sabato 26 febbraio 2022

Sciarappa.

 


 

   Nel dialetto avezzanese[1]  il significato della voce sciarappa è ‘invito, intimazione, ordine perentorio che s’impartisce a persona non gradita, perché si allontani’ oppure ‘vino di poco pregio’.

    Ricordo che anche ad Aielli, quando ero ragazzo, c’era una persona anziana che se veniva importunata  era solita rispondere sciarapp  nau!, che non si sapeva bene cosa volesse significare con precisione.  Io allora non conoscevo l’inglese: mio fratello, che lo conosceva, mi spiegò che l’espressione corrispondeva all’ingl. shut up  now!  ‘stai  zitto, chiudi il becco ora!’.  La consonante –t- in inglese è palatale e quindi tutta la suddetta espressione suonava grosso modo sciadapp o sciarapp nau.

   E’ evidente che anche il primo significato dello sciarappa avezzanese si può ricondurre all’espressione inglese shut up! ‘chiudi il becco!’.  Si tratta certamente di un’espressione riportata dalle molte persone emigrate negli Stati Uniti, e diffusasi tra noi.

    Per il significato di ‘vino di poco pregio’ bisogna rifarsi al napoletano e meridionale sciarappa ‘bevanda dolce’, dall’arabo sciarab ‘bevanda, vino, caffè’ ed anche ‘sciroppo’. 

    Sempre ad Avezzano la sciarappa indica anche la pianta che in italiano è chiamata scialappa o gialabba, pianta purgativa originaria dal Messico, il cui nome richiama la città messicana di Jalapa.   Gli incroci sono sempre dietro l’angolo!



[1] Cfr. Buzzelli-Pitoni, Vocabolario del dialetto avezzanese, senza casa editrice, Avezzano 2002.

mercoledì 23 febbraio 2022

Passeggiare e spasseggiare.

 


 

   I vocabolari sostengono che la forma s-passeggiare deriva da passeggiare con una s- iniziale (intensiva?).  Ricordo la bella canzone napoletana di Carosone, intitolata Guaglione, che conteneva il verso tu passe e spasse sotte a stu balcone, col significato di ‘tu passi e ripassi sotto a questo balcone’.  Anche qui sembra che spasse venga da passe con la prostesi di una s-. Ma io ho qualche dubbio.

   Penso, infatti, che le forme it spasseggiare e il napoletano  spassà (nel senso di ‘ripassare’) avessero all’origine poco o nulla a che fare col passo di it. passeggiare e passare.  A mio avviso queste forme presuppongono il lat. spati-ari (anche spati-are)  ‘passeggiare, andare a spasso, camminare’ incrociatosi, naturalmente con il lat. pass-u(m) ‘passo’.  Anche il tedesco usa spazier-en ‘passeggiare’, preso dal lat. spati-ari.

    Il bello è che questa mia supposizione va ad intaccare, ad esempio, la convinzione dei linguisti che derivano l’it. spassare nel senso di ‘divertire, divagare’ da una forma lat. *ex-pans-are> *ex-pass-are> spassare, dal partic. passato ex-pans-um, ex-pass-um ‘esteso, allargato’ del verbo ex-pand-ĕre’espandere, allargare’ a cui fanno seguire un anim-u(m) del tutto presunto, secondo me: ‘espandere l’animo’  sarebbe l’origine di it. spassare, forma che ha mantenuto il verbo ma non l‘animo,  secondo me necessario in questo caso.

    Ora (passando ad altro), Il verbo divagare ha in italiano un significato fondamentale di ‘allontanarsi, andare qua e là’ presente nel latino divagari, il quale però non ha quello di ‘svagar(si), divertir(si)’, chiaramente sviluppatosi dal precedente come effetto di un allontanar(si), un distaccar(si) da qualche assillo o noia, o dalla solita routine. Allora diventa del tutto naturale porre anche all’origine di it. spassare, spasso  il verbo lat. spati-ari, che col suo significato di ‘andare a spasso, passeggiare’ si avvicina moltissimo a quello di lat. divagari.  Come tocco finale aggiungo il lat. spatia-tor-e(m) ‘bighellone’ cioè girandolone, nullafacente, condizione propria di chi sta a spasso, locuzione niente affatto apparentata, pertanto, con quella di ‘divertimento’.

 

martedì 22 febbraio 2022

Abruzzese scrizzë

 


 

    Ad Aielli la voce scrizzë vale solo ‘schizzo’ mentre in altri paesi d’Abruzzo ha anche il significato di ‘scintilla’.  Scommetto che i linguisti sostengono all’unisono che la /r/ della forma dialettale sia solo uno scherzo del dialetto, che, chissà perché, si è lasciato scappar via una consonante di troppo. La forma originaria sarebbe, secondo loro, l’it. schizzo, considerato  oltretto, onomatopeico, ahimè!

