domenica 24 ottobre 2010

Il toponimo svizzero "Zwisch-bergen-tal" equivale, anche nel suo significato originario, a quello latino di "Inter-montium"

Sono tornato a riflettere su alcuni nomi di valli ossolane al confine tra la Svizzera e l’Italia nella zona a nord di Domodossola e, appena mi si è svelato quello che ritengo il loro vero volto originario, ho sentito dentro di me una sensazione stupenda, di quelle che aiutano ad allargare i confini dello spirito, non a restringerli.
Uno è il nome della valle Dévero, dove scorre un affluente del Toce, il torrente Dévero, appunto. L’altro è quello della valle Divédro, dove scorre un altro affluente del Toce, il torrente Divéria. Quest’ultimo nome induce a credere che quello della valle Divédro si ritrovi una –d- in più, anche rispetto al nome quasi uguale dell’altra valle, per qualche motivo che ora non percepisco con chiarezza forse di natura paretimologica, a meno che tutti questi toponimi non avessero avuto all’origine la dentale sorda –t-, successivamente sonorizzata e poi completamente scomparsa. Si sarebbe avuto allora probabilmente un nome composto *Divé-tro, ma la sostanza del mio ragionamento, come si vedrà, non cambierebbe. Se si pone attenzione alla continuazione della valle Divédro, al di là del confine svizzero, ci si accorge che uno dei suoi rami prende il nome di Zwisch-bergen-tal, cioè ‘valle (-tal) tra (Zwisch-) monti (-bergen-)’. Ritorna, a mio avviso, il falso cliché del nome della valletta Inter-montium tra le due alture del Palatino, della valle d’ Entre-mont (canton Vallese, Svizzera) e di Unter-berg-tal (Austria), tutte col significato di ‘valle tra monti’. Ma, come sostenevo a proposito di Inter-montium nell’articolo in cui commentavo criticamente la proposta di Massimo Pittau per l’etimo di Roma, non potrebbe esistere nome più banale e, in sostanza, immotivato per una valle che si trova in un’area dove non esistono che monti e dove tutte le altre valli contigue sono nella stessa condizione geografica. Io penso pertanto che la spiegazione di questi nomi vada cercata altrove. Nel Tirolo Orientale si incontra una Virgen-tal 'valle Virgen' che ha tutta l'aria di una variante di Berg-tal, termine quest'ultimo del lessico tedesco col valore di 'valle tra monti': quale altro significato potrebbe avere d'altronde un eventuale composto inizialmente tautologico inserito nel sistema linguistico attuale caratterizzato da composti del tipo determinante/determinato? E, allo stesso modo, non sembra sospetto anche il ted. Berg-werk 'miniera' col suo significato letterale di 'lavoro di montagna' meno accettabile di quello, ad esempio, di 'lavoro di scavo, sotterraneo', data anche la constatazione che le miniere non debbono trovarsi per forza in montagna?
