martedì 1 novembre 2011

Fegato: forti dubbi sull'etimo più accreditato; toponimi come Borgocollefegato



La maggior parte degli etimologi sostiene che il nostro fegato trae origine da una strana abitudine del più rinomato, originale e stravagante gourmet latino, Marco Gavio Apicio, il quale avrebbe inventato una ricetta particolare formata da fegato di maiale o di oca ingrassato con i fichi, che avrebbero dato alla pietanza un sapore particolarmente delicato. Apicio, vissuto nell’età di Augusto e Tiberio, sembrerebbe anche l’autore del nucleo fondamentale di un’opera di cucina dal titolo De re coquinaria, opera in dieci libri, frettolosa e disorganica, su cui si sono depositate sedimentazioni varie fino al IV sec. d. C. Lo scritto, quindi, è frutto di mani diverse e spesso tese ad esaltare la “leggenda” di questo singolare personaggio che alla fine si sarebbe suicidato perché non più in grado, a causa delle sue spese veramente pazzesche, di allestire altri banchetti degni della sua fama. La figura storica di Apicio risulta in effetti un po’ vaga e sfumata, dai contorni fantasiosi, tanto che si pensa anche che essa possa corrispondere a diversi personaggi vissuti in epoche diverse.

Io mi sono posto queste domande: ammesso e non concesso che la ricetta di Apicio fosse vera, è mai possibile che il vecchio nome del fegato, il lat. iecur, iecinoris, sia stato sepolto in tutta la Romània (cfr. it. fegato, sp. higado, port. figado, fr. foie, prov. fetges, rum. figàt, gr.mod. sykóti) sotto l’incalzare, anche presso il grosso pubblico, di questa stravaganza del nostro eccentrico e ricchissimo buongustaio, tanto da poter sostituire dappertutto con naturalezza ed esclusività assoluta l’altro nome per il ‘fegato’, anche quando esso non indicava quello ingrassato con i fichi? E’ mai possibile che la gente comune, allora ben lontana dalle possibilità e dagli usi della élite straricca e stravagante, abbia potuto far proprio, usandolo nella vita di tutti i giorni, un vocabolo, lo (iecur) ficatum ‘ (fegato ingrassato) coi fichi’, che si riferiva appunto solo ad una ricetta particolare escogitata da Apicio il cui ingrediente essenziale erano i ‘fichi’, come ribadiva il significato della voce ficatu(m), ben chiaro all’uomo comune di allora diversamente da quanto succede oggi con fegato? Chi d’altronde poteva avere i mezzi per nutrire questi animali con una dieta a base di fichi? Ci sarebbero voluti interi ficheti per permettersi il lusso di allevare in questo modo, per mesi e mesi, dei maiali. A mio avviso, pertanto, tutta questa storia sa piuttosto di invenzione e leggenda, tanto è vero che circolano anche altre spiegazioni in internet, più realistiche, del termine ficatu(m), come quella che fa riferimento all’uso dei Romani, non so quanto veritiero, di mangiare il fegato infilzandolo a pezzetti, alternati a fichi, in stecchi di legno. In questo caso io non posseggo una prova regina diretta che possa tagliare la testa al toro come in altri casi descritti nei precedenti post, ma una serie di indizi, anche sostanziosi, mi spinge a sostenere quello che sto per dire.

