mercoledì 16 marzo 2011

Parole illuminanti del dialetto di Scanno

Apprendo, da uno scarno elenco di parole del dialetto di Scanno-Aq trovato in web, la strana parola cicirchieta ‘anello’ il cui significante richiama l’it. cicerchia dal lat. cicercula(m), legume nel passato molto diffuso nel centromeridione d’Italia, ma il significato di ‘anello’ sembrerebbe escludere di primo acchito ogni possibile contatto tra i due termini. Senonchè il mio metodo di lavoro, anche se poco ortodosso rispetto alla pratica e ai principi seguiti da illustri studiosi, mi aveva subito messo nella condizione di trovare un punto di contatto tra i due significati, in base alla semplice considerazione che cicer-cula(m), diminutivo di lat. cicer, eris ‘cece’, è letteralmente un ‘piccolo cece’, frutto che si configura cioè come una rotondità (non importa la grandezza: cfr. abruzzese chìchere 'gheriglio'), allo stesso modo in cui lo è un anello. Si ricordi, ad es., che il gr. kyklos vale 'cerchio, anello' ma anche 'globo, sfera'. A dire il vero l'anello di Scanno in questione, come ho scoperto dopo avere steso l'intero articolo, era decorato da granuli sferici di metallo , i quali, secondo la vulgata, avrebbero dato il nome all'oggetto perchè ritenuti simili a cicerchie, casomai a ceci . Io credo, al contrario, che l'ornamento dei granuli sia stato aggiunto quando l'antichissimo termine per 'anello', oscuratosi ormai probabilmente il suo significato etimologico , si incontrò col lat. cicerculam 'cicerchia' e, volendo trovare una giustificazione a questa sua nuova identità di superficie, ebbe buon gioco sull'inventiva degli antichi orafi di Scanno, pronti ad aggiungere quell'ornamento di false cicerchie all'anello, come il nome ormai suggeriva. Tutto ciò è convalidato: 1- da tanti altri casi simili di sovrapposizione di termini che hanno determinato la nascita di usanze, credenze e comportamenti diversi, ispirati ai vari significati via via accumulatisi su un termine originario (cfr. l'articolo Il vastissimo significato d'origine delle parole del novembre 2010 ; 2- dal fatto che il dolce cicerchiata, di cui si parlerà tra poco, manteneva solitamente la forma di una ciambella o anello in quasi tutta l'Italia centromeridionale, anche se costituita di palline di pasta; 3- da quello, soprattutto, che appare essere a mio parere il significato originario del secondo membro del termine vatta-cicirchie designante uno strumento a percussione della tradizione musicale abruzzese, di cui parlo nella parte finale dell'articolo e che significherebbe 'batti-cilindro': una rotondità dunque.

Ora, questo concetto di rotondità rispunta anche nella parola cicerchiate del Vocabolario abruzz. del Bielli, più volte citato in altri miei articoli, che significa ‘ciambella fatta di pallottoline di pasta con l’ovo, fritte e legate col miele’. Ognuno può vedere che l’idea di ciambella corrisponde esattamente a quella che sta dietro al concetto di anello. E anche questo dolce, diffuso non solo in Abruzzo ma in quasi tutto il centromeridione, tanto da essere noto anche in italiano come cicerchiata, mi sembra insistere sul concetto di rotondità che, si badi bene, potrebbe essere stato riferito, all’origine, anche alle ‘pallottoline di pasta’ di cui esso è composto, ma comunque si deve tener conto anche della sua costante vocazione all' anello . Non fa nessuna differenza se si incontrano varianti del dolce costituite da pezzettini di pasta magari cilindrici o di altra forma solo vagamente rotondeggiante, perché l’idea che opera all’ombra di questo nome sarebbe sempre quella generica di "massa, grumo, chicco, rotondità", fenomeno che mi pare di aver ben spiegato in articoli del mio blog come Le categorie aristoteliche ostacolano la comprensione dei concetti generali all’origine del linguaggio oppure I Ciclopi e il concetto di “rotondità” del giugno 2009.