Il ted. zw-ischen ‘tra (due)’, corrispondente all’ingl. be-tw-een ‘tra’, rimanda alla radice dw- (cfr. ted. zwei, ingl.two, lat.duo 'due') che va a combaciare con la radice delle valli in questione (dev-, div-, dv-) la quale, nel nome della valle svizzera è ampliata col suffisso aggettivale –isch e, nel nome delle due valli italiane, è ampliata col suffisso –ero, erio, a meno che non sia da supporre, come ho sospettato più sopra, un originario *Divé-tro. Il nome della valle Zwisch-bergen-tal, prima di ricevere l’ultima componente –tal (valle), ne aveva incontrata un’altra, e cioè berg, parola che oggi significa ‘monte’ ma che in un lontano passato dovette significare anch’essa ‘valle’ come si può presumere da alcuni termini quali il dialettale burg-òn 'vaso grande di legno e di paglia' nella montagna modenese, l'it. burga 'cesto di vimini o di rete metallica che si immerge nell'acqua per conservarvi vivi i pesci', l’it. borchia, it. burchio, l'indiano burqa ' indumento che avvolge il corpo delle donne islamiche e ne nasconde il volto' o lo stesso ted. berg-en ‘salvare, contenere, racchiudere, nascondere, coprire, proteggere’ come conseguenza di un ‘avvolgere’ ricavabile anche dall'ingl. bark 'corteccia' (da cui probabilmente i primi uomini si costruirono le prime barchette), dall’it. barca la quale, in quanto ‘cavità’, deve essere legata specularmente all’altro significato di ‘monte, cumulo’ che la parola, specie in toponomastica, assume. Da notare, poi, un’identica relazione tra il significato di lombardo munt ‘baita’ (in qualche modo una ‘cavità, un ambiente chiuso’) e di it. monte. Secondo questa linea interpretativa anche il ted. Berg-hohle 'caverna di montagna' non ce la racconta giusta sulle sue origini che parlano in realtà di una sola idea di 'caverna' espressa dalle due componenti, come del resto i ted. Berg-schlucht 'burrone, gola (di monte)', e Berg-stollen 'galleria, filone (di miniera)', visto che i due termini Schlucht e Stollen già da soli significano rispettivamente 'burrone, gola' e 'galleria (di miniera)': si farà osservare che spesso la lingua è illogica, ma per questi casi io preferisco additare la illogicità della ripetizione tautologica dello stesso significato nei due membri così evidente in diversi composti germanici come ted. Giebel-zinne 'pinnacolo', ted. Gockel-hahn 'gallo', ted. Senke-grube 'pozzo nero', ecc. Del resto l'ingl. to bury 'seppellire' e l'ingl. burrow 'tana, galleria, passaggio', riconducibili alla stessa radice di ted. bergen 'nascondere, proteggere' o a varianti, la dicono lunga sul valore ambivalente (monte/cavità) di ted. Berg in questi composti. Tra l'altro, nel vocabolario italiano ed inglese di Giuseppe Baretti (1831), bury significa anche 'dimora, abitazione' in quanto 'cavità', credo. A Rovereto-Tn bark indica sia il 'monte' che la 'cascina, stalla'. Non è un caso che l'it. parco, a mio avviso variante della radice in questione, si faccia risalire a base prelatina col significato di 'recinto', concetto derivabile da quello di 'cavità, rotondità'. Pertanto a me sembra che grave tabe della linguistica tradizionale sia la sua tendenza a separare i concetti gli uni dagli altri, più che a riannodarli insieme allargandone il campo semantico, anche quando, come nel caso della radice *barca, *barga (che interessa vaste zone europee per il significato di fondo di 'recinto di bestiame' , di 'dimora rustica', di 'monte, mucchio, cumulo' o di 'cavità'), è a mio avviso evidente la loro matrice comune. La radice dev- di cui sopra, per il probabile significato di ‘valle’, va accostata forse all’ingl. deep ‘profondo’, ingl. dive ‘immersione, tuffo’. Essa parrebbe vivere persino a Magliano dei Marsi-Aq nel vallone di Teve, sebbene con la dentale sorda.
Le componenti in-ter, un-ter dei nomi delle valli sopra nominate sono, secondo me, varianti che esprimono il concetto di ‘movimento verso l’interno o verso il basso’, utilizzato da parlate preistoriche per esprimere anche il concetto di ‘valle’ o di ‘cavità’, come in questi toponimi sostanzialmente tautologici nelle due componenti.
Anche il concetto di ‘gola, passo’, che ho creduto di vedere, nell’articolo precedente sull'etimo di tramontare, sotto toponimi come Tre-monti o Tra-monti , deve essere a mio avviso accostato a questo di ‘valle, cavità’.

martedì 19 ottobre 2010

Etimo di it."tramontare", spagn. "tramontar"

Nel suo ultimo libro Il mare in un imbuto Gian Luigi Beccaria, l’illustre linguista, a proposito della illogicità di molte parole della lingua riporta il caso di una signora «di spirito, ma di proposte bislacche» la quale così gli scrive:«Io vivo al mare, non ho davanti a me le montagne, allora mi dica come mai il sole quando scompare all’orizzonte deve proprio tramontare; io penso che quando scompare in un orizzonte marino, tramara».