    Ora, dell’origine falsamente onomatopeica di schizzo ho parlato abbastanza in un lungo articolo, concernente alche altre voci, intitolato Lingue germaniche nella preistoria e presente nel mio blog (4 luglio 2011).  Tengo comunque a ricordare che io non credo nelle onomatopee nella lingua.

   Penso che, se si pon mente all’espressione italiana scherzi dell’acqua, che indica i ‘zampilli’di fontane, poste in genere nei giardini di case nobiliari nel passato, ci si mette sulla buona strada  per dare una spiegazione credibile del dialettale scrizzë: non si tratta d’altro che della radice di it. scherzo, la quale rimanda ad una forma germanica come quella del medio alto tedesco scherz-en ‘saltellare allegramente, tripudiare’  da cui il ted. scherz ‘scherzo’.  Non è molto lontano da questa radice l’ingl. squirt ‘zampillo’. 

     Si può quindi pacificamente concludere che il dialettale scrizzë ‘schizzo, scintilla’ non è dovuto ad una sorta di errore di pronuncia di un precedente schizzo ma alla stessa radice di scherzo. 

   

 

  

lunedì 21 febbraio 2022

L’ambiguità dello specillo.

 


 

   La parola è dal lat. spec-ill-u(m) ‘specillo, sonda’  una sorta di diminutivo che, secondo i linguisti, rimanda alla radice di lat. spec-ĕre ‘guardare’, variante di spic-ĕre ‘guardare’.  Come al solito essi, nel darne l’etimologia, non si lasciano prendere da dubbi o tentennamenti: la  parola indicherebbe  un’asticciola di metallo, usata in genere per esplorare le ferite o cavità da parte dei chirurghi: ecco, sarebbe la funzione di indagine ed osservazione che viene messa in rilievo dall’etimo suddetto; ma così facendo non si accorgono del fatto che la parola dovrebbe trarre il nome dalla funzione che svolge e non dalla sua natura di punta, asticciola utile a molti usi. 

   A me pare, invece, che il suo etimo di fondo è proprio questo, e che il suo nome generico esistesse già precedentemente all’uso chirurgico: ad un certo punto non si fece altro che prendere un nome già bello e pronto il quale si prestava alla perfezione alla nuova funzione di esplorazione delle ferite, anche perché  esso sembrava dirlo apertamente.

    In latino, però, esistono altre parole che a mio parere condividono l’etimo con il nostro specillo, come il lat. spic-a(m), con le varianti spec-a(m) e spic-u(m), col valore di ‘punta, estremità’ e quindi ‘spiga’ nonché ‘testa, capo’: e già! perché bisogna fare un’altra importante osservazione: inizialmente questa radice  indicava una estremità qualsiasi, fosse essa a punta o magari rotondeggiante. 

    E’ interessante notare anche i significati della forma diminutiva latina spic-ul-u(m) ‘pungiglione, punta di arma da getto, l’arma stessa (freccia, dardo, lancia), bocciolo (di rosa), raggio di sole’.

    Ora, il bocciolo di rosa non è propriamente una punta, ma semmai una testa. Col significato di ‘raggio di sole’ ritorna l’ingannevole rapporto raggio /bacchetta di cui abbiamo parlato qualche giorno fa e che va risolto non col solito ragionamento secondo cui l’idea di raggio di luce  dipende figurativamente da quella precedente di “bacchetta, lancia, palo”, ma prendendo atto finalmente che la radice all’origine poteva dare i due significati indipendentemente, senza che l’uno fosse generato dall’altro.

    Il lat. spec-ul-a (m) ‘vedetta, osservatorio, cima, sommità’  è ugualmente diviso tra i due significati di fondo, e cioè  sguardo da una parte  e estremità, cima, monte dall’altra: una cima, insomma, non trae il suo nome dal fatto che da essa si può ben osservare lo spazio circostante, ma solo dal suo essere una punta o estremità. 

     Il lat. spec-ul-u(m) ‘specchio’ deriva, a mio avviso, il nome dalla sua natura di strumento atto a guardare o vedere (oltre a questa funzione non ne ha un’altra!) in un certo senso come un televisore.  Si può essere ancora più precisi e radicali  dicendo che lo specchio  è etimologicamente solo uno sguardo, una visione. Nel gergo colloquiale, infatti, anche la tele-visione  indica l’apparecchio altrimenti detto tele-visore.

