domenica 5 novembre 2017

In barba a

                                                                   

   Questa locuzione prepositiva dà filo da torcere ai linguisti che, a mio avviso, non riescono a individuarne un etimo perlomeno soddisfacente, se non sicuro.  La locuzione ha in genere il valore di ‘a dispetto di, malgrado, nonostante’ ma presenta anche altre sfumature di significato come, ad esempio, ‘a danno di, in spregio di’.  Talora, con grande sicurezza, si afferma che la locuzione ha preso le mosse dall’intenzione di fare qualcosa di pregiudizievole nei confronti di qualcuno, di cui non si ha grande rispetto o considerazione, proprio sotto i suoi occhi o il suo naso, sostituendo solamente al termine naso (cfr. l’espressione sotto il naso) la barba, magari nel significato di ‘mento’.  Ma questa supposizione puramente indicativa del luogo o punto in cui avverrebbe l’azione non mi pare possa dar conto pienamente del dispetto e del malanimo contro qualcuno o qualcosa su cui si scarica l’azione.  In siciliano[1], infatti, le espressioni in varva, ‘ntra varva (in barba) di qualcuno significano ‘in odio, a scorno, ad onta’. Anche, a dire il vero, ‘davanti, in presenza’ di chi ha tutte le ragioni però per contraddire, sottintendendo quindi un’avversione rancorosa da parte di chi opera ‘davanti’ a qualcuno disprezzato. A parte il fatto che quest’ultimo significato verrebbe a contraddire quello supposto di ‘sotto il naso’, espressione usata quando si compie qualcosa di negativo nei confronti di qualcuno senza che questi se ne accorga, magari raggirandolo con abilità e garbo’.  Le sfumature di significato di ‘in barba a’, e in fondo di quasi tutte le altre espressioni, possono essere diverse e persino contrastanti, ma non è questo che ci turba.  Noi dobbiamo trovare il nucleo di significato originario da cui si sono sviluppati tutti gli altri che possono riannodarsi ad esso.  E questo nucleo pare essere la cattiva disposizione d’animo verso una persona che ci induce soprattutto a disprezzarla magari dicendole anche le cose in faccia o, al contrario, facendo in modo che nemmeno si accorga del nostro raggiro nei suoi confronti. 

    Con questa considerazione in testa ho pensato che l’espressione ‘in barba a’ in realtà tendeva un bel tranello nei nostri confronti, perché essa mostrava un volto falso e fuorviante con l’esibizione di quella barba che era quasi sicuramente il risultato di qualche antico incrocio di termini.  Pensando alle varie forme che nei dialetti sardi assume la parola “barba” (barva, varva, braba, ecc.) mi è venuto in mente il verbo it. piuttosto arcaico brav-are ‘comportarsi in modo prepotente, provocare, sfidare’ che potrebbe ben giustificare il significato fondamentale di ‘a dispetto di’ dell’espressione in questione.  Così, supponendo un sostantivo deverbativo *brava ’sfida, disprezzo, ecc.’, poteva in un lontano passato essersi verificato benissimo un suo incrocio con la forma dialettale brava per ‘barba’ ed essersi prodotta l’espressione dialettale ‘in brava a’, diventata in italiano ‘in barba a’, con l’aiuto forse della successiva scomparsa dal vocabolario del termine *brava ‘sfida, disprezzo, ecc.’. I deverbativi di questo tipo sono in effetti abbastanza numerosi come la lagna ←lagnare; la protesta ←protestare; la mescola ←mescolare; la notifica ←da notificare, ecc.  Per “barba”, però, non ho trovato nei dialetti italiani, oltre a quelli sardi, la forma brava. Nel meridione è molto diffusa la forma varva ma non è impossibile che si incontri “brava” in qualche parlata a me sconosciuta.  Inoltre la situazione dialettale, per quanto riguarda il lessico, poteva essere più mossa di quella attuale all’epoca della formazione dei dialetti. 

     Che ci sia stato l’incrocio di cui abbiamo parlato, anche al di fuori della espressione di ‘in barba a’, me lo attesta, con abbastanza sicurezza, l’altra espressione italiana che suona che barba! col significato di ‘che terribile noia, che senso di avversione, di disgusto!’.  Siamo quindi tornati alla stessa “cattiva disposizione d’animo” nei confronti di qualcuno o qualcosa, dell’espressione ‘in barba a’. E non è convincente che questo significato sia derivabile, in via figurata, dalla lunghezza di certe barbe. Di conseguenza tutti i ragionamenti, che spesso i linguisti fanno per dar forza alle interpretazioni legate alla “barba” tout court, cadono senza possibilità di appello.  Dietro il termine “barba”,dunque, ce n’è sicuramente un altro, anche se in ultima istanza potrebbe non trattarsi di quello da me supposto.   