Riflettendo su queste illogicità a me pare che il problema che esse pongono non possa essere sempre risolto con facilità. In questo caso si penserà che il verbo "tramontare" sia nato in località circondate ad occidente da monti o colline dietro le quali il sole va a ‘coricarsi’, e che poi esso si sia diffuso dappertutto; ma lì dove, verso occidente, si estendeva il mare, il termine avrebbe trovato qualche difficoltà ad affermarsi anche perchè in quei luoghi era probabile che si usassero verbi come ‘cadere’, ‘calare’, ‘coricarsi’, ‘immergersi’ ecc. che non producevano nessuna discrasia con il fenomeno da rappresentare. In effetti non è così piano, a mio avviso, che questo verbo debba intendersi come un ‘(andare) oltre i monti’ perchè in Abruzzo esistono voci come trabballà, travallà, sballà (cfr. il Vocabolario Abruzzese di Domenico Bielli, Adelmo Polla editore, Cerchio-Aq, 2004), tutte col significato di ‘tramontare’ che potrebbero indurre a credere che il significato originario fosse stato quello di ‘(andare) oltre la valle’. E allora come la mettiamo? La voce trabballà, forse anche per influsso dell’it. traballare, significa anche ‘dondolarsi, dimenare la persona’. Sballà o sballì nel mio paese significava ‘scomparire’, detto di persona che, camminando lungo una strada, ad un certo punto usciva fuori del campo visivo perchè magari aveva imboccato una curva o si era talmente allontanato da non essere più visibile.
Io non so se, per l’it. ballare sia corretto richiamare il gr. bállein ‘gettare, scuotere’, come solitamente si fa, o se non sia da preferire il ted. wallen ‘ondeggiare, fluttuare’, ted. Waller ‘pellegrino’. Quest’ultima voce ci fa capire, infatti, che il significato originario della radice wall- doveva pendere per quello di ‘muoversi, andare, camminare’, significato che andrebbe a pennello per quello di ‘tramontare’ nel senso di ‘sparire, perdersi, andare (oltre il campo visivo)’ o semplicemente in quello di ‘andare’, considerando il prefisso tra-, non derivante direttamente dal lat. trans ‘oltre, attraverso’, ma come componente di un verbo tautologico prelatino il cui significato doveva essere ‘penetrare, entrare’ e quindi ‘immergersi, tramontare’ come nel gr. dú-ein ‘penetrare, immergersi, tramontare’: ora, mi sembra evidente che qui l’ immergersi non debba alludere per forza al mare nel quale, in località ad esso prossime, sembra tuffarsi il sole al tramonto, ma che possa essere inteso nel senso di ‘calare, sprofondare (sotto la linea dell’orizzonte, indipendentemente dalla presenza di monti o mari)’ e simili.
Tornando ora al nostro tra-montare, penso che anche in questo caso si debba riportare la voce alla preistoria in cui essa, lontana dai significati attuali specializzati delle sue due componenti che ci parlano di ‘monti oltrepassati’, poteva trarre linfa vitale dalla sua radice abbastanza attiva in latino col significato fondamentale di ‘sporgersi’ (cfr. lat. e-min-ere ’sporgere, sovrastare; lat. in-min-ere ‘pendere sopra, sovrastare’, pro-min-ere ‘sporgere, procedere, avanzare’), molto vicino ad un ‘tendere, spingersi, sprofondare (sotto la linea dell’orizzonte)’. Il lat. trans-min-ere 'trapassare' sembra pronto a partorire un clone del tipo *tra-mont-are come pro-min-ere 'sporgere avanti, su' ha prodotto pro-mont-orium, pro-munt-urium 'promontorio'.
Se poi si riflette sul significato di gr. dia-ball-ein che, in senso assoluto, vale 'passare' dovremmo capire che tra questa radice del verbo ball-ein 'gettare' e quella di ted. Wall-er 'pellegrino' potrebbe forse non esserci differenza alcuna. E c'è da scommettere che i molti Passi del Diavolo e Ponti del Diavolo in toponomastica siano da riportare ad un termine con questo significato di 'passaggio', non immediatamente visibile però nel gr. dia-bolos 'calunniatore' che pur appartiene alla stessa famiglia.