        Interessante è notare che in toponomastica esistono dei Monte-specchio (prov. di Siena e Modena e altrove) la cui seconda componente –specchio ripete il significato della prima. L’idea di “cima” e quella di “monte” sono equivalenti come quella di “punta” e di “lancia, dardo”.

       Per il significato di ‘parlare, esprimere’ di questa radice, presente anche nell’ingl. speak, rimando al lungo articolo, presente nel mio blog (30 giugno 2019), e intitolato Incredibile! L’it. sprecare è fratello di ted. sprechen ‘parlare’ […]. 

   Anche il significato di it. spaccare, fatto risalire al presunto longobardo *spahh-an, deve essere connesso ad un significato originario di ‘scoppiettare, crepare, fendersi’ che sta dietro a quello di ‘parlare’.  

    L’ingl. spook ‘fantasma’ riporta al significato di ‘visione’ dello specchio di cui sopra, come il ted. Spuck ‘fantasma, spettro’, parola che ha anche il significato di ‘strepito’, avvicinabile a quello di ‘crepitare’ di cui sopra. Amen.

   

   

 

 

 

domenica 20 febbraio 2022

Italiano sperare.

 


 

    Certamente pochi  sapranno che in italiano il verbo sperare, oltre al suo significato più ovvio a tutti noto, ne ha anche un altro molto singolare: ‘osservare un uovo in controluce per controllarne la freschezza o lo stato di fecondazione’.  Nei vocabolari solitamente i due significati sono attribuiti a due lemmi separati, tanta è la distanza tra loro, ma in fondo ambedue scaturiscono dalla stessa radice, come spero di poter mostrare.

    Per la verità nemmeno io ne conoscevo il secondo significato fino a pochi giorni fa, quando sono andato a sfogliare il vocabolario di De Mauro, dietro la spinta del fatto che avevo incontrato i due significati nel libro La parlata di Luco dei Marsi di Giovanni Proia, sotto la voce sperà.  In italiano esiste anche il sostantivo corrispondente speratura.

    Il verbo è antichissimo, attestato in un periodo indefinito prima del 1320.  Numerosi sono i riscontri nei dialetti settentrionali[1]. Per la sua origine  i linguisti indicano compatti il termine spera (da noi già incontrato e discusso in un articolo precedente, col suo significato, tra i diversi, di ‘raggio luminoso’), dato che l’operazione della speratura si esegue anche con un apparecchio che emette un fascio luminoso sull’uovo.  Beati loro che si accontentano di questo, anche se il solo concetto di “raggio, luce” non può spiegare il nocciolo dell’operazione che è, nel suo complesso, un osservare (l’uovo)!  La luce certamente interviene ma come fatto piuttosto secondario, anche se necessario. 

     Come spesso accade, la spiegazione è lì a portata di mano, ma nessuno se ne accorge!  Il lat. sper-are aveva inizialmente il significato generico di ‘attendere’ sia cose positive che negative, e l’attenzione non è altro che tendere lo sguardo verso alcunchè, cioè un osservare, scrutare alcunchè, compreso l’uovo ci cui si parla.  Lo spagn. e-sper-ar ha mantenuto i due significati di ‘aspettare, attendere’ e di ‘sperare’.

     In conclusione si può sostenere che lo sperare e il fare attenzione (e quindi osservare) possono essere espressi dalla stessa radice sper-, che del resto ha altri significati come raggio (di luce) o irraggiamento, significati che non esprimono altro che la natura della luce e dei suoi  raggi  che si espandono verso oggetti vicini e lontani.



[1] Cfr. Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani, UTETTorino, 1998.

sabato 19 febbraio 2022

A proposito dell'ingannevole rapporto raggio-bacchetta in linguistica.

 


   Nell’articolo precedente ho dimenticato di accennare alla  possible connessione  della radice spir- di spir-ito anche ad un significato di ‘fonte, sorgente’ come credo sia mostrato ,ad esempio, da Fonte Spirito di Arsoli-Rm.  Del resto è lampante la somiglianza con termini inglesi quali spirt, spurt ‘zampillo, getto’ collegabili con la radice di inglese arcaico  sprout ’spruzzare’ nonché con ingl. sprout ‘germoglio, getto’.

    Abbiamo visto, sempre nell’articolo precedente, lo stretto rapporto tra la radice di ingl. spear ‘lancia’ e ingl. spear ‘raggio di sole’, fenomeno che secondo i linguisti avviene perché un raggio (di luce) assomiglia a una bacchetta, stelo, palo.  Chissà perché non sarebbe accettabile l’inverso, cioè che una bacchetta assomigli ad un raggio di luce.  Insomma in questo rapporto di somiglianza, che del resto non si può negare, la bacchetta verrebbe prima della luce e dei suoi raggi. La bacchetta è qualcosa, forse  si pensa, di più concreto, palpabile rispetto al raggio di luce, suo significato figurato.  Sì, ma anche il raggio di luce è qualcosa di concreto, tanto è vero che scotta talora, oltre ad illuminare.  

