lunedì 29 marzo 2021

I capëfùchë.

 

                                

    Sono gli alari nel dialetto di Aielli e in molti altri, al sing. capëfόchëLetteralmente significano ‘capi del fuoco’ lasciando un po’ tentennanti su questa definizione: sarebbero i capi del focolare, o in capo al focolare? Ambedue le possibilità non calzano bene, sono come scarpe un po’ troppo strette o larghe che danno fastidio nel camminare.

    A mio parere si tratta di un precedente nome del focolare stesso, adoperato per indicare gli alari, come spesso succede: una parola desueta o sostituita da un’altra per vari motivi, cerca di non scomparire e, se può, si adatta, non sempre però a pennello, ad indicare qualcosa in rapporto  col precedente  significato, come gli alari in questo caso.

   Il primo membro di capë-fόchë deve corrispondere al primo membro di marsicano-abruzzese cap-ërna-tura, cioè ‘capruggine’, intaccatura delle doghe, nella quale si commette il fondo della botte o del bigoncio. Ho potuto notare, nel corso della mia ricerca, che più di una volta la labiale sorda –p- viene sostituita dalla fricativa sorda –f- come in aquilano cap-urchjë ‘cesto, cavità, caverna’ rispetto ad aiellese-abruzzese caf-urchjë ‘cesto, caverna, bugigattolo’.  A Luco dei Marsi caf-òrgna vale ‘cavità, grosso buco’[1]. Possiamo quindi con una certa sicurezza affermare che in questi casi il membro caf- è equivalente al cav- di it. cav-erna e al capë-  di *capë-fόchë nel significato, però, di ‘cavità del focolare’ non di quello di ‘alare’ assunto successivamente.

     Riflessione finale. Queste radici o gruppi di radici li abbiamo incontrati a proposito di fonti (fonte Cap-erno nel Sirente), monti, alture, punte (pizzo Caf-ornia, sul Velino): non si tratta di coincidenze casuali, ma coincidenze che chiamerei illuminanti (per chi ha occhi per vedere), perché una fonte o un corso d’acqua nasconde dietro di sé una forza che lo spinge a scorrere; il monte nasconde (mica tanto, poi, stante il suo chiaro etimo) una forza che lo spinge verso l’alto; la valle nasconde una forza che la spinge verso il basso, la de-prime.  L’uomo parlante non poteva creare nomi specializzati fin dall’origine, a meno che non avesse voluto legarsi le mani: il suo istinto naturale, e per questo di una intelligenza sorgiva, lo spinse a creare radici e parole aperte a moltissimi significati.

   

   



[1] Cfr. G. Proia, La parlata di Luco dei Marsi, Grafiche Cellini, Avezzano-Aq, 2006.

 

    

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