lunedì 1 agosto 2011

Etimo di sardo "astrau"=ghiaccio -più semplice del previsto- e gradita conferma di un mio post dell'ottobre 2010



Le forme sarde astràu, àstrau ‘ghiaccio’, insieme a diverse altre simili come log. astra ‘ghiaccio’, log. astra-ada ‘gelata’, log. astr-ag-are ‘gelare’ hanno attratto la mia attenzione anche per i motivi che dirò più sotto. Esse vanno messe senz’altro in rapporto con le varianti log. astri-are ‘rabbrividire, accapponarsi, aggricciarsi, gelare’ e log. istri-are ‘rabbrividire, raccapricciare, ecc.’, ma quest’ultimo presenta vocale prostetica i- , come quasi tutte le parole logudoresi inizianti per s- impura e in specie col nesso str-, e ciò viene bellamente dimostrato dalle forme campidanesi stri-ori ‘rabbrividimento, fremito, accapponamento’ e stri-ori de frius ‘intirizzimento’ le quali, invece, mancano di prostesi. Anche le forme nuor. is-astrag-are ‘disgelare’ e i-strag-are ‘disgelare’ ( rispettivamente da *ex-astrag-are, *ex-strag-are, quest'ultimo senza prefisso a-) confermano l’assunto.

A questo punto mi sono legittimamente chiesto se anche la a- iniziale di astrau ’ghiaccio’ non fosse per caso il resto della preposizione ad- premessa, come in tanti altri casi, alla radice stra- . Nella sezione italiano-sardo del DULS (1) il Rubattu propone per la parola, come etimo non meglio identificato, un lat. astratum, forse una sorta di p. pass. di un verbo *astrare, nonostante la presenza di forme come nuor. àstr-agu ‘ghiaccio’, log. astr-ag-are 'gelare' che fanno propendere invero per una lenizione totale della –g- che ha causato astrau. D’altronde è risaputo che in logudorese il p. passato latino in –atum non diventa quasi mai –au come nel nuorese e campidanese. Forse i linguisti considerano erroneamente il nuor. àstr-agu retroformazione da astrau o forse si lasciano, anche inconsapevolmente, trascinare dalla credenza molto diffusa in antico e, per certi versi ancora viva, che l’assideramento (e magari anche il ghiaccio e il freddo) fosse dovuto al malefico influsso delle stelle, influsso che ha determinato del resto anche le etimologie più diffuse, e a mio avviso errate, di it. considerare, desiderare, assiderare, verbi di cui ho parlato nel post dell’ottobre 2010, che invito a rileggere.

Alla luce di quanto sopra a me pare evidente che la radice -str-ag- di cui è questione sia in stretto rapporto con ted. stark ‘forte, intenso, saldo’, ingl. stark, che significa tra l’altro ‘rigido, stecchito’, ingl. starch ‘amido’, a.a.ted. gi-storchan-en ‘coagulare’, got. ga-staurkn-an ‘divenire rigido’, greco stere-ós ‘rigido, duro, sterile’, ingl. stare ‘guardare fisso’ e molte altre parole germaniche che cito nel post dell’ottobre 2010.  Chi va alla ricerca dell'etimo per il noto formaggio lombardo, piemontese, veneto, toscano chiamato stracch-ino farebbe molto bene a puntare lo sguardo a questo semplice significato originario di 'coagulo' e quindi 'formaggio', senza lasciarsi prendere per il naso dal significato superficiale e fasullo della radice (stracco) che alimenta solo ingenue favole circa l'origine del nome.  Il fatto che il nome indica anche altri tipi di formaggio, come il gorgonzola, conferma a mio avviso  l'iniziale valore generico di 'formaggio' del termine stracchino.  Il quale è noto anche con quello di crescenza, un altro aspetto, a mio avviso, del significato di 'coagulo'. Una cosa che coagula acquista corpo, forma, consistenza e sembra perciò crescere e svilupparsi.  Cfr. verbo gr. tréph-ein 'condensare, coagulare, crescere'.

