lunedì 2 agosto 2010

Il nome del paese di Aielli (in dialetto Aéjje)

Sono passati ormai molti anni da quando iniziai la mia ricerca toponomastica e linguistica e, pur avendo per così dire fatto conoscenza di un rilevante numero di idronimi, oronimi e coronimi, non mi sono mai deciso a tentare un’etimologia del nome del mio paese di Aielli-Aq, per un paio di motivi: 1. Non ho mai creduto alla vulgata di questo toponimo diffuso in tutta Italia (cfr. Aiello del Friuli, Aiello Calabro, Aiello del Sabato-Av, Agello-Pg, Agelli-AP, Gello-Ar, Rocca d’Aiello a Camerino-Mc, Monte Agellu, quartiere di Porto Torres in Sardegna, ecc.) e spiegato come derivante dal lat. agellu(m) ‘campicello, poderetto’. E’ il mio metodo di lavoro e la convinzione derivatane che i significati profondi di una radice sono ben più numerosi di quelli attestati in qualche lingua a noi nota a impedirmi di sottoscrivere quanto gli altri sostengono in merito a questo toponimo. 2. Consta, per quanto riguarda il nostro Aielli, che il paese si trovava a circa 2/3 km dal sito attuale, ai piedi del monte Costa Pëlara su un piccolo colle a schiena d’asino[i] proprio a ridosso della Rottë Sbusciata ‘Grotta Bucata’, formato da rocce aggettanti dallo stesso monte che costituivano quindi la rocca della piccola comunità, le cui casupole dovevano sorgere anche nel leggero declivio sottostante ( inciso ad est da un fosso arenoso proveniente dal Rënalë Ruscë ‘Renaio Rosso’ e ad ovest dal letto del Rio d’Aielli, chiamato localmente soltanto u Ri ‘il Rio’), come sembra confermare il Di Pietro[ii] descrivendo l'insediamento con l’espressione Casale di Aielli-vecchio e come fanno supporre sparsi resti murari osservabili nel boschetto che ora occupa la zona. Il paese era certamente molto piccolo e costituiva uno dei diversi (una decina) villaggi, casali e castelli che si riunirono, alcuni intorno alla metà del XIV secolo, molto più tardi gli altri, a formare l’attuale centro montano, appollaiato anch’esso su una chiostra di rocce nella parte più bassa, e nella parte più alta addossato, soprattutto in passato, all’altura rocciosa chiamata u Castéjjë ‘il Castello’ costituente una sorta di acropoli con in cima la torre famosa. Ora, per cercare il probabile etimo di un toponimo relativo ad un centro abitato, è certamente indispensabile individuare il luogo d’origine di quest’ultimo e valutarne la conformazione geomorfica. Ma in questo caso, a ben pensarci, restando la caratteristica fondamentale dell’insediamento immutata sia che il paese si fosse aggrappato sin dai suoi primordi alle rocce di Aielli Vecchio sia che venisse riedificato per la seconda volta, come taluno pensa, sulla chiostra di rocce del sito attuale o anche sull’altura rocciosa dello stesso, cioè sull’ “acropoli” del Castello (u Castéjjë) si può dire che le vicissitudini storiche non ne hanno comunque mutato la fisionomia di centro fortificato dalla natura stessa del luogo, costituita da rocce. Sicchè, ai fini della individuazione del più probabile etimo di Aielli non può essere di impedimento nemmeno l’ipotesi dell’archeologo Giuseppe Grossi in base alla quale la storia di Aielli comincerebbe sul sito attuale del paese come oppidum marso prelatino[iii], si sposterebbe poi ad Aielli Vecchio nel periodo dell’incastellamento (X sec.) per poi riapprodare definitivamente qui sul sito attuale di Aielli, verso la metà del XIV secolo. Il Grossi basa la sua supposizione su osservazioni abbastanza attendibili ma che hanno purtroppo il difetto di non essere supportate da nessuna epigrafe antica che permetta di fissare con sicurezza la sede originaria di Agellu(m) sul sito attuale, benchè il toponimo sia in qualche modo attestato già da un’epigrafe del II sec. d. C. proveniente da San Benedetto dei Marsi (l’antica Marruvium, capitale dei Marsi) in cui compare l’etnico Agellani ‘Aiellesi’ insieme a quello di Caelani riferibile