Singolare poi mi sembra il ricorrere del toponimo Tre-monti (con varianti) che indica paesi presso gole o passaggi, o semplicemente gole, come Gole Tremonti (ma anche Tramonte) vicino Popoli-Pe, Gole di Tramonti, vicino Maiori-Sa, Gole di Tremonti nel Cilento, Valico Tre Monti presso Brisighella-Ra . Si deve aggiungere anche il paesino di Tremonti di Tagliacozzo-Aq, vicino ad un antico passo montano. L'idea di "gola" è molto simile a quella di "passaggio", e così si ritorna al movimento insito nel verbo tramontare. Le Gole Tremonti presso Popoli-Pe, mettendo in comunicazione due zone climatiche diverse, sono spesso percorse da correnti d'aria. Curioso il detto, riportato dal vocabolario del Bielli, Quande Tramònte sta senza vénte, lu diavele sta senza dénte. A mio parere il diavolo qui viene tratto in ballo, non perchè parto della libera e sbrigliata fantasia popolare, ma perchè in epoca imprecisata della preistoria esso doveva essere stato, come ho supposto più sopra per questo termine, l'appellativo geografico delle gole (accompagnante il nome proprio Tramonte ). E sarà rimasto in uso fino a quando non è stato costretto a cedere le armi al lat. gula(m) 'gola'.
Anche l'abruzzese tra-bballà, tra-vallà credo che non debba essere lasciato tutto solo. Se esso significa anche 'dondolarsi, dimenare la persona' , in sostanza un 'agitarsi, muoversi', non sarebbe un delitto accostarlo al fr. tra-vail 'lavoro, fatica,tormento' nonchè all'ingl. to tra-vel 'viaggiare, muoversi, spostarsi, passare, dial. andare a piedi (cfr. il sopra citato ted. Wall-er 'pellegrino)'. Dimenticavo di far notare che, sempre nel Vocabolario Abruzzese di cui sopra, la voce trabballe presenta i significati di 'tratto, crollo. Tracollo della bilancia' facendo così capire che il concetto di 'tramontare', assunto dai relativi verbi abruzzesi, scaturisce direttamente dal concetto di 'crollare, precipitare, cadere, abbassarsi' ricavabile agevolissimamente dalla voce suddetta.

venerdì 8 ottobre 2010

Considerare, desiderare, assiderare

L’etimologia che va per la maggiore per questi verbi è incentrata sulla parola latina sidus ‘stella, costellazione, stagione’ d’origine sconosciuta. A favore di questa interpretazione milita il fatto che i latini (e non solo) erano soliti osservare le stelle a scopi augurali perchè da esse sarebbero venuti influssi vari che determinavano il destino di ogni uomo e il decorso degli eventi. E questa credenza è arrivata fino a noi se è vero che ancora oggi diciamo, ad esempio, che uno è nato sotto una buona o cattiva stella e che molti sono quelli che consultano gli oroscopi che giornali o trasmissioni televisive ci offrono in abbondanza.
Date le difficoltà che a mio avviso si presentano nel riportare al concetto di ‘stella’ il significato di questi verbi, come vedremo più sotto, io penso che il problema fondamentale sia quello di appurare in qualche modo l’etimo di lat. sidus nel cui ambito potremmo trovare un significato più naturale e adatto a spiegare i valori dei tre verbi. In altri termini io sono convinto che questi valori non debbano essere visti in connessione col significato storico di sidus ‘stella’ ma con quello della sua purtroppo ignota etimologia.