A questo punto è importante riflettere sul fatto che, se è vero che bisogna ritenere altamente improbabile che dall’idea specializzata di cicerchia si possa attualmente passare a quella di anello oppure ciambella e simili, anch’esse specializzate (mentre, come abbiamo visto, è molto naturale vederle derivare tutte da una precedente idea più generica di rotondità), da ciò promana l’altra interessantissima considerazione che la parola scannese cicirchieta ‘anello’ non può in nessun modo essere considerata uno sviluppo di lat. cicercula(m) ‘cicerchia’, nemmeno per via metaforica: in altri termini si deve supporre che cicirchieta ‘anello’ fosse un termine presente nell’idioma di Scanno, o in qualche altro dialetto, già moltissimo tempo prima dell’arrivo delle legioni romane e della latinizzazione, anche se la parola latina cicercula(m) ’cicerchia’ nell’origine preistorica dovette pur avere stretti rapporti con esso. Anche in questo caso si constata che è la falsissima idea, come affermava il Saussure, che le parole siano nate per indicare i concetti che esse si ritrovano ad esprimere a far sì che gli studiosi non vedano in nessun modo i collegamenti che si possono invece stabilire tra due concetti che, pur essendo espressi da un unico significante, appaiono da un lato certamente distanti tra loro, se li si considera nella loro veste specializzata, ma dall’altro lato molto vicini e interdipendenti, se li si inquadra nell’ambito del concetto comune ad essi sovraordinato.

Mi rende un po’ triste la constatazione che, se si continua ad operare al di fuori del precedente inquadramento dei fatti semantici, non si arriverà mai, a mio modesto parere, alla verità che giace al fondo e rilutta ad apparire alla luce del sole, ben nascosta dai meccanismi stessi con cui i linguisti spiegano queste parole. Sia il dizionario italiano del De Mauro, infatti, sia quello di Devoto-Oli considerano la voce cicerchiata come derivante dall’idea di “cicerchia” per via della somiglianza delle palline di tali dolci ai semi della cicerchia. Ma, alla luce di quanto detto precedentemente, questa interpretazione rivela tutta la sua intrinseca debolezza, perché, oltretutto, lascia fuori da ogni spiegazione la ciambella o l'anello che il dolce di solito forma nonchè il termine scannese cicirchieta ‘anello’, se si assume che esso vada spiegato senza il ricorso alle metaforiche cicerchie che ne sono solo un ornamento. Esso, è vero, a voler essere “scientifici” fino all’inverosimile, potrebbe anche essere fatto derivare da radice del tutto diversa da quella di cicerchia, ma ciò andrebbe a cozzare con il dato di fatto che una teoria, secondo Alberto Einstein, è tanto più valida quanto più numerose sono le cose che collega e quanto più vasto è il suo campo di applicazione: in effetti in ogni sfera dello scibile si è potuto assistere, man mano che col passare degli anni le conoscenze sono aumentate, al collegamento di fenomeni considerati precedentemente tra loro separati. Pertanto il mio punto di vista che collega cicirchieta ‘anello’ a cicerchiata ‘dolce a forma di ciambella o anello’, direttamente attraverso quello che è secondo me il significato di fondo dei due termini senza ricorrere per via metaforica alle cicerchie che hanno tutta l'aria di un diversivo, mi sembra preferibile rispetto alla spiegazione solitamente data , anche solo sotto un profilo prettamente probabilistico. Infine, non posso condividere nemmeno lontanamente l’idea che il fenomeno semantico non debba rientrare, a causa della sua complessità e vastità, nell’ambito di una visione biologica e realistica, alla pari degli altri innumeri fenomeni del regno vegetale ed animale, che ci garantisca la possibilità di rintracciarne i meccanismi e i principi di fondo per ciò che attiene soprattutto all’origine delle parole. Il comportamento che, negli esempi precedenti, i significati risultano tenere, in parole dei dialetti e delle lingue viventi o del passato, ci apre in effetti una grande finestra, come abbiamo visto, sulla loro realtà e natura originarie. E allora il velo di tristezza di cui parlavo tende un poco a svanire, perché ad essa subentra la fiducia nella forza del cosiddetto pensiero divergente che, quando che sia, riuscirà infine a spuntarla sulle posizioni tradizionali. Un’ultima osservazione su cicirchi-eta o cicerchi-ata: se la parola non è di formazione medioevale e non deriva direttamente da lat. cicercula(m) ‘cicerchia’ ma risale ad un periodo imprecisato della preistoria, allora è impossibile pensare che il suffisso –ata debba inquadrarsi nell’ambito delle molte parole italiane che ne sono dotate. Probabilmente esso sarà stato un componente tautologico rispetto a quello o quelli che lo precedono, con lo stesso significato generico di ‘rotondità, pallina’. A voler essere completi bisogna ricordare che il dolce in questione è noto in diverse località anche come cicer-ata, termine che ripropone gli stessi identici problemi di cicer-chi-ata, nonché come struf(f)olo, parola che non può non essere, a mio avviso, in rapporto con la radice di gr. strophé ‘rivolgimento, giro, strofe’, gr. strόbos ‘vortice, cintura’, in riferimento alle ‘palline’ del dolce.