non all’attuale Celano ma ad un vicu(m) dal nome probabile di Caelum oppure Caela situato nel territorio di Aielli in località da Cèlë. Fu il laboratorio storico “Don Andrea Di Pietro” di Aielli a proporre lo scioglimento del Caelani dell’epigrafe in ‘abitanti di Cèlë’ e la cosa fu confermata dall’archeologo Cesare Letta dell’università di Pisa. Ritornando all’assunto, per quale motivo poi nell’alto medioevo la popolazione di Aielli, che poteva rafforzare in situ le difese naturali già eccezionali, doveva sentirsi costretta ad andare ad arroccarsi sul sito di Aielli Vecchio, molto più ristretto e forse insufficiente ad accoglierla tutta? Inoltre c’è un altro motivo, sia pur labile quanto si vuole, che impedirebbe di stabilire la sede originaria di Agellu(m) sul sito del paese attuale. Il termine che designava la chiostra di rocce su cui sorge il paese doveva essere Rìccia in antico, visto che ancora oggi tutta la zona sottostante viene chiamata Sottë Rrìccia. Di conseguenza l’eventuale centro fortificato al di sopra di esse avrebbe dovuto portare lo stesso nome: cfr. il nome del paese Riccia-Cb, posto su uno sperone. La gente d’Aielli connette istintivamente il termine con quello di roccia, tanto evidente ne è il significato che inequivocabilmente indica il ‘bastione roccioso’. Ma in realtà si tratta di una radice prelatina brikka col significato di ‘altura rocciosa, dirupo, monte’ da cui derivano il bric ‘monte’ di tante parlate dell’Alta Italia e anche, a mio parere, l’aiellese vërìcca ‘sassolino’, il trasaccano vërìccia ‘pietruzza’ nonchè il vocabolo del dialetto di Castellafiume-Aq che suona rìccia[iv] (con la caduta della spirante iniziale) dal medesimo significato, tutti termini corrispondenti all’ it. breccia. La contemporanea presenza ad Aielli delle due forme Rìccia e vërìcca, di cui la prima legata al toponimo col significato di ‘bastione roccioso’, non costituisce difficoltà alcuna, perchè essa dimostra semmai la varietà delle tradizioni linguistiche confluenti nel lessico di uno stesso dialetto in un lasso di tempo del resto così enorme da attingere e forse immergersi in profondità nella preistoria. Che il paese di Aielli esistesse sicuramente anche in epoca latina classica ce lo conferma la pronuncia dialettale del suo nome, cioè Aéjjë non Ajéjjë come nella vicina Cerchio, per esempio. Nella pronuncia aiellese si riscontra il fenomeno della lenizione totale della velare sonora –g- intervocalica, il quale presuppone la pronuncia gutturale della –g- di epoca classica, non quella palatalizzata di it. angelo, per intenderci. Lo stesso fenomeno ricorre in altri casi come in fràula ‘fragola’ dal lat. *fragula(m), téula ‘tegola’ dal lat. tegula(m), ainàsse ‘affrettarsi, darsi da fare’ dal lat. aginare ‘muoversi, darsi da fare’, ecc. L’altro toponimo Castello designante la parte alta, la rocca del paese, dove non esisteva un ‘castello’ vero e proprio ma certamente una fortificazione, dovrebbe far parte comunque della serie numerosa delle alture con quel nome ma senza un ‘castello' o ‘fortificazione’ di sorta sulla sommità. Il fatto è che, secondo me, nella remota antichità il termine doveva indicare semplicemente un’altura più o meno difficile da prendere per l’asprezza della sua stessa natura. Il nome latino castellu(m) è formalmente diminutivo di castru(m) ‘luogo recintato, fortezza’ ma in sardo castru equivale anche a ‘macigno, roccia’, il che fa capire che esso, con significato oronimico, doveva circolare ben prima del suo parente latino (cfr. anche la voce castel 'poggio' nelle Alpi occidentali, a Lanzo e Usseglio). Il lato occidentale del Castello, subito all’esterno della porta Jannëtèlla, è chiamato tuttora Sottë la Matta, propriamente denominazione del tratto di strada sottostante alla parete rocciosa, da ricondurre senz’altro alla radice oronimica mat-, ben nota ai linguisti. Così stando le cose, sembra che