La radice stri- di campidanese stri-ori ‘rabbrividimento’, variante di str-(ag), rispunta inaspettatamente nel lat. a-string-ere (da lat. ad-string-ere ‘stringere, serrare, irrigidire, gelare’ —che spiega anche l'origine del prefisso a- di a-strau—), verbo con radice stri-g, sicchè si può presumere che sardo log. i-stri-are ‘rabbrividire’, camp. stri-ori vengano da precedenti *i-strig-are, *strig-ori (cfr. lat. stringor-em ‘aggricciamento dei denti per effetto dell’acqua fredda’, Lucr.). La radice base -str-, -stra-, è riconfermata dalle forme nuoresi is-astrag-are ‘disgelare’ e i-strag-are ‘disgelare’(l’una col prefisso a- e l’altra senza) rispettivamente da *ex-astrag-are e da *ex-strag-are. Ma la cosa che a me interessa particolarmente è che questa radice possiede la stessa struttura consonantica STR- presente, sia pure influenzata da lat. sidus, eris ‘stella’, nei verbi it. con-sider-are, de-sider-are, as-sider-are sopra ricordati. Pertanto quanto sostenevo in quell’articolo si invera magnificamente. E forse non mi sbaglio se suppongo che, ad esempio, l’it. assider-are, proveniente da tempi lontani anche se non attestato in latino, sia una variante o reinterpretazione, con inserimento di vocali nella struttura consonantica della radice, di una forma di partenza *astr-are, accostata indebitamente a lat. astru(m) ‘astro, stella’, e combaciante con le forme sarde per 'gelare'. In quell’articolo notavo anche un movimento inverso, dal latino all’italiano, allorchè sostenevo che l’it. strazio mi sembrava una diretta derivazione, con perdita degli elementi vocalici, dal lat. s(i)d(e)ratio ‘appassimento della pianta per eccesso di calore o freddo, colpo di sole, colpo apoplettico, disgrazia, rovina’. Il fatto incontrovertibile è che la radice str-, stri- e varianti (cfr. sscr. stri- ‘sparpagliare, espandere, diffondere —luce—’, ingl. strew 'sparpagliare', ted. Stern ‘stella’, ingl. star ‘stella’) era viva e vegeta accanto a quella simile di sidus, eris ‘stella’ e, come abbiamo visto, ambedue potevano provocare dis-astri ai poveri mortali, parola a mio parere da accostare a lat. a-stern-ere ‘stendere presso’ o a lat. strage(m) ‘strage, distruzione, malattia, consunzione’ più che a lat. astru(m) ‘astro’, benchè nel fondo le radici finiscano poi col coincidere nell’idea di forza che distende, diffonde, preme, opprime e coagula’. Il significato di it. strazio avrà comunque attinto anche a quello di lat. distractio ‘il tirare in direzioni opposte, lacerazione, tormento’. Ancora una volta, quindi, è bene sottolineare, giacchè la cosa, a mio vedere, assume ormai valore di principio o legge, che le credenze, le favole, il mito, le storielle tramandateci dalla tradizione sono un’emanazione diretta delle radici delle parole e del loro casuale incrociarsi, nonostante quello che spesso gli studiosi, presi dal fuoco dell’ispirazione scientifica creatrice delle teorie più varie, ammanniscono alle nostre povere menti tramortite dalla valanga delle loro presunte dotte verità.