Altra voce molto interessante del dialetto scannese è scanafischia ‘fessura’ la quale va segmentata in scana-fischia come vedremo. L’elemento –fischia dovrebbe essere l’esito di un termine identico al lat. fistula(m) ‘ tubo, zampogna, canna, poro, ecc.’ (cfr. it. fischiare dal lat. tardo fistulari ‘suonare la zampogna’) ma col significato leggermente diverso di ‘fessura’, appunto, il quale in latino veniva espresso con altri vocaboli come rima(m), fissura(m), foramen. Anche in questo caso, quindi, è possibile pensare che il termine fosse presente nel dialetto di Scanno già prima della latinizzazione, come si capirà meglio con l’analisi di un’altra parola di cui parlerò fra poco. Esso qui forma un normale composto tautologico il cui primo elemento rispunta, secondo me, nell’it. scanna-fosso ‘fossato di scolo intorno ad un campo o casa; condotto murato tra due punti di una fortezza’ incrociatosi col verbo scannare, ma originariamente collegato strettamente con l’elemento scana- il cui significato doveva essere quello di ‘buco, cavità, fosso’ non troppo lontano, a mio parere, da quello di gr. skené, dor. skaná ‘tenda, tabernacolo, taverna, casa’. Anche il nome stesso di Scanno, paese che in passato non si trovava sul sito attuale ma in località Scano Vecchio come risulta da alcuni documenti, e il cui nucleo preistorico molto verisimilmente sorgeva intorno al Lago di Scanno, risale probabilmente alla stessa radice, col significato di ‘lago’ o ‘conca’ in senso geografico. Cfr. Valle di Scanna nel Trentino.

E così siamo arrivati al preannunciato bata-fischie ‘bastone’ in cui l’elemento – fischie, divenuto maschile, è da confrontare sempre col lat. fistula(m), specie nel significato di ‘matterello’ e di ‘canna’, il quale ultimo facilmente trapassa a quello di ‘bastone, pertica’: il matterello, nel mio dialetto di Aielli e in altri della zona, suonava cànnёrё, e non era fatto di canna ma di legno duro. L’ingl. cane vale sia ‘canna’ che ‘bastone’. Queste differenze di significati (bastone/fessura) espresse dallo stesso termine -fischia dimostrano che esso arrivò a Scanno, nella preistoria, in tempi diversi e da strati linguistici diversi. Una lingua è sempre un coacervo di influenze, stratificazioni e apporti vari e molteplici. L’elemento bata- dovrebbe corrispondere all’ingl. bat ‘bastone’, lat. batu-ere ‘battere’, it. vetta ‘bastone con cui si battevano le biade’.

Il più strano di tutti, in un certo senso, è il sintagma asena bandasema ‘fantasma’ da considerare alla pari di un composto tautologico. Come abbiamo visto le tautologie dovevano essere molto diffuse se si pensa anche ad un termine riportato dal Bielli come focafόche ‘fuoco’. Per spiegare il sintagma precedente a me pare che bisogna considerare il primo termine asena come deformazione, per l’incrocio col lat. asina(m) ‘asina’, del secondo elemento di band-asema il quale, però, sarebbe solo il suffisso del gr. phánt-asma ‘fantasma’ che, come phant-asίa ‘spettacolo, visione, apparizione, fantasia’, sarebbe più precisamente un derivato del verbo phant-ázō a sua volta ampliamento dell’aggettivo verb. phant-όs ‘visibile’, a sua volta proveniente da phaín ‘appaio, splendo’. Da diverso tempo, invero, avevo supposto che quelli che a noi appaiono come prefissi o suffissi furono, in una fase precedente della lingua, solo membri tautologici che col tempo si piegarono a diventare elementi esprimenti varie funzioni delle parole, spesso senza più un proprio valore lessicale ben definito, soprattutto per quanto riguarda i suffissi.

