martedì 1 agosto 2017

Le lingue europee hanno talmente mescolato il fiato in passato che ora, dinanzi a certe espressioni, si resta indecisi nello stabilire, ad esempio, se siamo noi a parlare inglese o gli inglesi a parlare italiano o qualche nostro dialetto. Leggere per credere!


   Specie nei dialetti si incontrano parole e locuzioni che fanno rimanere molto stupiti, perché esse corrispondono a voci e frasi di altre lingue, con significati uguali o quasi. Nel dialetto del paese lucano di Gallicchio-Pz, fruibile in rete, ho rilevato ed analizzato le seguenti espressioni:

1)      Staië nda véntrë da vacchë, che letteralmente significa ‘sta nel ventre della vacca’ ma normalmente vale ‘Si trova in una posizione molto vantaggiosa, sicura’, o ‘Non ha problemi economici’. Ora, in inglese esiste una espressione molto simile, e cioè: to be in the bag che letteralmente significa ‘essere nella borsa’ ma, comunemente, ‘avere il successo assicurato’ o, meglio, ‘averla già in tasca, come cosa fatta’, anche se riferita a cose non a persone.  A parte qualche sfumatura di significato diversa che è naturale che ci sia, a me pare che il significato di fondo delle due versioni, quella inglese e quella gallicchiese, corrisponda a quello di ‘trovarsi in una condizione di sicurezza’ sia essa genericamente economica riguardo a qualcuno sia se riferita a qualcosa che non potrà ormai sfuggirci perché al sicuro nella nostra tasca. L’alternanza b/v (ingl. bag /gallicchiese vacchë) è molto frequente nei nostri dialetti e, in più, essa qui viene sollecitata dalla necessità di  adattare il nome d’origine a quello dell’animale che provvidenzialmente ha permesso all’espressione, senza travisare il significato, di sopravvivere in un contesto diverso da quello originario, che in questo caso era germanico o anglo-sassone.  Pertanto qui sono i gallicchiesi a parlare inglese senza saperlo. C’è infine da notare che l’idea del ventre deve essere scaturita proprio da quella di ingl. bag ‘borsa’ che significa nei dialetti anche ‘ventre, pancia’ e che richiama il ted. Bauch ‘ventre, pancia’, prov. bucs ‘ventre’.[1]

2)      To be in the bag, che inglese significa stranamente anche ‘Essere ubriaco’, (letter. sempre ‘essere nella borsa’). Immagino che gli studiosi inglesi si trovino in molta difficoltà nello spiegare la locuzione.  Tutto si chiarisce però quando si legge, nel vocabolario abruzzese del Bielli[2], che ‘m-bacc-arsë vale ‘ubriacarsi’. La radice deve essere quella greco-latina del dio Bacco, che evidentemente alludeva al ‘vino’ o piuttosto all’ebrezza bacchica da esso indotta. Quindi dubito fortemente che nella radice del verbo abruzzese ci fosse un riferimento consapevole da parte del parlante al dio del vino; anzi, sono convinto che chi usava quel verbo non conoscesse il valore etimologico di esso, a meno che nel suo vocabolario non ci fosse un termine come *bacco e simili per ‘ebbro’ o ‘ebbrezza’.  E allora l’origine di questa radice è da situare in Grecia, in Italia o in Gran Bretagna? Ai posteri l’ardua sentenza, come disse il poeta. Io posso solo osservare che essa, come le altre, è antichissima e cerca di sopravvivere in tutti i modi, quando i tempi sono a lei ostili perché il sistema linguistico, col trascorrere dei millenni, l’ha messa all’angolo, e così si aggrappa con tutte le forze a qualche altra radice più fortunata.  Essa potrebbe ritrovarsi ancora in altre frasi idiomatiche o colloquiali se si andassero a spulciare tutte le lingue d’Europa e i loro dialetti. Ma non sono da ciò le mie povere e malandate penne!

3)      Penz’ i vacchë, che letteralmente significa ‘Pensa alle vacche’ per dire ‘E’ distratto’.  Qui la situazione è, secondo me, un po’ diversa. In ingl. vague vale esattamente anche ‘distratto’. Il termine deriva dal lat. vag-u(m) ‘errante, mobile, incostante’. E allora la locuzione dovette avere in origine una forma dialettale come Penza vaghë, nel senso di ‘Pensa distrattamente’. Ma le “vacche” come sono comparse? Evidentemente l’aggettivo vago sarà caduto dal vocabolario popolare di Gallicchio e l’espressione, per sopravvivere, si è aggrappata anche qui alle “vacche” che, come al solito, non c’entrano affatto con il significato preciso di ‘distratto’, ma proprio perché nel contesto esse sono un corpo estraneo si prestano ugualmente a dare l’idea di un pensiero senza senso che divaga appunto dal contesto.