Le forme abruzzesi (in realtà centro-settentrionali) come štrina, štrinë ‘vento diaccio’, che tradizionalmente vengono collegate a lat. ustrina(m) ‘forno’ ma senza una piena adesione dei linguisti (2) possono essere, a mio avviso, senz’altro riportate a questa radice stri- con valore di ‘freddo, gelo’, e non importa se in alcune parlate la radice assume il significato di ‘rapida bruciatura’ perché questo significato si sarà sviluppato da quello di ‘seccare, irrigidire’, specie delle colture, in conseguenza dell’azione del gelo. Ma forse si coglie nel segno se anche qui, come nell’espressione omerica (Il.XXIII, 177) di cui parlo nel post citato e in cui la forza del fuoco viene chiamata ‘siderea’ cioè ‘ferrea’, individuiamo il punto di contatto tra il ‘freddo’ e il ‘caldo’ nell’energia che li provoca che fa sì che la forza del calore coincida anche con quella della durezza del ferro. Ne Il dizionario della lingua italiana di T. De Mauro sotto il lemma strinare si trova anche questa definizione: "centrosett., di caldo o freddo eccessivi, seccare, inaridire le piante". Sicchè, guardando con questi occhi nuovi la realtà, il contrasto, che in ogni modo potrebbe continuare come un fantasma a tormentare le nostre menti, tra l’idea di ‘gelo, freddo’ e quella di ‘seccore, calore’ espresse dalla stessa radice, non ha più motivo di esistere. A giochi fatti noi oggi non vediamo che i prodotti finiti del linguaggio, abituati come siamo da un numero ragguardevole di millenni a ragionare per opposti o contrari (caldo/freddo, bello/brutto, leggero/pesante, ecc.) ma i nostri più antichi antenati colsero, all’alba della civiltà, piuttosto l’ unità delle cose necessariamente via via disgregata per esigenze di comunicazione. Anche l’abruzzese strizzë (3) ‘freddo intenso, spesso accompagnato con gragnuola minuta, che fa seccare gli alberi gentili’ deve rimandare ad una forma *strictia, insieme a tosc. strizzone ‘irrigidimento improvviso della temperatura’. La strizza, nel senso familiare di ‘fifa, paura’, deve avere a che fare con la reazione istintiva, nell’animale spaventato, che provoca l’ irrigidimento dei peli, allo stesso modo che nel lat. horrore(m) ‘irrigidimento dei peli, spavento, orrore’. La voce strina potrebbe derivare da un iniziale *stri(g)-ina se teniamo presente l’it. arcaico striggine ‘tempo freddo e uggioso’. Qualche volta, anch’io tendo ad approfittare delle risorse metaforiche e di altro tipo, e così dinanzi all’abruzzese strina ‘vento diaccio’ sopra citato ho sorvolato sul concetto di ‘vento’ che in qualche modo si intrufola ad accompagnare quello di ‘diaccio’ proprio della radice, ma la Lingua spesso e volentieri mi redarguisce come in questo caso, in cui mi addita il ted. streich-en (da *strik-) che significa anche ‘soffiare’.