   A parte la considerazione che in realtà la distinzione tra nome astratto e concreto è piuttosto scolastica, dato che in verità ogni parola della Lingua rappresenta il concetto che di una cosa, di un fenomeno, di una condizione abbiamo nella nostra testa e quindi dovrebbe considerarsi astratto: in altri termini la parola non indica la cosa in sé, ma il riflesso che ne abbiamo nella mente.

    Io sono del parere che non si può affatto sostenere  che  un concetto come “bacchetta, stelo, tronco” venga prima di quello considerato, nella pratica di ogni lingua, come generato da esso per via figurata.  Per me, come ho detto qualche altra volta, la parola latina radiu-u(m), ad esempio, significava già all’origine ‘la forza’ che fa crescere uno stelo, un ramo, una pianta, di pari grado rispetto alla ‘forza’  che fa brillare una luce un fuoco, una stella. L’uomo primitivo non vedeva un albero nelle sue varie caratteristiche concrete ma ne individuava questa ‘forza’, di per sé astratta rispetto a quelle, e quindi non aveva bisogno di trasferire quest’astrattezza alla luce di per sè già molto più astratta dell’albero. Direi che egli, nel nominare i concetti e le cose ‘astratte’ si trovava perfettamente a suo agio.  Se in una lingua il termine per palo e raggio di sole coincide, la spiegazione non può stare nella dipendenza  dell’uno dall’altro, ma, semmai, nella coincidenza dei loro significati d’origine.  Siccome, poi, la somiglianza tra la bacchetta e il raggio di sole è abbastanza evidente anche esteriormente  (non solo concettualmente) si dà il caso che molte lingue (forse tutte?) conservano termini unici per ambo le cose: per intenderci, è molto più difficile che una radice che in una lingua esprime il concetto di raggio di sole contemporaneamente esprima, non so, quello di gallina. 

    Un’altra parola interessante in questo senso è il ted. Strahl ‘raggio, lampo, folgore’ ma anche ‘getto d’acqua, zampillo’.  Conosciamo l’it. strale, probabilmente dal longobardo, che corrisponde all’ant. slavo  strela ‘freccia’, serbo  strijela ‘freccia’. Anche se in tedesco, che io sappia,  non esiste un significato di ‘bacchetta, palo, asta’ della parola Strahl sta di fatto che una freccia ha la forma di una bacchetta appuntita.

    Interessante, a mio avviso, è lo spagn. e-strella ‘stella’ che i linguisti derivano dal lat. stell-a(m) ‘stella’ ma io non vedo come, data la difficoltà della lettera /r/  in più nella parola spagnola. La /e/ iniziale è prostetica: in spagnolo non esistono termini inizianti in /s/ impura. A me pare chiaro che il termine derivi da una forma *strel-   della stessa radice di ted. Strahl nel significato di ‘raggio di luce’.  E’ altrettanto chiaro che l’incrocio con il lat. stell-a(m) ha causato la specializzazione del significato generico di ‘raggio luminoso’ in quello di ‘stella’

    In spagn. il verbo e-strell-ar significa ‘scagliare, lanciare’: ritorna l’idea della “lancia”, cioè di “asta”  che è assente nel tedesco, come visto.  Ma non è tutto. E-strell-ar significa anche ‘friggere’, e così richiama l’idea di “fiamma” che se  ne sta appena appena nascosta sotto il significato di ted. Strahl ‘raggio luminoso’.  

   Chiudendo, osservo che il ted. Strahl è fatto derivare, giustamente, d una radice stra- che è quella di ted. streu-en ‘spargere, spandere’, la quale riporta ad un significato generico non ancora molto specializzato nei vari sensi di raggio, asta, zampillo. Basta cercare in internet per incontrate il nome di una fonte che suona Strahl-brunnen ‘fonte Strahl’ in cui Strahl- doveva avere tautologicamente lo stesso significato di Brunnen ‘fonte, sorgente’ come nel termine ted. Spring-quelle ‘fontana’ in cui Quelle vale ’fonte, sorgente’  e Spring-  ugualmente ‘fonte, sorgente’ anche se in tedesco  c’è solo il verbo spring-en ‘saltare, esplodere’, mentre in inglese spring vale sia ‘salto’ che ‘sorgente, fonte’.   Il termine, però, tende inevitabilmente  a specializzarsi in ‘ fonte a getto’. Ma c’è anche il verbo  ted. ent-bring-en (composto dal prefisso insep. ent-)  che vale solo ‘sorgere, scaturire’ .   Amen.