i luoghi rilevanti del paese, che ne costituiscono la fisionomia e che quindi stimolarono la mente dell’uomo preistorico che li designò per la prima volta, abbiano avuto tutti i loro bei nomi antichi e nulla resta di un eventuale nome Aielli, Agello, Aéjjë e simili che avrebbe dovuto sottolineare qualcuna di quelle caratteristiche di cui andiamo discutendo. E’ anche vero, però, che spesso un nome del genere, una volta passato a designare tutto il paese, lascia la caratteristica da esso indicata, libera di ricevere altro nome, solitamente quello corrente, relativamente alla caratteristica, nei vari strati linguistici che si susseguono. Pertanto tutto il mio precedente ragionamento non può avere carattere vincolante ma solo propositivo e probabilistico. Mi pare comunque opportuno far notare che, in questo contesto, un eventuale significato di ‘campicello’ da assegnare al toponimo in questione stonerebbe non poco giacchè i terreni agricoli dovevano essere fuori di questo luogo vocato dalla natura a difesa degli uomini e degli animali. Del resto è fortemente indicativo, ai fini di individuare un etimo accettabile per Agellu(m), il fatto che tutti gli altri nomi dei punti notevoli del paese appartengano, come abbiamo visto, al sostrato prelatino. Esiste ad ovest dell’Aquila, all’interno di un’area delimitata dai paesi di Pizzoli, Barete, Marana, Montereale, Paganico, Capitignano ed altre località, un modesto in elevazione ma abbastanza vasto altopiano noto come Pianoro d’Aielli nei paesi circostanti. Gli abitanti di Castello, una delle tre ville in cui si divide Paganico, usano l’espressione l’aielli per indicare la regione sommitale che immette nel pianoro o il pianoro stesso, se ho ben interpretato quanto Antonio Sciarretta[v] afferma nel suo sito internet Toponomastica dell’Appennino Abruzzese da cui ricavo queste notizie. L’articolo determinativo singolare quindi non «serve a puntualizzare e circoscrivere ‘proprio’ quella regione detta aiélli» come sostiene Sciarretta, ma a mio avviso è un indizio non trascurabile che in un passato, anche remoto, il sostantivo non solo dovesse essere un nome comune trasparente nel significato, ma anche che questo dovesse designare globalmente la realtà geografica dell’altopiano e non quella di eventuali e numerosi ‘campicelli’ disseminati nel pianoro intorno a cui ruotavano quasi tutti i diversi paesi dei dintorni, come abbiamo visto. Del resto una indicazione complessiva, con termine latino, di tutta la zona agraria del pianoro avrebbe dovuto avere normalmente la designazione di agru(m) ‘campo, campagna’. Il diminutivo agellu(m), semmai, sarebbe andato a pennello, anche nella forma del plurale, per i pochi campi o orti probabilmente fertili della stretta fascia ai lati del fiume Aterno, certamente non paragonabile per estensione a quella dell’altopiano, come afferma lo stesso Sciarretta, orti con cui gli abitanti di questi paesi dovevano avere una frequentazione quotidiana che giustificherebbe ancora di più il valore affettivo del diminutivo-vezzeggiativo agellu(m), trovandosi le loro residenze probabilmente in mezzo ad essi o nelle immediate vicinanze. Nella villa di San Giovanni, non lontano da Castello, l’altopiano si ritrova peraltro senza un nome proprio «ma per indicare –spiega Sciarretta- le tre cimette della montagna di Mozzano, la più alta del loro tenimento, i locali usano l’espressione picchi ajénni, la quale contiene il coronimo ajénni che certamente da Aielli dipende, pur essendosi verificato un altrimenti raro scambio di liquide». Anche qui credo che bisogna rovesciare la posizione di Sciarretta, secondo il quale il nome originario dell’altopiano si sarebbe esteso anche alla designazione di queste cimette, ma il caso vuole che proprio in questo paese manca la designazione di esso: allora diventa legittimo almeno sospettare che le tre cimette traessero il nome, non dal pianoro, ma