Il ted. Stern 'stella' ritrova la sua radice quasi intatta nella voce dialettale abruzzese (a Cappadocia-Aq) starn-uzzi 'scintille, faville del fuoco', la quale condivide l'etimo profondo con lat. strenuu(m) 'forte, valoroso' e con lat. sternu-ere 'starnutire', allo stesso modo in cui l'ingl. spark 'scintilla' è strettamente legato al lat. sparg-ere, gr. sparga-o 'sono turgido', gr. spharage-omai 'sono turgido, scoppio, crepito', sscr. sphurja-ti 'prorompere', ital. sborr-are 'eiaculare'. L'idea primigenia di forza opera alla base di queste radici come ci conferma, per la radice stern-, stren-, il nome della divinità sabina Strenia corrispondente alla romana Salus 'Salute'. E' chiaro allora il motivo per cui ancora oggi si è soliti, soprattutto tra gli anziani, esclamare: salute! quando uno stern-utisce. Nel Vocabolario Abruzzese di D. Bielli si riporta anche l'altra espressione crisce sante! 'cresci santo!' usata nella stessa occasione: secondo me il sante qui non è il lat. sanctu(m) 'santo' ma variante di ingl. sound 'sano, in buona salute', di ted. ge-sund 'sano', ted. Ge-sund-heit 'salute': e Gesundheit! si augura anche in Germania a chi starnutisce. Ma forse qui è stata l'idea di 'suono' (cfr. ingl. sound 'suono') probabilmente usata in qualche parlata anche per lo 'starnuto' ad aver innescato il gioco dell'incrocio con ted. ge-sund 'sano'. Anche i latini dicevano sternuere approbationem, sternuere omen (rispett. 'dare il consenso starnutendo, dare un buon augurio starnutendo'. Ma, all'origine, molto verosimilmente sternuere qui significava solo 'es-prim-ere'. Anche il gr. ton-os tra i suoi vari significati di 'tendine, corda, tensione, tono, accento' annovera quello di 'forza, vigore'. Nello stesso italiano il termine tono significa anche 'tono muscolare, vigoria psicofisica, forma'. Mi pare molto probabile, quindi, che il dialettale sante, nell'espressione crisce sante!, debba essere considerato ampliamento di lat. sanu(m) 'sano'. Ma non è tutto: anche il crisce è stato suggerito dalla radice stern- contenente il significato di 'stendere, allungare' affine a quello di 'crescere' allo stesso modo in cui lo sp. estirar 'stirare, tendere' significa anche 'crescere'. Il significato di 'fuoco, caldo, luce' della radice stern- mi pare che operi nel fondo della variante sarda logudorese i-sturr-utz-are 'spargere o togliere la brace dal forno'. La componente sturr- viene da un precedente *sturn- come dimostrano altre parole tra le quali il log. i-sturr-ud-are 'starnutire'. Ora, è ricorrente, direi anzi costante, in linguistica, che quando una parola mostra un significato composto da due concetti, come in questo caso lo 'spargere' e la 'brace', e il suo significante è legato attualmente ad uno solo dei due, è sicuro che in essa si è consumato in passato l'incrocio con altra parola con l'altro significato. Lo spagnolo estrella non è, a mio vedere, il lat. stella(m) con prostesi di e- ed epentesi di -r-. Esso deve essere il risultato di una forma *ster-ula o simile, come lat. puella(m) 'fanciulla' da *puer-ula(m) diminut. femminile di lat. puer, eri 'fanciullo'. In area indoeuropea si registra un'alternanza di forme con la -l- e con la -r-, sicchè è difficile tracciare una linea univoca. Ma nello spagnolo e-strell-ar significa anche 'scagliare, lanciare' facendo intuire un normale sviluppo del significato della radice ster-, stri-, stern- 'stendere, diffondere, sparpagliare'. E, dulcis in fundo, esso mostra un altro significato, quello di 'friggere (uova)' che ci riavvicina prepotentemente al valore di 'calore, fuoco, luce' che abbiamo visto spuntare qua e là dalla radice. Una conferma inequivocabile del significato di 'luce' della radice mi viene indirettamente dal termine composto ted. Streu-gold 'polvere d'oro' letter. 'oro (-gold) sparso? (Streu-)'. L'elemento Streu-, radice del verbo streu-en 'spargere' equivalente al citato ingl. strew 'spargere', da solo significa 'strame, lettiera' e mostra in effetti almeno un'ombra di artificiosità nell'ambito del composto. Ma tutto si acclara se si tiene presente il principio della ripetizione tautologica, di cui parlo costantemente: la radice di gold 'oro' è sicuramente quella di ted. gelb 'giallo', ingl. yellow 'giallo', ingl. glow 'essere incandescente, vivido, ardere'. L'altro elemento Streu- non può che ripetere lo stesso concetto, che esso indicava in una fase anteriore del linguaggio, quando tutto il composto valeva 'luce viva, incandescenza' e simili. A buona conferma di quanto sostenevo poco sopra sulla radice di log. i-sturr-utz-are 'spargere la brace' ho notato poco fa sul DULS il campid. sturn-ig-ai 'abbacinare, stordire', azione propria di una luce abbagliante che in questo caso deve avere come etimo proprio il concetto di 'luce accecante, bagliore'. Il nome della malattia dei bovini, equini e cani detta capo-storno, altrimenti e significativamente nota come balordone, credo possa trovare la sua ragione etimologica in un'azione simile di eccitazione, agitazione, vertigine e conseguente perdita di coscienza (intontimento) espressa dalla radice come avviene nell'abr. storne 'ubbriacatura' (4). Anche il log. i-stur-ulinu 'falbo' si muove nella direzione della 'luminosità'. Il cavallo storno, solitamente definito come 'cavallo dal mantello grigio-scuro disseminato di piccole macchie bianche', mi suscita quindi l'idea di una superficie stellata come quella di un cielo stellato. Si noti come la mia concezione della lingua permetta di collegare le cose e i nomi più vari, segno di una buona teoria come voleva il più volte ricordato A. Einstein. A conferma di tutto ciò, oggi 6 agosto 2011, leggo in una lista di voci del dialetto di San Benedetto dei Marsi-Aq, il verbo sturnì (5) 'incanutire', cioè il diventare 'bianchi' dei capelli, dal lat. canu(m) 'bianco, biondeggiante''. In questo quadro di riferimento la radice latina sider- 'stella' si configura necessariamente come una normale variante della radice di ted. Stern 'stella', del precedente sturn-ì 'incanutire', di starn-uzzi 'scintille del fuoco' sopra citato, proveniente dal dialetto di Cappadocia-Aq, nonchè di scozzese starn 'stella' . Nello stesso dialetto di San Benedetto dei Marsi-Aq la voce storne significa 'colore grigio e bianco, cavallo maschio'. Nel vicino paese di Trasacco-Aq sturne (6) significa 'grigio, storno, vivace' ma anche 'giovane spensierato, cavallino abbastanza brioso, bizzarro': evidentemente la parola è stata il luogo d'incontro di alcuni termini interconnessi per il significato, o di un solo termine, se vogliamo, con valori un po' diversi come bianco, grigio, vivace, espressione, quest'ultimo, della stessa 'eccitazione' che dà vita, a mio parere, al concetto di 'biancore, luminosità'. Eccitazione che dà ancora luogo alla 'vivacità' o 'allegria' del giovane spensierato nonchè al 'brio' del cavallino. Ma nello sfondo doveva operare anche un'idea di 'animale' (cfr. i vari uccelli storno, starna, sterna), in questo caso del 'cavallo', e non per nulla 'maschio', cioè piuttosto 'focoso' rispetto alle più placide cavalle. Cfr. anche ted. Stier 'toro', ted. Sterke 'giovenca'. A Trasacco capestùrne (7) (cfr. it. capostorno sopra nominato) vale anche 'persona estrosa, uomo spensierato, svogliato, volubile, imprevedibile' oppure 'animale da lavoro bizzoso, brioso, vivace, non rispondente ai comandi che gli dà il padrone, bizzarro'. In queste definizioni traspare tutta l' eccitazione di cui parlavo prima la quale richiama anche l' 'ebbrezza' di abr. storne sopra citato. Non per nulla a Tirano-So sturn-egia vale  'ubriacatura'. Ma il bello, a mio avviso, sta nel fatto che il 1° elemento capo- doveva ripetere all'origine il valore di 'eccitazione' e simile del 2°, se in ingl. heave (da precedente *cav-, *cab-) significa 'sollevare, issare' e, arcaicamente, 'sollevare lo stato d'animo'. Incredibile ma vero! Ho incontrato il tedesco familiare stern-hagel-voll 'ubbriaco fradicio' che letteralmente vale 'pieno (-voll) di grandine (-hagel-) di stelle (stern-)': in realtà, come ormai ben sappiamo, i tre componenti dovevano in questo caso attingere alla nozione di 'eccitazione, forza' e simili; ora, stern- è la fotocopia o quasi dell'abruzzese storne 'ubbriachezza', -voll rimanda al gr. polus 'molto, grande, alto, forte, violento'. Dato che ted. Hagel 'grandine' corrisponde ad ingl. hail 'grandine' anche gli ingl. heal 'guarire' e health 'salute', ted. heil 'sano' potrebbero derivare da precedenti forme *hagil, *higil, ecc. benchè non attestate. Anche l'inglese high 'alto' ha una tale varietà di accezioni, d'altronde, da includere il valore di 'vivo' (a high heat 'un fuoco vivo'), 'su di giri (allegro, eccitato, sovreccitato)'. Ad ogni modo, la radice di hag-el, nel senso di 'ubbriacatura', si ritrova a mio parere anche nel logudorese cag-ogna 'sbronza, ubbriacatura', logud. cog-ogna, cug-ogna 'sbronza' le quali non sono altro che varianti del logud. cògh-ersi 'cuocersi, invaghirsi, sborniarsi', verbo in cui opera una radice polifunzionale (come tutte del resto) che racchiude il 'calore' del fuoco, dell'amore e del vino. Della stessa radice sono i logud. cog-on-are 'rinsecchire', cog-onu, 'rinsecchimento, risentimento, dispiacere', cogh-inu 'dispiacere', nei quali si sente in azione qualcosa che brucia, in tutti i sensi. Pertanto l'it. càcc-ola ' pezzetti, pallottoline di muco e cerume rinsecchito del naso, occhi e orecchi' non lo vedrei tanto come diretta emanazione del termine cacca ma come esatto corrispondente del sunnominato ted. Hagel 'grandine', intesi come coaguli causati dalla stessa forza che ha dato vita alle càccole, anche se con indosso il cappotto per il freddo. Lo dimostrano anche, per il principio tautologico, l'ingl. hail-stone 'chicco di grandine', ted. Hagel-korn 'chicco di grandine'.