 

   




venerdì 18 febbraio 2022

Sperma, gr. speír-ein, spargere, spera, sfera, sferrare, ingl. spark ecc.

 

     Il gr. spér-ma indica il seme, cioè letteralmente ‘ciò che viene sparso’, dalla radice del  verbo speír-ein ‘spargere, seminare, produrre’. Il sostantivo spér-ma ha anche talvolta il valore di ‘scintilla, fiamma’, ma non perché la scintilla può essere spiegata figuratamente come ‘seme della fiamma’,  bensì perché, a mio modesto parere, i concetti di “fiamma, scintilla, fuoco” rientrano in quello genericissimo  di ‘spinta, movimento, anima’.

     La radice connessa con lat. sparg-ĕre ‘spargere, diffondere’ ma anche ‘gettare, scagliare, lanciare’ nonché ‘versare, effondere, bagnare’ e ‘ coprire, rivestire, estendere su’, si ritrova puntualmente nell’ingl. spark ‘scintilla’ mentre  Il gr. moderno spirto ‘fiammifero’ si riaccosta alla radice sper-.  Il lat. spirit-u(m) ’spirito, soffio, anima, persona’ dal lat. spir-are ‘soffiare, spirare, vivere’ è un suo sosia, come il secondo elemento del dialettale prό-spërë, prό-sparë ‘fiammifero’.

    Il primo elemento pro- indica la ‘spinta in avanti’ ma tende a confondersi con la stessa radice di gr. pr ’fuoco’.

   Il dialettale abruzzese spèra, sfera[1] ‘lampada, lucerna, raggi del sole’ come lo spieghiamo? Non è esso con tutta chiarezza sempre stessa radice sopra citata?  O vogliamo confonderlo con l’it. spera ‘sfera, disco solare’ il  quale rimanda al gr. sphaȋra ‘palla, sfera, disco, bulbo oculare’?  Ci sono anche le radici di lat. spir-a(m) ‘spira, avvolgimento’ e del dialettale abruzzese spara ‘cercine’ da gr. speȋra ‘avvolgimento, spira’

    Senza andare per le lunghe io suppongo che ci sia stato all’origine  un rapporto tra il valore di ‘spinta, estensione, copertura, rivestimento’ e quello di ‘spira, globo, avvolgimento’.  Il rivestimento può generare l’idea di “avvolgimento” in quanto esso può coprire un oggetto torno torno.   O forse, meglio, l’idea di “rotondità” può generarsi da quella di “protuberanza”, la quale è inclusa in quella di “estensione, dilatazione” presente nella detta radice sper-, come abbiamo visto sopra. 

   In ingl. abbiamo la parola spear che significa ‘lancia’ ma anche ‘raggio di luce’ e non perché, come si potrebbe pensare, quest’ultimo assomiglia ad una lancia ma perché i due termini attingono autonomamente all’idea basilare di “spinta” concretizzatasi da una parte in quella di “lancia”, dall’altra in quella di “luce”.  Incredibile, ma la stessa cosa è avvenuta per il dialettale abruzzese marsicano sferra  lancetta dell’orologio’ o ‘lama (di coltello a serramanico) ma anche  ‘raggio, raggi (del sole), lucerna’.

    A Trasacco-Aq nella Marsica la locuzione sfèrra dë sòlë  significa ‘poco sole, un po’ di sole’. Secondo me in trasparenza, oltre alla solita radice per ‘luce, raggio’ si può notare la radice di ted. Spier ‘punta d’erba’, la quale è connessa con quella di ingl. spear ’lancia, stelo, raggio si sole’  testè nominata  e con quella di ingl. spire ’guglia, cuspide, punta, cima, germoglio’.  Ora il ted. Spier-chen, diminutivo del detto Spier ‘punta d’erba’, è usato nella locuzione ein Spier-chen che significa ‘un pochettino, un briciolino’: ecco perché la sua presenza è nascosta, secondo me, nel trasaccano sfèrra dë sòlë ‘un po’ di sole’.

    Ma il bello viene con l’it. sferr-are nel senso di ‘dare con forza (pugni, schiaffi, calci)’ o di ‘lanciare con impeto (un attacco, un’offensiva)’ che i linguisti, immancabilmente, pensano derivi da ferro col prefisso s-. Ma questo etimo va bene nel significato di ‘togliere i ferri (alle bestie)’ non negli altri significati, che invece sono derivati proprio da quello di ‘lancia’ da cui si ha l’it. lanciare. Mi conforta in questa convinzione proprio il dialettale sferra ‘lancetta’.