Non si può passare, infine, sotto silenzio la parola ceccia ‘getto d’acqua’ che sembra corrispondere esattamente alla radice del gr. kēkí (dor. kakí) ‘sgorgo, scaturisco, stillo’, gr. kēk-ís, îdos ‘umore, succo, spruzzo’ nonché (incredibile!) la voce uié ‘figlio’, poco diversa dal gr. hui-όs ‘figlio’, var. huié-os ‘figlio’. Altra parola interessante è 'ntruòsche 'intestino' in cui si individuano secondo me due membri: il primo corrisponde al gr. énter-on 'intestino, budello' ma anche 'sacchetto', con la normale caduta della -e- iniziale e di quella interna a causa dell'accento tonico sulla -o- successiva dittongata in -uò-, mentre il secondo si deve accostare al gr. oskhe 'sacca dello scroto', concetto che rientra in quello di cavità condiviso col primo membro, sicchè bisogna segmentare il termine in 'ntr-uòsche. Va sottolineato che termini come gr. énter-on 'intestino', lat. intes-tin-u(m) 'intestino' trovano secondo me la loro spiegazione non nel fatto che i loro referenti sono all'interno del corpo animale, come generalmente mi pare che si intenda, ma nel fatto che i referenti stessi sono degli "interni" o delle "cavità". A dire il vero non si può escludere per il primo membro una forma originaria da lat. *inter-us 'interno' (cfr. lat. intra 'dentro'), parallela a gr. énter-on 'intestino' (cfr. lat. intr-an-eum 'intestino' da cui it. entragno) anche se il secondo membro - uòsche fa propendere per l'ascendenza greca del composto. Ma quando si risale così indietro nel tempo ha ancora valore la distinzione geografica latino/greco almeno per certi vocaboli nati e sviluppatisi a stretto contatto di gomito?

Curioso il composto tautologico greco kolo-kordo-kola 'interiora' (Vocab. Rocci) o kolo-kordo-kala 'trippa' (Vocab. Gemoll) il cui primo e terzo membro sono da confrontare, a mio avviso, col gr. kol-on 'budello, salsiccia', gr. pl. khol-ad-es 'intestini', gr. sing. khol-as, ados 'cavità del fianco' (cfr. ted. hohl 'cavo, vuoto'), e il secondo col gr. khordé 'budello, salsiccia'. Come le sopra analizzate parole cicerchieta 'anello' , scanafischia 'fessura' ed altre non vanno considerate a mio parere un apporto della latinizzazione nel dialetto di Scanno, così queste parole (e probabilmente molte altre) di chiara natura greca, ma formanti talora composti non riscontrabili nel greco storico, difficilmente possono spiegarsi come prestiti travasati dalla lingua greca della Magna Grecia, ma, siccome si incontrano qua e là in Abruzzo anche idronimi e oronimi profondamente radicati nel terreno come la fonte Fiume 'Natolia (Anatolia: cfr. gr. anatolé 'sorgente') ad Aielli-Aq, si deve pensare più realisticamente alla presenza diretta sul territorio, anche prima del 1000 a.C., di popolazioni parlanti quella lingua o una affine.