Colgo l'occasione per parlare di una voce logudorese che sembra fatta apposta per chiarire una volta per tutte il meccanismo combinatorio nella formazione delle parole attraverso la sintesi di varie componenti che assomigliano, per il significato, a pezzi polifunzionali, buoni per ogni necessità. Il termine di cui parlo è il log. cog-òscia 'ang-oscia'. Il 1° componente cog- sembra sostituire ang- dell'ital. ang-oscia, esito popolare del lat. ang-ustia(m) continuata in italiano anche come angustia 'ristrettezza di spazio, economica; ansia, pena' . Nelle nostre parlate essa è diventata la 'ngustia, voce che riassume tutto il male di vivere di un povero cristo in pena disperata per qualche motivo o anche di un bambino che non si riesce ad appagare in nessun modo. Ora, il significato originario di log. cog-oscia poteva essere anche un po' diverso da quello attuale, influenzato senz'altro dal significato di it. angoscia, col quale ha finito per coincidere. Abbiamo visto un po' più su che la radice sarda cog- riporta al lat. coqu-ere 'cuocere' con il ventaglio delle sue possibilità espressive che comprendono anche il significato metaforico di it. bruciare 'avere una sensazione spiacevole'. Appena fatta questa riflessione mi son detto che la componente -oscia di log. cog-oscia poteva ugualmente richiamare il lat. usti-one(m) 'bruciatura, infiammazione' e in effetti, andato a controllare sul DULS, ho incontrato il log. ùsciu 'bruciacchiatura, strinatura', log. usci-are 'abbruciacchiare, abbrustolire, bruciare'. Ma la riflessione non finisce qui. Infatti se la rad. cog- nel sardo cog-oscia sostituisce il 1° componente ang- di lat. ang-ustia(m), il quale richiama lat. ang-ere 'stringere, costringere, tormentare, allora è probabile che anche la radice cog- potesse esprimere l'altro signif. di 'stringere' espresso dal lat. cog-ere 'costringere', anche se quest'ultimo risulta da un *co-ag-ere 'spingere (-ag-ere) insieme (co-)' come dimostra il perf. latino co-egi 'costrinsi'. Ma quest'ultimo poteva essere anche frutto di una reinterpretazione di una precedente base senza prefisso: perchè abbiamo visto come l'idea del bruciare, cuocere espressa dalla radice cog- può essere considerata variante di quella di 'agitare', 'spingere', 'stringere'. Ne deriva, tra l'altro, che anche la 2° componente -ustia di lat. ang-ustia(m) ha, per così dire, un valore generico polisemantico che in questo caso si specializza nel signif. di 'stringere' ma in sardo cog-oscia presumibilmente si era specializzato in quello di 'bruciatura=dispiacere', finito poi per coincidere con quello di it. angoscia anche a causa della perfetta sovrapponibilità delle loro seconde componenti. Una cosa è chiarissima: la componente, ad es., di lat. ang-ustu(m) non era all'origine un non meglio identificato suffisso, ma una componente come la prima. Solo che la Lingua ha preferito in questi casi fare, diciamo così, mente locale sulla prima componente portatrice quindi del significato della parola, dimenticando (dato che la cosa non comportava danni) che la seconda componente aveva lo stesso significato e sfruttandola così ai fini di attuare utili distinzioni morfologiche (aggettivi, sostantivi, avverbi, ecc.) tra parole con lo stesso significato di base.