    Ma le novità non finiscono qui.  Il toscano sborrare ‘uscire con impeto, fuoruscire, traboccare’  viene inteso come composto da s- + borro ‘canale, fosso delle acque di scolo’, ma è chiaro che la radice è sempre la solita, radice che indica un ‘lanciar(si) impetuoso’ come quella di sferrare: lo stesso toscano sborrare significa volgarmente ‘eiaculare’ come il nostro dialettale marsicano  sburr-à connesso col sostantivo sbùrrë ‘sperma’.   L’it. spar-are detto di arma da fuoco fa il paio col verbo abruzz. sparì, spiegato da D. Bielli, nel suo Vocabolario abruzzese, con la frase M’à sparitë na fèbbrë  ‘M’è scoppiata una febbre’.  Quindi il suo etimo non si può affatto intendere come derivato da se-parare  ma come espressione della solita radice che indica un’azione impetuosa. 

    Chi fosse interessato ad avere più informazioni su questa radice e su questi casi  citati vada a leggersi la lunga nota 12 dell’articolo Andando a Zonzo per radici […], presente nel mio blog (pietromaccallini.blogspot.com) del 1 maggio 2013.   Già allora avevo affrontato questi problemi. 

 



[1] Cfr. M. Marzolini, “… me ‘nténni?” Arti grafiche Tofani-Alatri, 1995 .  Libro sul dialetto di Rocca di Botte-Aq.

martedì 15 febbraio 2022

Farci caso, far caso.

 

 

   Credo che pochi fanno attenzione alla particolarità di questa locuzione, che finora è sfuggita anche a me, pur essendo di uso quotidiano molto diffuso.  Il significato è inutile spiegarlo perché tutti lo conoscono a menadito: fare attenzione a qualcosa.  Ma la parola caso cosa ci sta a fare? il suo significato, anch’esso abbastanza noto anche se un po’ sfuggente, non va normalmente oltre l’idea di “fatto fortuito, evento, accadimento, circostanza” e così via.  Allora come mai essa vi assume quello di ‘attenzione’ o simili?  L’etimo del sostantivo del resto è ben noto: dal lat. cas-u(m) ‘caso, evento,ecc.’  a sua volta dal supino cas-u(m) del verbo latino cad-ĕre ‘cadere, accadere, ecc.’. 

    Così stando le cose a me sembra che il nostro caso sia collegabile con la radice primitiva di lat. cur-a(m) ’cura, pensiero, sollecitudine, riguardo, attenzione’ che era kois-, senza rotacizzazione (esiste l’esempio della forma peligna cois-atens = lat. curaverunt ‘curarono’).  Di conseguenza il caso della detta espressione aveva proprio il valore di ‘attenzione’ e simili: naturalmente la forma ad essa precedente, anche se probabilmente un po’ diversa, finì con l’incrociarsi e confondersi con esso. 

    Si dà il caso che in lat. cas-u(m) ’caso’ ha talora il valore di lat. caus-a(m) ‘causa, motivo, processo, ecc.’ il quale, a sua volta, presenta quello di ‘caso’.  Pertanto taluni, a cui mi associo, pensano che dietro questi significati specifici ce ne sia uno più generico di ‘motivazione, spinta (verso qualcosa)’ o ‘spinta verso il basso (lat. cadĕre)’ .

    C’è da fare un’altra osservazione importante, secondo me.  Non tutti sapranno che l’it. cosa e fr. chose ‘cosa’ derivano dal lat. caus-a(m) che aveva assunto anche il significato di ‘affare’ scaturito da quello, credo, di ‘argomento’ trattato nei processi.  Il concetto di “cosa” è molto più generico e include qualsiasi oggetto esistente e a volte nella forma colloquiale coso, anche un essere umano. 

     Ora, portandoci con la mente nella fase lontanissima della preistoria detta dell’animismo, quando tutte le entità esistenti erano dall’uomo considerate animate  (non solo ad esempio l’acqua e il vento ma anche le rocce e i monti),  si può a ragione argomentare che i termini indicanti le cose nelle varie lingue, arrivati fino a noi, dovessero contenere proprio il significato antichissimo di ‘forza, essere vivente, vita’.  Quindi, se è probabile che la parola cosa in italiano deriva dal lat. caus-a(m) attraverso il significato di ‘affare’ è anche molto probabile  che quel significato esistesse già prima del latino classico ad indicare  l’esistenza , la vita di ogni componente  il mondo inorganico e organico.

