aveva sostanzialmente il significato generico di ‘privo di’. 

     Ant. norreno far abbiamo visto che significa, oltre a ‘poco’, anche ‘taciturno’: come si spiega ciò? Credo che non sia molto difficile rispondere giacchè il significato di fondo di queste radici era ‘manchevole’.  Ora si può essere manchevole di beni (povero) e manchevole di parole (muto o taciturno).  Comincio a pensare che anche il lat. mut-u(m) ‘muto, tacito, silenzioso’ debba essere messo in rapporto con la radice di lat. mut-il-u(m) ’senza corna, mutilato, mozzo’, piuttosto che essere spiegato come onomatopeico. Non credo in genere nelle onomatopee. Vivaddio!

    

    




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