Il lat. Saturnu(m) 'Saturno' doveva essere il nome di una divinità del Sole se i famosi festeggiamenti dei Saturnalia iniziavano il 17 dicembre, a ridosso del solstizio invernale. La struttura consonantica del nome è la stessa di ted. Stern 'stella' e delle altre parole di cui abbiamo parlato. E' chiaro che anche la strena(m) 'strenna', il regalo che in occasione della festa di Saturno la gente si scambiava augurandosi felicità e salute, trae il nome dalla stessa radice incrociatasi con quella di Strenia, dea della buona salute. Diversi sono gli indizi che portano all'individuazione di una radice per 'luce, sole' che si nasconde dietro il nome Saturno. Sotto il suo regno si era avuta la famosa e felice età dell' oro. In latino la sola parola Aurum 'oro' poteva significare 'età dell'oro', il che suscita qualche sospetto che Aurum fosse stato in realtà altro nome della divinità, che sottolineava la sua 'luminosità'. Saturno, arrivato nel Lazio, ottenne il regno da Giano, anch'esso antica divinità solare o della luce passata poi a divinità di ogni principio e fine, simboleggiati da passaggi coperti detti iani . Vesta, la dea del fuoco, era chiamata Saturnia virgo (vergine figlia di Saturno). Il piombo, minerale d'un colore bianco-azzurrognolo appena tagliato e che in natura si trova quasi sempre mescolato ad altri minerali 'luminosi' come l'argento o la galena, era associato dagli antichi alchimisti a Saturno. In inglese il saturnine red 'rosso saturnino' indica il minerale red lead 'piombo rosso' altrimenti noto come minio. L'usanza dello scambio dei ruoli in questa festa (gli schiavi venivano serviti dai padroni) deve essere un riflesso della natura stessa del solstizio in cui il Sole cambia corso tornando indietro capovolgendo la situazione. Per la qual cosa sarei incline a scorgere in questo fatto un lume per l'individuazione dell'etimo del verbo italiano storn-are , ben inquadrabile nei significati della radice sopra discussa, il quale ha anche il significato arcaico di 'indietreggiare, tornare indietro'. Nel sardo campid. sterrina (da *stern-ina) significa anche 'strofa'; nel nuorese i-sterria (da *i-sternia) vale 'distesa, stesura, mottetto, strofa'. L'idea di strofa (propriamente 'voltata del coro danzante e declamante' nell'antica tragedia greca) è quella di 'periodo ritmico' ripetuto più volte nel componimento poetico. Si deve quindi pensare che la radice stern- contenesse anche un significato di 'giro, voltata' in questi casi. Cfr. l'it. arcaico stornimento ' giramento di capo'. Anche il mottetto non è altro che uno storn-ello, appunto, cioè un canto popolare costituito da tre versi . I versi (cfr. lat. vertere 'girare') erano così chiamati perchè simili a solchi che l'aratro traccia sul terreno, voltando e rivoltando la direzione. E il famoso Saturnius versus, il verso in uso nella Roma primigenia prima che essa soggiacesse alla cultura e alla metrica greca, la cui natura è piuttosto incerta, doveva molto probabilmente il nome al fatto di essere appunto un verso, dalla radice *saturn, *sturn 'girare, voltare, deviare'.