    Si noti, infatti, che in inglese il termine thing ‘cosa’ significa anche, stupendamente, being ‘essere  vivente’ e creature ‘creatura’. Siamo all’opposto del significato di ‘cosa inerte, senza vita’  che siamo soliti sottindere sotto la parola cosa

    Ci sarebbero altre cose da osservare ma mi fermo qui, per non essere troppo lungo e noioso.

     Mi accorgo solo ora che nel Vocabolario abruzzese di Domenico Bielli è registrato lo strano verbo tinchïà ‘divulgare’ che a mio parere è un derivato di ingl. thing nel significato di ‘assemblea, parlamento’, vocabolo presente in tutto il mondo germanico che indicava l’assemblea di tutti gli uomini liberi di uno stato o di una regione.   Credo che questo divulgare espresso dall’abruzzese  tinchïà  equivalga a un pubblicare, far conoscere al pubblico, concetto quest’ultimo che richiama etimologicamente il popolo e le sue assemblee.  L’assemblea è un riunirsi di un certo numero di persone, e il popolo non è altro che una massa di persone  che stanno normalmente insieme.    Il tenc-one  in effetti in italiano indica un tumore dell’anguinaia, cioè una sorta di rigonfiamento o ammasso. 

   L’ingl. thing, nel significato di ‘assemblea’, è fatto derivare da una radice col significato di stretch of time ‘periodo di tempo’, riferito al tempo, appunto, in cui si svolgeva l’assemblea: che  astrusità! Si tratta invece di una semplice riunione, massa di persone insieme.


 

 

   

lunedì 14 febbraio 2022

Guardaroba.

 


   Nessuno, a mente sana, potrebbe mai pensare che il termine guarda-roba indicasse, in un certo periodo della sua storia, almeno nella lingua inglese (garderobe) e in quella francese (gardrobe), quello che successivamente si chiamò in inglese watercloset ‘gabinetto (per i bisogni naturali)’;  e, per la verità, significò anche stanza da letto oltre, naturalmente, a stanzino, armadio, ripostiglio per i capi di abbigliamento, come in tutte le diverse lingue europee, credo,  in cui questa parola appare.  L’inglese, che mutuò il termine dall’antico francese, presenta anche la forma wardrobe. 

     Comunemente i linguisti sostengono che l’etimo del termine è dato dalla radice del verbo francese gard-er ‘ serbare, mantenere, custodire) e da quella del fr. robe ‘ veste, toga’, sicchè il guardaroba, sin dalle origini, non sarebbe altro, letteralmente, che ‘(qualcosa) che conserva, custodisce i vestiti’. La radice di gard-er  a sua volta risaliva al franco wart-ōn ‘fare attenzione’ ed è la stessa del ted. wart-en ‘attendere, aspettare’.

   A questo punto, però, si può, anzi si deve, tirare in ballo l’altra radice germanica presente nell’ingl. gard-en ‘orto, giardino’ e nel lat. hort-u(m) ‘orto’ col valore di ‘recinto’.  Ora, questa idea di “cingere” può servire ad indicare alla perfezione sia una stanza o una casa (cfr. gotico gards ‘casa’) le quali sono come vestiti che avvolgono, riparano e  custodiscono le persone, sia appunto un recipiente, un baule, una cassa che custodisce i vestiti stessi.   Anche l’elemento -roba  poteva significare tautologicamente la stessa cosa significata da guarda-, cioè recinto, cavità, recipiente, baule. 

   In effetti il francese robe ‘vestito’ è in rapporto con una radice che fin dall’inizio nelle lingue germaniche indicava sia il ‘bottino’ sia un ‘indumento, vestito’. 

    Purtroppo non ricordo in quale dialetto meridionale la voce roba ha il significato di ‘casa’ o forse ‘casupola’.

     

domenica 13 febbraio 2022

Scheletro nell’armadio.

 


 

    Tutti conosciamo il significato della locuzione in epigrafe, usata per indicare una notizia di disdicevole o vergognosa per qualcuno, tenuta perciò ben nascosta, in modo che nessuno ne venga a conoscenza.

    Colpisce subito il fatto che questa idea venga espressa in questo modo figurato così particolare: difficilmente uno la inventerebbe se non vi fosse indotto in qualche modo.

    Il bello è che l’espressione ricorre non solo in italiano ma anche in francese, nella forma avoir un skelette dans le placard ’avere uno scheletro nell’armadio’ , nonché in inglese nella forma to have a skeleton in the cupboard ’avere uno scheletro nella credenza’  o to have a skeleton  in the closet ‘ avere uno scheletro nell’armadio’.  