dalla loro natura di ‘picchi, cime’ riconfermando così il mio ragionamento sul significato profondo della radice in questione, che poteva essere anche quello di ‘altura, vetta, altopiano’. Inoltre la corruzione in ajénni dell’originario ajélli dovette essere favorita soprattutto dal fatto che il valore di ‘campicello’ in questo caso appariva palesemente contraddittorio alla mente dei parlanti, trattandosi di cime brulle di una montagna e non dei terreni più o meno fertili del pianoro. In conclusione, qui il significato di ajénni non sarebbe altro che la ripetizione tautologica di quello di picchi o, meglio, viceversa. Esso quindi non sarebbe latino se non nella veste esteriore: la sua radice dovrebbe essere variante, a meno che non si tratti di rietimologizzazione latina di una base precedente, della ben nota radice ak- che dà vita in latino a diversi termini ruotanti intorno al significato di ‘punta’ come ac-utu(m) ‘acuto’, ac-etu(m) ‘aceto’, acr-e(m) ‘acre’, ac-ie(m) ‘filo tagliente (della spada), acutezza (degli ochi)’, ac-u(m) ‘ago’. Per il greco basti ricordare l’aggettivo sostantivato ákr-on ‘estremità, punta, vetta, promontorio’ che fa il paio con la voce aiellese acr-éjjë ‘pungiglione’. Pertanto si può supporre che una forma *ak-ell, divenuta ag-ell- per incrocio col lat. ag-ell-u(m) 'campicello, indicasse nella preistoria a seconda dei casi, dei tempi e delle lingue, una punta, una guglia, un’altura, un monte o un bastione roccioso quale quello di Aielli Vecchio, che d’altronde oggi non ha un nome particolare come quelli di Aielli attuale, chiamati Riccia e la Matta. E attenti a non prendere per ipocoristico il significato del falso suffisso –ellu(m), il quale divenne tale solo con l’arrivo del latino. Mi pare inoltre che il toponimo sia il corrispettivo di tipi come Ackel-berg ‘monte Ackel’, o anche della variante Ahel-berg ‘monte Ahel’, presenti in area germanica. A ben riflettere il colle roccioso di Aielli Vecchio si profila come un vero e proprio “sperone” d'angolo dipartentesi dal corpo del monte Costa Pëlara, delimitato nel lato ovest dal tratto finale di una specie di forra percorsa dal Rio d’Aielli (immediatamente prima che essa, all’altezza della Rottë Sbusciata, prenda la forma di un normale e abbastanza ampio letto), e ben visibile da una quota superiore dello stesso monte o anche dal margine orientale dei pascoli della Dëfènza, sul lato opposto della forra. Tutta la questione generata dall’espressione naégli con cui a Pizzoli si designa l’altopiano e che offre il destro a Sciarretta di ipotizzare all’origine del toponimo una forma prelatina navelli col significato di ‘conca, pianoro circondato da monti’(cfr. basco naba ‘concavità’) mi sembra che debba cadere automaticamente quando si dimostra che essa rientra invece perfettamente nell’ambito del toponimo ajélli che è d’altronde così diffuso in questi paesi a designare la stessa zona. Il fatto è che Sciarretta vede una qualche difficoltà nell’espressione naégli, a volerla intendere come in aégli = in aielli, e cioè come normale risultato dell’agglutinazione della preposizione in al sostantivo aégli. Egli infatti sostiene che «rimane la difficoltà fonetica della sparizione totale del nesso latino –ge-, che invece avrebbe dovuto produrre un toponimo *najégli. Rimane allora valida l’ipotesi di un influsso di un preesistente Navelli su un successivo, e preponderante, Aielli». Ora, in prima istanza mi sembra che qui Sciarretta non sia molto accurato, contrariamente al solito, quando parla della sparizione totale del nesso latino –ge- in quanto si tratta della sparizione della sola –g-, e in secondo luogo questo fenomeno della lenizione della velare sonora intervocalica è abbastanza frequente, tanto è vero che, l’abbiamo visto più sopra, nel mio dialetto di Aielli il nome del paese suona proprio Aéjjë e non Ajéjjë come, ad esempio, nella vicina Cerchio. Spesso