     E’ ora il caso di parlare anche del modo di dire stare in barba di micio che mi sembra molto istruttivo per capire gli incroci delle parole.  Carlo Lapucci[2] lo spiega trascrivendo pari pari l’interpretazione di Rigutini e Fanfani[3] che cito: «Stare agiatamente e quasi pavoneggiarsi del suo agio, come fa il gatto satollo, che se ne sta seduto, leccandosi ogni tanto i baffi».  Evidentemente dalla metà dell’Ottocento in poi non si ha una spiegazione migliore di questa se il Lapucci, alla metà del Novecento, ce l’ha riproposta senza cambiare una virgola.  Purtroppo gli studiosi in questi casi commettono spesso il grave errore, a mio avviso, di mettere su un piano di sincronicità quello che invece si è plasmato attraverso una dimensione diacronica spesso enorme. 

    In effetti esiste, del detto, anche la variante che suona stare in barba di gatto (o gatta) con l’identico significato.  Gli studiosi di una volta duravano fatica a conoscere più dati possibili intorno a parole ed espressioni, mentre noi a volte ce ne impossessiamo con un clic fortunato sul nostro computer.  Dico questo perché se il Rigutini o il Fanfani avessero avuto i dati che dirò, non avrebbero certamente tardato a rendersi conto del significato, in certo senso banale, banalissimo, del modo di dire.   Escludo che l’espressione faccia riferimento alla “barba di gatto”, nome volgare di una piantina originaria del sud-est asiatico e dell’Australia tropicale, che ha il nome scientifico di Orthosiphon, la quale sarebbe arrivata in Occidente intorno all’inizio del 20ᵒ secolo, pertanto molto dopo la presumibile data di origine dell’espressione in questione. Essa ha  un’infiorescenza con filamenti simili alle barbe di un gatto e il suo nome italiano potrebbe essere la traduzione dell’inglese cat’s whiskers. Insomma il nome, che non può essersi plasmato attraverso la trafila diacronica, deve essere stato applicato posticciamente alla pianta.  Resta allora la possibilità che, per quanto riguarda l’origine del modo di dire stare in barba di gatto, alla base ci sia stato un eventuale nome volgare di qualcuna delle molte specie di piante tomentose, filamentose e cotonose conosciute comunemente come bambagia selvatica[4], tra cui quella nota anche come piede di gatto.  Allora il significato di stare in barba di gatto diverrebbe chiaro, l’espressione vorrebbe dire cioè ‘stare nella bambagia’, in una condizione di agio e benessere. E tutto sarebbe più intellegibile e naturale.  Per “gatto” non bisogna pensare però al domestico felino ma al termine gatto (qui ripetuto tautologicamente rispetto a barba) riferito a tante infiorescenze filamentose o meno a cominciare dalla parola gatto o gatt-ice, designante oltre al pioppo bianco anche la sua infiorescenza, nota in emiliano col nome di gat, gat-ein ‘amento’.  Termini che richiamano quello lunigianese di gat-elo ‘tralcio della vite’, il marchigiano cat-ièllo ‘ogni seme protetto da aculei o filamenti’, abruzzese cat-éjjë ‘lappola’. I quali, però, trarrebbero in ballo il ‘cagnolino’ (dal lat. catellum ‘cagnolino’) piuttosto che il ‘gatto’ o ‘gattino’.  Tutte queste incongruenze vengono spiegate bene in un mio articolo, a cui rimando.[5]




[1] Cfr. in web: V.Mortillaro Nuovo Dizionario Siciliano-italiano, Palermo 1844.
[2] Cfr. C. Lapucci, Modi di dire della lingua italiana, Valmartina Editore, Firenze 1969, p. 231.
[3] Cfr. G. Rigutini-P. Fanfani, Vocabolario della lingua parlata, Firenze 1875.
[4] Cfr. in web bambagia selvatica
[5] Cfr. l’articolo “Etimo di emiliano gat, gatein” presente nel mio blog: pietromaccallini.blogspot.it, giugno 2009.