Il fegato, grossa ed importantissima ghiandola del corpo umano, ha una forma a cuneo costituito da due lobi principali: semanticamente la sua radice dovrebbe rientrare, a mio parere, tra le tante che esprimono il concetto di ‘massa, grumo, mucchio, rotondità, protuberanza’. In effetti il lat. ficu(m) ‘fico’ aveva anche il significato di ‘porro, tumore, rigonfiamento’. Il suo derivato ficatu(m), quindi, con molta probabilità non dovette essere originariamente termine culinario relativo alla ricetta più sopra descritta, ma antichissimo nome del fegato che forse in un primo tempo, magari all’ombra di qualche dialetto, vivacchiò parallelamente a quello ufficiale di iecur o iocur e poi, per motivi difficili da individuare, si diffuse talmente tra il popolo da sostituire in tutta la Romània il termine iecur. Nel frattempo, però, il probabile significato originario di *ficatu(m) ‘corpo rotondeggiante’ dovette andare perduto in latino (benchè non del tutto, come ficum ‘tumore’ dimostra ) a tutto vantaggio di quello botanico di ficu(m) ‘fico’, albero e frutto, sicchè fu fatale ricondurre a questo ambito botanico l’origine di ficatu(m) ‘fegato’, mediante l’invenzione dei fegati ingrassati con i fichi, ricetta gradita ad Apicio, personaggio dai tratti leggendari. Si tratterebbe insomma di una delle solite etimologie popolari, inevitabili quando un vocabolo nuovo, straniero o dialettale, entra nel tessuto di una lingua e per giunta va a combaciare alla perfezione con la radice di una parola già molto diffusa tra la gente. Questi fenomeni diventano ancora più comprensibili e semplici da spiegare se si situano entro la cornice della mia visione semantica delle parole: il concetto di “fico”, albero e frutto, rientra in quello sovraordinato di “escrescenza, protuberanza” che abbraccia anche quello di “fegato”, rappresentabile come una vera e propria escrescenza, concetto che include forme di qualsiasi tipo, allungate e appuntite, grossolane e informi, grosse e rotondeggianti, piccole e sottili, ecc., che restano comunque sempre un’escrescenza. Pertanto anche quando i nomi con cui essa viene espressa assumono di volta in volta, nelle varie lingue e nei vari dialetti, un significato specifico rispondente alle suddette molteplici tipologie, resta comunque assodato che quel significato, scarnificato e ridotto all’essenziale, si spoglia per così dire delle sue mutevoli determinazioni per riattingere la condizione originaria della sua assolutezza indeterminata: il che equivale a dire che alla base dei significati contingenti delle parole si rintraccia sempre un’idea generica che li riassorbe tutti, fino al punto di dover filosoficamente constatare che le parole di ogni lingua nascondono dentro di loro quell’unica idea di ‘anima, forza, vita, movimento’ che doveva dominare la mente dell’uomo preistorico nella sua visione animistica della realtà.

In questa dinamica rientrano il citato ficu(m)’fico’, ‘tumore’ nonché le voci dialettali ficozza (romanesco) ‘vistoso bernoccolo, provocato da percossa o caduta’, ficozza (napoletano, pugliese) ‘pugno (ben assestato o altrimenti specificato)’. A questo proposito è molto interessante notare la differenza tra il mio metodo di indagine e quello seguito dai linguisti nella interpretazione dei nomi. Loro sono ben contenti se riescono a trovare un significato specifico della radice da interpretare, io rimando sempre ad un valore generico della stessa, secondo il principio assodato della mia linguistica. Raffaele Bracale (1) , ad esempio, peraltro acuto linguista internettiano, riporta il significato di ‘pugno’ del napoletano arcaico fecozza a quello di ‘ferita con relativa tumefazione’ provocata da un pugno ben assestato, che a mano a mano, illividendosi, assume la forma e il colore della “boccuccia del fico fiorone”. Si tratterebbe quindi di una metonimia con scambio di causa (pugno) / effetto (tumefazione): quest’ultimo, con movimento per così dire retrogrado, avrebbe dato il nome al ‘pugno’. Il ragionamento è ineccepibile, secondo la logica tradizionale, ma comincia a rivelare tutta la sua inconsistenza non appena lo si inquadra nella cornice della mia logica, in base alla quale quanto più una spiegazione tende a trovare un significato della radice preciso, specifico, combaciante con l’oggetto, la caratteristica o il fenomeno da essa indicato, tanto più ci si allontana dalla verità: le radici hanno sempre in partenza un significato genericissimo, ed è questo che bisogna cercare di scoprire. In questo caso esso è dato dalle voci dialettali sopra citate, che evidenziano il concetto di rotondità, protuberanza il quale abbraccia cumulativamente sia quello di bernoccolo, tumefazione che quello di pugno, il quale non è altro che una sorta di ‘grumo, massa, bernoccolo’. Di dialetto in dialletto le voci ficozzo, ficozza possono assumere, uno o più significati specifici scaturenti però da questo concetto essenziale di protuberanza, prima che ci spingiamo più a fondo nella ricerca del significato iniziale del termine. A me sembra infatti che questa radice fic- si possa considerare addirittura variante, con pronuncia spirante della labiale iniziale, della radice di lat. pug-nu(m) ‘pugno’. I linguisti si affannano a scegliere questa o quella radice per l’etimo di lat. pug-nu(m) accostandolo ora al gr. pyk-nós ‘unito, denso, compatto’, ora alla radice di lat. pung-ere ‘pungere’ (con infisso nasale), gr. peuk- ‘pungente, penetrante’ senza avvedersi che l’uno e l’altro significato fanno capo a quello di ‘spingere, colpire, premere, comprimere’ che genera anche il concetto di protuberanza. In altri termini, la ricerca etimologica può considerarsi sulla buona strada se tende a riannodare insieme i vari significati di superficie, è invece sulla falsa strada se tende a innalzare steccati tra le possibili radici coinvolte. Come spesso è avvenuto anche nel campo della fisica, l’unitarietà dei fenomeni, anche apparentemente inconciliabili, è la caratteristica che invece è più spesso e obbiettivamente riscontrabile nella realtà.