Ho appreso or ora in un sito Internet la voce dialettale vattacicirchie 'batti-cicerchie' che indica uno strumento musicale a percussione della tradizione abruzzese (non delle mie parti) e che convalida, a mio parere, tutto quanto ho più sopra affermato sul significato di cicerchia e derivati. Lo strumento è composto da un cilindro con una pelle tesa su una delle due basi circolari. Attraverso un foro praticato al centro di essa viene mosso a stantuffo un bastone (mazza vattande 'mazza battente'), in genere una canna, che produce un suono particolare. E' uno strumento, quindi, simile alla più nota caccavèlla napoletana. Ora, la spiegazione che del nome si dà, ricorrendo all'omonimo strumento contadino usato per la battitura di tutti i legumi (non solo delle cicerchie), non è affatto soddisfacente perchè oltretutto essa darebbe conto solo del bastone dello strumento musicale, non costituito del resto di due elementi come quelli caratterizzanti anche la cosiddetta mazzafrusta, in italiano correggiato . Anche in questo caso, secondo me, l'interpretazione giusta è quella che tiene conto del significato originario di 'rotondità' espresso dalla voce cicerchia e applicato qui al cilindro che costituisce il corpo dello strumento. Sicchè un unico termine, che all'origine significava batti-rotondità, potè specializzarsi con molta naturalezza a designare da una parte lo strumento per la battitura di tutti i legumi (delle rotondità) e dall'altra lo strumento a percussione o frizione dal corpo cilindrico (una rotondità). C'è però un'altra possibilità: come la caccavèlla napoletana indica solo il recipiente che forma il corpo dello strumento, così il primo membro di vatta-cicirchie poteva essere, prima di incrociarsi col verbo lat. bat(t)u-ere 'battere',tautologico rispetto a -cicirchie e indicare il cilindro, da una radice simile a quella di ingl. boat 'barca', a. ingl. bat 'barca', ingl. vat 'tino, botte': cfr. aiellese vatta-vote 'cavità nel terreno scavata dal contadino per la raccolta e conservazione dell'acqua'. Del resto diversi altri nomi popolari dello strumento mi sembra che richiamino l'idea di 'cavità, recipiente' come cupa-cupa, cupello, cupellone (cfr. lat. cupa-m 'botte'); pignato (cfr. it. pignatta); puti-puti, puti-pù (cfr. fr. pot 'vaso, pentola', lat. pute-um 'buca, fossa, pozzo'); batta-foche , nel cui primo membro ritorna l'elemento di vatta-cicirchie, che però in questo caso accompagna il secondo membro -foche, il quale non può significare 'fuoco' ma rimanda all'abruzz. foca, fuca 'caverna, tana, avvallamento'; cute-cute (cfr. etrusco qutun 'brocca', gr. kytos 'vaso, brocca, cavità, circuito), ingl. hod 'secchio del carbone, vassoio', ingl. hood 'cappuccio, cofano', latino medioev. cota 'grotta, casupola', da confrontare col relitto mediterraneo cutia, cutina 'buca, cavità, pozza'; vurra-vurra (cfr. lat. tardo borra-m 'cavità dove ristagna l'acqua', it. borro, burrone). Pe' lla bella Majèlle, tutte sti tarramùte de nome me fo' veni' i votacére!