Il lat.con-sider-are ‘osservare bene, considerare, ponderare’ sarebbe composto dalla radice –sider- di lat. sidus, gen.sider-is ‘stella, costellazione’ preceduto dal prefisso intensivo con-. Il suo significato, però, non corrisponde, ad esempio, a quello del termine latino con-stell-atione(m) ‘posizione degli astri’ di simile struttura, e si presume, ma non so con quanta veridicità, che il suo significato originario sia stato quello di ‘osservare le stelle’ in base, appunto, alla pratica dell’osservazione di esse ad uso augurale o semplicemente astronomico, ma se così fosse ci sarebbe un’intrusione del concetto di ‘osservare, guardare’ non facilmente giustificabile: il concetto di ‘stella’ dovrebbe a mio avviso comportare naturalmente quello di ‘brillare’ o anche quello di it. co-stell-are ‘diffondere, disseminare (come se si trattasse di stelle sparse nel cielo)’. Gli aggettivi latini stell-ante(m) ’stellato, scintillante’ e stell-atu(m) ‘stellato, fulgente’ possono far supporre l’esistenza di un verbo, inusitato in latino, come *stell-are dal medesimo significato fondamentale: come si vede, però, non si va oltre l’idea della ‘luce’ o, al massimo, della ‘forma’ o 'disposizione' delle stelle.
Il lat. de-sider-are ‘desiderare, sentire la mancanza’, poi, costringe gli etimologi a contorsionismi notevoli nel tentativo di spiegarlo facendo perno sul significato di ‘stella’. C’è chi dà al prefisso de- un valore intensivo ottenendo un significato del verbo simile a quello di con-sider-are, nel senso di ‘guardare attentamente (o cupidamente) le stelle e, quindi, ‘fissare cupidamente qualcosa, bramare’, e c’è chi dà ad esso un valore di allontanamento, distacco, ottenendo il significato di ‘cessare di osservare le stelle a scopo augurale’ e, quindi, trovarsi nella condizione di chi non può fare altro che ‘desiderare, bramare’ qualcosa di cui si sente la mancanza. Sinceramente il significato qui mi sembra tirato proprio con le tenaglie, oltre a riproporre l’indebita intrusione del concetto di ‘guardare, fissare’. Perchè, poi, si cesserebbe di guardare le stelle? per mancanza talora di segni augurali, per cui si resterebbe a bocca asciutta a desiderare i preavvertimenti, i presagi, gli omina riguardanti il fatto, l’oggetto agognato? e da questa condizione piuttosto insolita si sarebbe prontamente forgiato il verbo in questione? Ma per carità!!! Più che a sobrio e serio lavoro etimologico qui si dà vita ad un’orgia, starei per dire, di ipotesi che nulla hanno a che fare con un approccio realistico al problema. Intendiamoci, supposizioni si possono e si debbono fare, ma che siano semplici, dirette, non pletoriche, tortuose, altamente improbabili. O forse bisogna dar retta alla proposta del filosofo Umberto Galimberti che, come riferisce qualcuno in internet, presume di trovare l’etimo della parola da un passo del De bello Gallico di Cesare in cui, dopo una giornata di battaglia, i soldati che si attardavano la notte sotto le stelle ad attendere il ritorno dei compagni dispersi, vengono chiamati desiderantes? A mio parere saremo condannati in eterno a rigirarci in preda alle smanie nel letto dei pii desideri, se non troviamo una strada diversa da quella incentrata sul termine latino sidus col suo significato di 'stella'.
Ed ora passiamo al verbo italiano as-sider-are, as-sider-arsi, che è fatto derivare da un latino parlato *ad-sider-are: le stelle, con i loro influssi malefici emessi durante una notte serena e gelida, riappaiono anche qui. Qualcuno pensa al significato di ‘stagione’ che talora sidus assume, e in particolare alla ‘stagione fredda’ che fa intirizzire le membra fino a causare la morte del corpo, se non si corre ai ripari. Ma, anche così, non ci spostiamo di un millimetro dall’ombra uggiosa della fatidica e funesta parola: sidus!