anche in paesi vicini si incontrano differenze, non solo di pronuncia: pertanto viene a cadere completamente la difficoltà rappresentata dal fatto che, secondo Sciarretta, dal lat. Agellu(m) si sarebbero dovuti avere i soli esiti Ajelli, Ajegli, Ajejjë con la presenza costante della –j-, derivante dalla precedente –g-. Eppure egli stesso, per l’etimo di Teora (che a mio avviso dovrebbe comunque essere accostato a quello della città sabina di Tiora Matiene di cui parla Dionigi di Alicarnasso poco più di duemila anni fa), villaggio di Colli di Barete, propone un lat. teguria, plurale di tegurium ‘capanna’, da cui quindi cade la velare sonora, fenomeno che a mio avviso dovette nascere molto per tempo, ancora in presenza della pronuncia gutturale della velare, come nel latino classico. Ugualmente egli propone, per la montagna di Faéta vicino Pizzoli, l’etimo di lat. fagetu(m) che presuppone la caduta della -g-. Anche per quanto riguarda il mio paese di Aielli è attestata la forma semicolta, un po’ involuta e sovrabbondante, di in nagello da in Agello in un documento (inizio ‘500) dell’Archivio Diocesano di cui parlo nell’articolo Il “libro dei conti” della SS. Trinità di Aielli, presente nel giornale internet Terre Marsicane. A dire il vero la radice ak-, come tutte le altre, poteva avere altri significati, secondo la mia teoria. In greco, ad esempio, l’aggettivo ákr-os ‘alto, sommo, estremo’ aveva talora il significato di ‘intimo, profondo’ comportandosi così come il lat. altu(m) ‘alto, profondo’. Inoltre è fondamentale, a mio avviso, capire che i due concetti non derivano l’uno dall’altro, come si è propensi a credere, bensì dal concetto ad essi sovraordinato di ‘esteso, lungo’ . Ma, a ben riflettere, il concetto di ‘lungo’ è già una specializzazione di quello di ‘estensione’ nel senso della lunghezza, come ‘alto’ lo è nel senso dell’altezza e ‘profondo’ in quello della profondità. L’aggettivo composto akro-mállos in greco significa ‘ dal lungo (akro-) pelo (-mallos)’ e non , ad esempio, ‘dal pelo pungente’ come potrebbe indurre a credere il preponderante significato di ‘punta’ della radice che abbiamo incontrato sopra. Questo significa che potrebbe essere sostenibile anche un significato di ‘bacino’ in quanto ‘avvallamento, profondità’ per tutta l’area del pianoro d’Aielli, che prenderebbe il nome da un «minuscolo bacino endoreico» (l’ajélli a Paganico, naégli a Pizzoli) circondato da monti, come Sciarretta asserisce un po’ a sorpresa verso la fine della sua del resto accurata descrizione di tutto il Massiccio di Aielli, di cui si è parlato sopra: ho infatti sostenuto più volte nei miei scritti che un monte è il rovescio di una valle, che una concavità può essere vista come una convessità e che ambedue rientrano nel concetto di ‘curva, circolarità’. Nelle varie parlate sarde il termine conca può avere il significato di ‘conca, caverna, scodella, madia’ da un lato, ma anche quello di ‘testa’ dall’altro. E questo succede – lo ribadisco ancora una volta- non perchè ciascuno di questi concetti derivi metaforicamente da qualcuno degli altri, ma perchè tutti rientrano in quello sovraordinato di ‘rotondità’, non importa se regolare o meno: cfr. il raro aggettivo greco ag-és ‘curvo, rotondo’, gr. ák-ylos ‘ghianda di leccio’, gr. ák-olos ‘tozzo, pezzo di pane’, lat. ac-us, eris ‘pula, paglia’. [i] Cfr. Giuseppe Grossi, Aielli Vecchio, Terre Marsicane, giornale in Internet. [ii] Cfr. Andrea Di Pietro, Agglomerazioni delle popolazioni attuali della Diocesi dei Marsi, Adelmo Polla editore, Avezzano, ristampa anastatica della edizione del 1869, p. 144. [iii] Cfr. Giuseppe Grossi, Aielli.Il periodo antico, Terre Marsicane, cit. [iv] Cfr. Dante Di Nicola, Storia di Castellafiume, Grafiche Di Censo, Avezzano 2007, p. 220. [v] Cfr. Antonio Sciarretta, sito internet: digilannder.libero.it/toponomastica/taa.html, Il massiccio di Aielli.