4)      E’ fattë cum’a vacchë, che significa ‘ E’ diventata come una vacca, molto grassa’. Si noti il puro latino Est facta (E’ diventata), conservatosi nel gallicchiese E’ fattë, in cui anche la /a/ finale si chiude nella vocale evanescente /ë/. Qui sembrerebbe che non ci sia nulla da ridire sulla similitudine, chiara e semplice. Ma si dà il caso che il verbo abr. citato ‘m-bacc-arsë significhi anche ‘ingrassare’, e pertanto anche qui la “vacca” potrebbe non contarcela giusta, nascondendo magari l’idea di qualcosa di grosso e tondeggiante. Si pensi all’aggettivo inglese baggy ‘gonfio, rigonfio’.  Del resto quest’idea si attaglia bene anche ad esprimere l’altro concetto di “ubriacatura o ebbrezza” legato al verbo suddetto. Quasi tutti i significati inglesi di bag si ritrovano nella lingua o nei dialetti italiani come quello dispregiativo di ‘puttana, donnaccia trasandata’, che è pari pari l’it. vacca  appioppato ad una donna[3].  Inoltre l’espressione E’ fattë cum’a vacchë  poteva in tempi remoti suonare semplicemente E’ fattë vacchë (o bacchë) con vacchë in funzione di aggettivo e col significato di ‘grassa, molto grassa’.  Una volta scomparso l’aggettivo dal vocabolario del dialetto di Gallicchio, la locuzione per sopravvivere ha dovuto darsi un altro assetto, introducendo il paragone con la vacca.

5)      Vacannare  che significa ‘vacca che sta un anno senza ingravidarsi’ o, figurativamente, ‘persona sfaccendata, girandolona’.  Può sembrare strano ma, secondo me, il significato originario di questa voce era proprio quello considerato figurato, derivato dall it. vacante incrociato con it. vagante, e risalenti alle rispettive voci latine. A dire il vero, però, il termine *vacant-arë poteva già aver contemporaneamente assunto anche il valore di ‘non gravida’ dal lat. vacu-a(m) ‘vuota’ ma anche ‘non pregna’ riferito a cavalla. La cosa curiosa è che nel frattempo, quando la pronuncia locale del nesso –nt-, qui equiparato ad –nd-, ha dato come esito –nn- nella voce vac-ann-arë, offrendo così la possibilità di ricavarne la nozione di anno, come durata del periodo di non gravidanza, lo spirito della lingua, sempre vigile e attivo, ne ha subito approfittato.  I vocaboli, appena possono, tendono a specializzare il significato che racchiudono e che era partito da una nozione molto generica.  Per questo ribadisco, per l’ennesima volta e forte dell’appoggio di Ferdinand de Saussure, che è vano credere che essi siano nati apposta per indicare  gli oggetti e i concetti che ora designano, trascorse le molte migliaia di anni dalla loro nascita e gli svariati incroci con altri termini.  La funzione della Lingua è quella di dare nomi agli oggetti e di comunicarli agli altri. Siccome il valore dei termini era all’inizio molto generico, la comunicazione poteva avvenire con qualche difficoltà ed aveva un certo vago tono poetico.  Quello della specializzazione è un principio essenziale della Lingua connaturato con essa, ed è attivo anche oggi, per quanto a volte possa verificarsi anche il contrario.

   Chiudo quest’articolo con l’accenno alla parola it. vacchetta, pelle conciata usata per la costruzione di borse, di scarpe, ecc. Tutti i linguisti ne indicano la “evidente” derivazione dall’animale vacca, ma noi ormai sappiamo che in questi casi bisogna drizzare le orecchie e aguzzare la vista, per evitare di fare la fine dei polli. E la gente a volte ci gode sfiziosamente a metterci alla berlina, quando commettiamo errori, e d’altronde ha tutto il diritto di una rivalsa sul nostro tono professorale un po’ fastidioso. Io non so poi perché i linguisti si ostinino a sostenere che l’it. baccello ‘frutto di leguminose con due valve deiscenti’ sia da riportare ai lat. bacc-ell-u(m), bac-ill-u(m) ‘bastoncino’.  Il termine baccello, a mio avviso, indica la sua natura fondamentale di “guscio” ed “involucro”, riscontrabile nella variante lat. vag-in-a(m) ‘guaina, involucro’, nel gallo-romanzo bac-in-u(m) ‘vaso’, nel trentino vaca ‘curva, conca’, nel fr. bague ‘anello’, fr. bagu-ette ‘catinella’ (ma anche,  significativamente, ‘bacchetta’), nell’ingl. bag ‘scroto’, la pelle che avvolge i testicoli.  Pertanto non posso negare all’it. vacchetta, toscano bacchetta ‘vacchetta’, il suo naturale status di “generico involucro”, prima che il termine vacca lo costringesse subdolissimamente a stringere un’alleanza tra loro, in cui il primo piano diveniva via via appannaggio dell’animale mentre l’altro accettava di vivacchiare nell’ombra fino a quando, caduto nel frattempo definitivamente dall’uso, se ne persero completamente le tracce a tutto vantaggio dell’animale. 