Aiutano a comprendere l’origine del termine fegato anche alcuni suoi nomi sardi come log. figoto che potrebbe essere confrontato col nome del gr. mod. sykóti ‘fegato’, il quale peraltro ripropone il rapporto del termine con gr. sŷk-on ‘fico’(2). La fricativa alveolare sorda iniziale di gr. sŷk-on dovrebbe essere conseguenza della resa in greco di una interdentale originaria che ha dato invece la fricativa labiodentale sorda di lat. ficu(m), a meno che non si tratti di probabile incrocio con altra radice di termini omosemantici (perché esprimono sempre una protuberanza) rispetto al concetto di ‘fico’, come gr. sikýa ‘melone, coppetta’, gr. síkys ‘cetriolo, cocomero’. Una eventuale forma come *fic-otiu(m), parallela a gr. mod. syk-óti, potrebbe essere all’origine degli it. fic-ozzo, fic-ozza sopra ricordati. L’interessante voce logudorese crasta-figadu ‘pezzettino di fegato che rimane attaccato alla bestia dopo il prelievo dell’organo’ è quella che secondo me, se non taglia la testa al toro, gliela lascia tuttavia miseramente penzoloni. Innanzi tutto non si può negare che questo termine viene da molto lontano e che certamente non nacque per esprimere il suo attuale significato, se si pone attenzione alle due componenti le quali fanno riferimento rispettivamente al verbo log. crastare ‘castrare’ e a log. figadu ‘fegato’. Il suo significato preciso, dunque, potrebbe riferirsi al massimo, secondo l’esegesi comune di simili termini, al uno strumento, un coltello con cui recidere il fegato e non al “pezzettino” residuo di cui sopra. Ma anche stavolta si vede bene in azione, in trasparenza, il grande principio saussuriano secondo cui è vano credere che la lingua sia un meccanismo teso ad esprimere i concetti che esprime in un determinato stato di lingua: al contrario, il grande linguista ginevrino fa notare che lo stato risultante dai cambiamenti diacronici è fortuito e non era destinato ad esprimere le significazioni di cui si carica. Nel nostro caso siamo evidentemente in presenza di un termine tautologico che all’inizio doveva indicare il fegato in ambo le componenti, se è logico pensare che la prima componente non ruotava intorno al concetto di castrare ma a quello di log. crastu ‘masso, sasso, roccia, testa’, concetto ben acconcio ad esprimere quello affine di ‘massa, bernoccolo, protuberanza’ a cui dovrebbe far capo, come abbiamo visto sopra, anche quello di fegato. Questo significato della prima componente, insomma, costituisce una vera e propria prova, nell’ambito di una tautologia, che anche la 2° comp. –figadu doveva avere lo stesso significato di ‘massa, rotondità’. La voce crastu dà vita, come è naturale, a diversi oronimi in Sardegna. Io credo che essa si ritrovi anche nel ted. Karst ‘Carso’ e ‘bidente’. Quest’ultimo significato rientra in quello delle protuberanze più o meno appuntite e ci fa capire che un eventuale significato di ‘fegato’ per ted. Karst è dietro l’angolo. Si sa che la radice di Carso indica la pietra, concetto ruotante intorno a quello di protuberanza, massa più o meno rotondeggiante. Per un’ analisi più approfondita del concetto di bidente rimando al mio post di aprile 2010 L’italiano “bidente” ovvero le insidie etimologiche.