Con questa fissazione in testa potremmo scoprire lo stesso rapporto con le stelle anche nel termine tedesco er-starr-en ‘irrigidirsi, intirizzirsi, far gelare, rendere rigido’ se lo si accostasse all’ingl. star ‘stella’, ted. Stern ‘stella’. Ma in realtà esso richiama una radice molto diffusa, in varie gradazioni apofoniche, come nel ted. starr ’rigido’, ted. stier ‘fisso, immobile (dello sguardo)’, ted. stur ‘rigido, fisso, ostinato’, ingl. to stare ‘guardare fisso’, gr. stereós ‘solido, rigido, fermo’ . Se si vuole, anche l’ingl. to starve ‘morire di fame o (arcaico) freddo’, il ted. sterben ‘morire’ avrebbero potuto suscitare l’idea di una dipendenza, non dalla radice precedente, ma dagli influssi maligni delle stelle, data la coincidenza in queste lingue germaniche delle radici per ‘stella’ e per ‘rigidità’. Il fatto che in latino non si incontrano radici per ‘rigidità’ simili a quella di sidus, gen. sideris ‘stella’ non può essere considerato una prova che la radice dei tre verbi in epigrafe debba essere necessariamente la stessa di quella sconosciuta di sidus,col significato di ‘stella’. Non è una cosa affatto rara che alcune radici sopravvivano solo in alcuni termini tra tutti quelli che si potevano incontrare in una fase precedente della lingua.
A questo punto, a mio parere, conviene spiegare perchè si hanno queste coincidenze fra i due concetti di ‘rigidezza’ e di ‘stella’, apparentemente estranei l’uno all’altro. La stella agli occhi dell’uomo preistorico non può essere apparsa che come una luce, una fiammella tremolante nell’oscurità della notte, attingendo così al concetto primordiale di 'forza, emanazione, tensione' e venendo a coincidere col concetto di 'forza, tensione' che sta dietro a quello di rigidità. I termini lat. stella (da precedente *stelna ‘stella’), ted. Stern ‘stella’, ingl. star ‘stella’ si possono ricondurre ad una radice indoeuropea ster ‘spargere’, concetto affine a quello di ‘stendere, tendere’. Sicchè si può fare riferimento anche al lat. stern-ere ‘stendere, spargere, spianare, ecc.’ anche perchè io non condivido l’opinione comune che le forme Stern, star, stella siano derivate dal gr. (a)-ster ‘astro, stella’ mediante caduta della presunta vocale prostetica –a-. Si incontrano in greco termini come tér-as ‘astro, stella’, teírea da teír-e(s)a ‘astri’ che fanno pensare a termini formati attraverso l'inversione delle due componenti di as-ter: la –a- iniziale della parola non sarebbe così una comoda vocale prostetica, ma parte integrante di una radice as,os, us col valore di ‘luce, fuoco’ di cui si hanno diversi riscontri. L’altra componente –ter credo possa essere accostata,ad esempio, al lat. torr-ere ’essere ardente’ e al nome della dea buddista Tara dal significato di ‘stella’.
Se ora riflettiamo un po’ sulla radice sopra citata ster ‘spargere’ comparandola con quella di sidus, gen. sider-is ci accorgiamo che basta spostare l’accento di questa parola dalla terzultima alla penultima per ottenere un termine molto simile a ted. Stern ‘stella’, con caduta della vocale –i- protonica, e cioè s(i)dèr il quale, subendo il normale assordimento della dentale sonora –d- darebbe in germanico esattamente la forma ster, variante di ingl. star ‘stella’ e di sscr. strī ‘spargere’: il che mi fa concludere che la presunta oscurità dell’etimo della radice di lat. sidus 'stella’ è dovuta alla nostra insufficiente perspicacia che ci impedisce di scorgere in Stern una semplice variante di sidus, gen. sideris da non collegare con gr. as-tér. Il rotacismo del gen. sider-is rispetto al nomin. sidus non è dovuto, come ho sostenuto altrove per altri casi, ad un fenomeno di trasformazione ma di sostituzione di forme diverse preesistenti.
Una volta convinti di quanto sopra, diventa estremamente semplice interpretare i verbi in epigrafe come derivanti dalla radice –sider- con valore di ‘tensione, estensione, spargimento, ecc.’. In effetti il con-sider-are può essere letto come un ‘rivolgere l'attenzione, l’intenzione a qualcosa’, il de-sider-are si chiarirebbe come un ‘tendere verso qualcosa, bramarla’ o come ‘studiarla, esaminarla, ricercarla (significato attestato nei classici, che richiama in sostanza il precedente considerare)’ con il prefisso de- probabilmente intensivo, senza tutti quei contorcimenti mentali di cui abbiamo parlato sopra, e infine l’as-sider-are, as-sider-arsi dal lat.*ad-sider-are si configurerebbe semplicemente come un ‘tendersi, irrigidirsi’ tipico del rigor mortis, che interviene dopo il decesso, in specie quello causato dal freddo.