    Oltre alla precedente vacchetta, non posso fare a meno di accennare anche all’it. invacchire ‘diventare grassi e gonfi‘ detto dei bachi da seta colpiti dalla malattia del giallume, significato che va riportato anch’esso alla radice di abr. ‘m-bacc-arsë ‘ingrassare’ sopra ricordata, e non all’animale vacca.  Il verbo ha anche il significato di ‘essere floscio e lento’ che, secondo il solito modo di procedere dei linguisti, sarebbe una derivazione figurata della condizione di malattia dei bachi, che però, guarda caso, in quello stato non sono “flosci” ma “lucidi e tesi”.  Anche qui, purtroppo, la nostra corta vista che scorge le cose vicine ma non quelle lontane, ci fa vedere lucciole per lanterne. Esiste il verbo abr. bac-ul-arsë[4] ‘indebolirsi’ che pare abbia una radice opposta, per significato, a quella di abr. ‘m-bacc-arsë ‘ingrassare’ sopra citato. L’it. in-vacch-ire significa anche ‘diminuire le facoltà fisiche e intellettive, non essere più molto lucido’.  Ora, mi sembra che non vi sia radice più acconcia, per spiegare questa “debolezza”, dell’ingl. weak ’debole’, a.ingl. wāc ‘pieghevole, soffice, debole’. Ugualmente la locuzione familiare Andare in vacca (che indica il deteriorarsi, l’andare a male, l’indebolirsi di qualcosa o qualcuno) contiene in sé la stessa radice che, come abbiamo osservato, non deriva direttamente dalla malattia dei bachi[5].  Noi italiani non solo parliamo l’inglese senza saperlo, ma ne siamo in qualche modo degli esperti! Credo che l’abr. bac-ul-arsë tagli le gambe, purtroppo,  a qualsiasi tentativo di contrastare legittimamente il mio punto di vista. La verità è che è sempre pericolosissimo segnare netti confini fra le lingue, quando si tratta di determinare l’origine delle radici e anche delle locuzioni, in specie idiomatiche. Così, il lat. im-bec-ill-e(m) ‘debole (fisicamente e mentalmente)’ deve a mio avviso abbandonare definitivamente il bastone (lat. bac-ul-u(m)’ da cui fin dall’antichità si fa derivare, come fosse un sine baculo ‘senza bastone’, col prefisso negativo in- che forse è qui intensivo.  Solo G. Devoto, nel suo Avviamento all’etimologia italiana, escludeva questa interpretazione.

   Lunga vita ai poeti che hanno cercato un senso più nuovo per le parole della tribù e che ben conoscono, d’istinto, la natura della lingua votata alla metamorfosi versicolore!





[1] Dopo aver già scritto quanto precede, ho notato nel vocabolario Treccani in rete s. v. vacca che l’espressione di Gallicchio è in realtà presente nel linguaggio familiare o popolare anche altrove, nella forma stare, o essere, o trovarsi in un ventre di vacca ‘essere tranquillo, senza preoccupazioni, in condizione di largo benessere’. Nulla cambia, però bisogna constatare che non sono solo i gallicchiesi a parlare senza saperlo l’inglese, ma gran parte degli italiani!

[2] Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A. Polla editore, Cerchio-Aq, 2004.

[3] Credo torni utile la seguente osservazione: se il ted. Hure (ingl. whore) ‘puttana’ è messo in relazione anche con lat. car-u(m) ‘caro, amato’; se l’it. letterario drudo (anche femm. druda) vale ‘amante, amato’ in senso spesso dispregiativo (partito dal concetto positivo di “fedele”) come in gaelico drũth ‘meretrice, amica’, allora non è azzardato avvicinare l’ingl. bag ‘puttana’ al concetto inizialmente positivo di ‘amorosa, amante, ecc.’. Li unisce sempre la forza dell’amore, sia esso regolare che irregolare, molto simile del resto alla ‘ebrezza, euforia’, anche se causata dal vino, dell’espressione ingl. to be in the bag sopra analizzata. La voce bag ‘puttana’ può essere considerata accorciativo di it. ‘bagascia’ di origine provenzale, pare, e anch’essa combattuta tra valori positivi e negativi. Ma ciò sarebbe un errore, perché resterebbe poi da spiegare la forma it. vacca ‘puttana’. Semmai sono proprio queste forme più brevi alla base di bagascia. Da notare ancora che esiste un italiano obsoleto vago ‘col significato proprio di ‘innamorato, amante’ e un it. in-vagh-irsi. C'è del resto anche il siciliano bbac-ana 'prostituta', toscano baàna ' donna di non buona fama': cfr. Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani, UTET, 1998. 

[4] Cfr. D. Bielli, cit.

[5] Cfr. C. Lapucci, Modi di dire della lingua italiana, Valmartina Editore, Firenze, 1969, p. 351. Con l’immancabile riferimento alla malattia dei bachi, si dà anche il significato di ‘diventare pigro, svogliato’, un altro aspetto della “debolezza”, in questo caso di natura morale.  Il Lapucci riporta anche la locuzione Stare in un ventre di vacca che abbiamo analizzato sopra ma con un significato un po’ diverso, cioè ‘essere sazio, con ogni comodo e agio’: il senso di benessere e tranquillità si è ristretto a quello di un’abbondante mangiata, favorito anche questo dal significato di qualche termine come ingl. baggy ‘gonfio, rigonfio’.