L'italiano regionale stracco 'stanco' per il quale si richiama solitamente il longobardo strak 'rigido, teso, stanco' credo che debba fare i conti anche con log. i-strag-are 'molestare, corrompere, opprimere, danneggiare, rovinare, stancare', log. i-strag-adu 'corrotto, molestato, stancato', campid. strag-ai 'affaticare, stancare'. La radice mi pare quella di sardo a-str-au 'ghiaccio' il quale è un derivato dell'idea di 'comprimere' simile a quella di 'co-ag-ul-are'. Siccome questo verbo strag-ai non pare possa essere ricondotto direttamente a qualche forma longobarda, se ne deve dedurre che it. stracco non può essere considerato in rapporto esclusivo col longobardo e che quindi il suo bacino linguistico di riferimento deve essere molto più vasto, e raggiungere probabilmente la preistoria. Non mi pare che i Longobardi abbiano mai piazzato le loro tende in Sardegna.  A proposito dell'idea del "comprimere" cui ho accennato poco fa, mi pare il caso di tirare in ballo l'etimo che solitamente viene dato per l'it. lastrico, ricondotto al gr. ostrak-on 'coccio, conchiglia' con agglutinamento dell'articolo it. l(o).  Mi pare del tutto evidente, invece, la sua stretta connessione con la suddetta radice astrag- della  forma sarda astrau 'ghiaccio' che si ripresenta anche in forme dialettali sparse un po' in tutta Italia astraco, astrico (tardo lat. astracum 'pavimento') significanti appunto 'pavimento, solaio, terrazzo, terra battuta, strada': questi concetti vanno a braccetto con quello di "compressione, indurimento" che governa anche l'idea di "ghiaccio", indipendentemente da fatto che alcuni pavimenti potessero essere composti effettivamente di cocci: ma si tratterebbe sempre di specializzazione di un vocabolo dal significato più generico, come generalmente succede per quasi tutte le parole.  Semmai, è il concetto di "coccio, osso" che potrebbe pagare un tributo a questa radice astrag-: cfr. anche gr. astrag-alos 'vertebra, noce del piede, dado'.