Per approfondire un po’ il discorso mi pare si possa sostenere che la radice sider potrebbe essere intesa come ampliamento della più nota radice diffusa in area indoeuropea di lat. sid-ere ‘porsi a sedere’ e lat. sed-ere ‘star seduto’, radice che all’origine doveva contenere il significato di ‘spingere, tendere, muoversi’: quanto a ‘sedere’, il movimento è diretto verso il basso. Dico questo perchè in inglese il verbo to set ‘porre, stabilire, ecc.’, che fa parte della famiglia dei precedenti verbi latini, rivela nella sua natura profonda il significato di ‘muoversi, dirigersi’ come nella frase the current sets to the north ‘la corrente si dirige verso nord’ ,e anche il significato di ‘diventare rigido, rappreso, denso’ in cui riappare quella ‘tensione’ che può in concreto tramutarsi in ‘irrigidimento,assideramento’, come abbiamo visto sopra per sider. L’it. sido (lat. sidus) ‘freddo intenso, ghiaccio’ richiama la rigidità dell’assideramento come d’altronde il lat. sideratione(m) che indica un colpo apoplettico o qualsiasi paralisi improvvisa di uomini piante e animali con un irrigidimento di organi diversi o una bruciatura di rami, foglie che indurisce la parte colpita.
L’it. strazio, con la sua pronuncia tenue della –z-, potrebbe essere l’esito di lat. s(i)d(e)ratio, nomin. del precedente sideratione(m), con la caduta delle vocali protoniche. Il lat. (di)stractio ‘tirare da una parte e dall’altra’, da cui si fa derivare il termine, avrebbe dovuto produrre una pronuncia intensa della –z- come nell’it. distrazione con la -z- pronunciata come doppia.
Anche il greco può aiutarci a definire il senso della radice in questione con l’espressione pindarica sidaro-khármas (P.2,2) usata in riferimento ad un cavallo ‘esultante (-khármas) nella (o della) armatura (sidaro-)’ secondo il vocabolario del Rocci, ‘combattente col ferro’ secondo quello di Gemoll. La stessa incertezza della interpretazione ci dice che si tratta di locuzione molto antica che va intesa, a mio parere, col metodo da me elaborato della ripetizione tautologica. I due membri del composto hanno lo stesso significato e pertanto, siccome quello di khármas è noto, sidaro- (var. dorica di sidero-) non farebbe che ripeterlo. Si tratterebbe quindi di cavallo ‘esultante’ cioè ‘generoso, battagliero, focoso’. In questo caso sidero- sarebbe da avvicinare alla radice su menzionata di sidus, gen. sideris ‘stella’ ed esprimerebbe in pieno tutta la ‘tensione’, la ‘forza’, il ‘fuoco’ di cui è carica anche in latino, come abbiamo visto.
Anche l’espressione omerica (Il. XXIII, 177) relativa al ‘fuoco’ appiccato da Agamennone alla pira di Patroclo, e cioè en dè purós ménos êke sidéreon ‘e poi appiccò il fuoco, violento, indomabile’ ci aiuta a chiarire meglio la questione. Letteralmente l'espressione suona ‘appiccò la forza, furia (ménos) ferrea (sidéreon) del fuoco (purós)'. E’ chiaro che sidéreon va inteso metaforicamente come ‘duro, crudele, indomabile’ ma, anche così, resterebbe sempre in bocca il retrogusto di un paragone infelice, in cui la mobile e vivace forza del fuoco viene definita con un aggettivo relativo ad un metallo solido e duro. A me pertanto non dispiacerebbe vedere in filigrana ancora operante in questo termine la sua forza o vivace mobilità primigenia non ancora concretizzatasi nell’inerte, rigido e pesante metallo.