Credevo di aver terminato l'articolo ma sono felicemente costretto a continuare a snocciolare altri termini del dialetto di Scanno perchè ribadiscono i principi che sono venuto analizzando. Un tipo di orecchini lì chiamato circejje, è costituito in genere da un cerchietto di metallo prezioso a cui resta appesa una navicella a mezzaluna a sua volta ornata di ciondoli con perle. E' facile notare come gli oggetti componenti l'orecchino richiamino costantemente l'idea di rotondità o cavità espressa dal nome circéjje, dal lat. circellu(m) 'cerchietto'. Ma per la navicella c'è qualcosa in più se si riflette sul gr. kerk-ìs ' navetta, spola', gr.kérk-uros 'scialuppa'. Interessante è stato scoprire che esiste in Puglia un tipo di oliva chiamata cercella la quale, contrapponendosi all'oliva pizzuta (appuntita), dovrebbe quindi presentarsi come un globetto rotondo. Nella Marsica, e precisamente a Trasacco, le voci circéjje, cercéjje, cercélla, circélla, oltre al significato generico di 'orecchino', presentano quello di 'ricciolo, cerchietto ornamentale, nodo di lana non cardata' e, relativamente a cercélla, quello di 'tipico campanello che le capre portano talora attaccato al collo'. E' evidente che l'area semantica del termine così si allarga includendo anche la 'campana' la quale è, a tutti gli effetti, un'altra cavità o rotondità. Da notare che, inversamente, ad Aielli la campanella indicava anche un anello di metallo fissato al muro esterno delle case o delle stalle per attaccarvi momentaneamente gli animali da soma. Un'altra osservazione: come mai la cercella 'campanello' si trovava solo sul collo delle capre e non anche su quello dei buoi o delle pecore? Forse la ragione risiede nell'incrocio del termine con uno simile al lat. hircu(m) 'caprone', che fa pensare ad un precedente *kircu(m): cfr. abruzz. curce 'caprone' (vocab. del Bielli) che a Trasacco suona querce 'caprone'. Si può ben dire che i nostri antichissimi progenitori non lasciavano cadere le suggestioni promananti dalle parole, che dovevano loro apparire dotate di potere magico e di spirito divino. Un'attenzione molto particolare merita un altro anello chiamato a Scanno manine o manucce. Esso è una fede nuziale costituita da tre anelli con due mani che si avvicinano ad un cuore. Ora in veneziano, ad es., il manin è appunto una collana composta da fili d'oro usati anche come bracciale: la radice deve essere quella del lat. mon-ile 'collana' che si ritrova in molte lingue (cfr. il dizionario etimologico del Pianigiani in rete) e del sardo logud. man-iglia 'catena che si ribadiva al garetto con un anello', ma ora rivolgerei l'attenzione al termine toscano manine, manini 'viticci', i quali fanno riaffiorare il concetto di 'avvolgimento, ricciolo, anello', da tener presente per spiegare il sardo logudorese maninfìde 'anello nuziale'(gallurese manefidi), che non va assolutamente sciolto in mani in fede (come viene proposto da I dialetti italiani della UTET, Torino 1998), espressione che in italiano indica un simile anello con due mani che si stringono (ma la fede nuziale indicata dal termine sardo ha forma normale) e che ha tutta l'aria di una banalizzazione interpretativa, come mostrerò subito. Esiste in logud. inoltre anche la voce manin-fiore 'fede nuziale' che non dà affatto vita a mani che stringono un fiore! Il fatto è che anche manin-fide è, secondo me, una tautologia. Il primo membro lo conosciamo. Il secondo bisogna scovarlo sotto il valore di superficie di lat. fide(m) 'fede'. Il quale (cfr. il Pianigiani) secondo alcuni linguisti è da collegare al lat. foedus 'patto di alleanza, lega, ecc.' che a sua volta rimanderebbe al concetto di 'avvolgimento, legame, vincolo', e potrebbe dare spazio così all'idea di 'anello, nodo'. A me pare che si è di fronte ad una leggera variante, con fricativa sorda iniziale, di gr. ity-s, eol. wity-s 'cerchio della ruota, orlo dello scudo, arco delle sopracciglia, curva dell'amo, custodia, anello', gr. (w)itéa 'salice', lat. vite(m) 'vite (pianta e strumento perchè ambedue si avvolgono )', da lat. vi-ere 'piegare, legare, annodare, intrecciare'. Proprio in sardo si ha spesso il passaggio da fricativa sonora a sorda come nel logudorese fidi-alba 'vitalba' variante di logud. bid-alba, termine che reintroduce il concetto di "vite"; come nel nuorese fidea 'idea' dal gr. (w)idéa, accanto a nuor. bidea, videa, idea: la realtà linguistica dialettale, prima che intervenga l'azione omologatrice di un modello comune, è sempre molto mossa e variegata (questa ricchezza di forme purtroppo non è mai registrata dai documenti scritti pervenutici relativi a lingue dell'antichità, sicchè gli etimologi ora non possono non trovarsi spesso in condizioni di grande difficoltà, alla scarsa luce delle forme documentate, che possono perciò indurli in gravi errori) . La fede nuziale, simbolo degli sponsali, viene pertanto a configurarsi, a mio parere, come vocabolo in cui si incontrano due significati essenziali, scaturenti del resto l'uno dall'altro e strettamente interconnessi: il vincolo del matrimonio (cfr. l'espressione lat. vinculum fidei 'vincolo dell'impegno assunto') , rappresentato realisticamente dal nodo, per così dire, dell'anello e la fede reciproca, significato tratto dal precedente, solennemente promessa nella cerimonia che sancisce l'unione tra l'uomo e la donna. Non stupirà allora il fatto che nel tempio sul Quirinale di Semo Sancus, corrispondente a Dius Fidius, divinità minore dei giuramenti, dei contratti e alleanze, si conservavano anelli di bronzo (cfr. Livio, VIII, 20, 8), che il tetto del tempio avesse un'apertura rotonda, e che in un rituale per Fisus Sancius (omologo dei precedenti), descritto nelle Tavole Iguvine, l'offerente portava nella mano destra piccoli cerchi o dischi bronzei. Infine, non sarà forse un caso che la vera , altro termine per 'fede nuziale', e derivante dal lat. viriae 'braccialetto', trovi una certa corrispondenza con una vera 'fede' dell'area slava: cfr. serbo-croato veriga 'catena'. Mo pènze ca so' propia fenite!