Che bellezza di panorama, che vasti e riposanti orizzonti e che semplicità!



Exegi monumentum aere perennius

regalique situ pyramidum altius,

quod non imber edax, non Aquilo inpotens

possit diruere aut innumerabilis


annorum series et fuga temporum.

Non omnis moriar multaque pars mei

vitabit Libitinam: usque ego postera

crescam laude recens, dum Capitolium


scandet cum tacita virgine pontifex.


(Hor. carm. III, 30)



(Ho innalzato un monumento più duraturo del bronzo

e più alto della mole delle maestose piramidi,

che non la pioggia distruttrice, non l'Aquilone sfrenato

potrà mai ridurre in polvere nè la serie senza fine


degli anni o la lunga teoria dei tempi.

Non tutto morrò e gran parte di me

sfuggirà a Libitina: di anno in anno la mia lode

crescerà sempre nuova, finchè sul Campidoglio




salirà con la vergine tacita il pontefice)




Note

(1) Cfr. A. Rubattu, sito internet: http://www.toninorubattu.it/ita/DULS-ITALIANO-SARDO.htm

(2) Cfr. M. Cortelazzo/P.Zolli, Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Zanichelli Editore, Bologna 2004, s.v. strinare.

(3) Cfr. D. Bielli, Vocabolario Abruzzese, Adelmo Polla Editore, Cerchio-Aq 2004.

(4) Cfr. D. Bielli, cit.


(6) Cfr. Q. Lucarelli, Biabbà Q-Z, Grafiche Di Censo, Avezzano 2003, s.v. sturne.

(7) Cfr. Q. Lucarelli, cit., s.v. capesturne.