Da ultimo, è gratificante constatare come questo termine “fegato” si ritrovi pari pari in alcuni toponimi ad indicare un ‘colle, monte’, cioè una ‘protuberanza’. Non tutti sanno, ad es., che il paese di Borgorose della prov. di Rieti, ma non molto lontano da Avezzano-Aq, fino ad una cinquantina di anni fa aveva il bel nome antico di Borgo-colle-fegato che però non doveva piacere ai suoi abitanti se decisero di cambiarlo. Veramente oggi ancora esiste una piccola frazione del comune di Borgorose che ritiene l’antico nome di Colle-fegato (alcuni siti web scrivono significativamente Colle-fegàto con la –a- accentata, in quanto questa deve essere ancora la pronuncia locale del nome, continuatrice di quella latina di -ficatum) il quale, a mio avviso, costituisce una variante del nome dell’altra frazione chiamata Colle-viati, se la 2° componente –viati è quasi sicuramente da intendere come evoluzione da un precedente –*vigatu(m) oppure -*vigati, con dileguo della velare sonora –g- intervocalica come in tante altre parole dialettali. Insomma sia –fegato (-fegàto), dal lat. ficatu(m), sia –vigatu(m) debbono a mio avviso rappresentare due pronunce leggermente diverse di un unico termine relativo alla stessa entità geomorfica, quella di ‘colle’, che abbiamo visto essere concettualmente simile all’idea di fegato, inteso come ‘massa, protuberanza’. Nel primo caso il nome preistorico si è confuso e ha seguito le sorti di quello di lat. ficatu(m), mentre nel secondo, esso si è incrociato probabilmente con la radice di lat. via(m) ‘via, strada’, anticamente veha(m), da *weghya (cfr. ted. Weg ‘via’, ingl. way ‘via’). La radice è la stessa di lat. veh-ere ‘trasportare, andare a cavallo o su un mezzo di trasporto, andare’ ed esprime fondamentalmente il movimento, non solo quello dei carri ma anche quello della via, la quale prende il nome non dal fatto di essere riservata ai carri , come taluno sostiene preso dal demone della specializzazione a tutti i costi e dalla voglia di distinguere via da via, ma dal fatto che essa resta in ogni caso genericamente un ‘cammino, percorso, tragitto’. Gli etimi correnti per Colle-fegàto sono quelli di “colle piantato a fichi” o di “colle dato in feudo”. Anche qui si assiste, a mio avviso, alla stessa erronea tendenza seguita per i termini del lessico da parte dei linguisti, a cercare un significato particolare del toponimo che invece, come è più probabile e naturale, nacque come semplice appellativo che definiva, in epoca preistorica, la realtà geomorfica di riferimento. Ma le due forme simili da me rintracciate di –*figatum e -*vigatum, le quali si illuminano e si fanno forza a vicenda, impediscono di proporre etimi particolari e tra sé divergenti per i due ‘colli’ su cui, forse solo successivamente alla loro prima nominazione, si svilupparono stanziamenti umani che assorbirono i nomi delle due alture.

Esiste anche un Colle Fegato, frazione del comune umbro di Norcia, nonché un Monte-fegat-esi in provincia di Lucca. E certamente si incontreranno, in Italia e altrove, altre località, antropizzate o meno, con nomi simili.


Note