     A parte gli episodi storici francesi (citati da qualcuno) che potrebbero aver dato il via al significato figurato che sappiamo, l’espressione deve essersi originata molto tempo prima a causa di un incrocio con fr. squelette o ingl. skeleton di una voce dialettale come *skelt ‘riparo, scaffale’ simile all’ingl. shelf ‘scaffale, ripiano’ (da un precedente *skelf ); la voce dialettale del resto può essere alla base dell’ingl. shelt-er ‘riparo, ricovero, rifugio’, anch’essa procedente da uno *skelt- quasi uguale alla radice di ingl. skelet-on ‘scheletro’, termine proveniente dal greco skélet-on ‘scheletro’ .

    Concludendo, si può a ragione affermare che dietro l’ingl. skelet-on  ‘scheletro’ o il fr. squelette ’scheletro’ ci poteva essere un termine che significava ‘scaffale’, elemento, appunto, di un armadio.    

    

domenica 6 febbraio 2022

Ancora grecismi nel dialetto d’Avezzano-Aq.

 


   Il sostantivo langa nel dialetto avezzanese vale ‘fame’ ma anche ‘fortuna al gioco’.  Per il significato di ‘fame’ scrissi già, nel novembre del 1910, un articolo presente nel mio blog (v. pietromaccallini-blogspot.com).  Ma il significato, del tutto diverso, di ‘fortuna al gioco’ donde proviene?

   Deve trattarsi senz’altro della radice del verbo greco lagkh-án-ein ‘ottenere in sorte, essere scelto mediante sorteggio’ pronunciato nasalmente come se fosse  *lankh-án-ein.  Il sostantivo corrispondente era lákh-os ‘sorte’ in greco. Si sa che anche il lat. fort-un-a(m) aveva il significato generico di ‘sorte (buona o cattiva)’ mentre in italiano è sorta la specializzazione di fortuna e sfortuna

    Orbene, questo grecismo ce lo ha regalato la Magna Grecia? Ma per favore!!!

   Anche il significato di gioco deve essere nascosto tra le pieghe della radice, ma per ora non riesco ad individuarlo.

 

   



sabato 5 febbraio 2022

Voci del dialetto di Avezzano-Aq.

 


    Nel Vocabolario del dialetto avezzanese di Ugo Buzzelli e di Giovambattista Pitoni si incontrano i seguenti lemmi:  paccùne ‘lardo di maiale’, paccozzόne ‘persona grassa, tozza’; ora è chiaro che dietro queste voci c’è il gr. pakh-s ‘grosso, grasso, grossolano’ di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente intitolato Dialettale paccùtë, ma la cosa che  suscita il mio interesse ora è la presenza del maiale nella spiegazione del  significato di paccùne. 

    Noi non siamo come i linguisti che in questi casi solitamente sorvolano sulle parole che, nella spiegazione di un lemma, accompagnano quella principale, in questo caso il lardo il quale, però, essendo il grasso del maiale, potrebbe aver fatto aggiungere gratuitamente la parola maiale, nella definizione.  Eppure, persino in questo caso limite, il maiale  deve essersi materializzato perché esiste un latino barbarico pacho (v. l’etimo di pacchia nel dizionario etimologico in rete di Ottorino Pianigiani) il quale combacia quasi con la prima parte del citato avezzanese pacc-ùne. 

    La Lingua non si lascia sfuggire nulla.

Dialettale paccùtē ‘grosso, spesso, rozzo’.

 


 

  

  I vocaboli che apparentemente sono stati tratti dal greco della Magna Grecia abbondano nei nostri dialetti, ma, come ho spiegato altrove, molto probabilmente (io, per parte mia, ne sono sicuro) ci pervengono direttamente dall’indoeuropeo, visto che essi sono appunto molti e non riferibili a vocaboli colti, merceologici, storici che facilmente trapassano da una cultura ad un’altra.

   L’aggettivo in epigrafe è diffuso nella Marsica e in Abruzzo ed evidentemente ha la stessa radice del gr. pakh-ẏs ‘spesso, grosso, rozzo’, gr. pakhẏ-tēs ‘grossezza, spessore’.  La desinenza -ùtë dell’aggettivo dialettale credo sia dovuta all’analogia con le numerose forme come ricci-uto, can-uto, panci-uto, oss-uto.

   L’ingl. pack  ‘pacco, involto, sacchetto, mazzo, branco’ dovrebbe essere messo in connessione con la stessa radice, ma solitamente ciò non avviene, forse perché l’indoeuropeo /kh-/ dovrebbe dare in germanico /g-/; ma in greco esiste anche una radice pag, pēg, che ha lo stesso valore di fondo di ‘compressione, massa, connessione’ presente anche nel lat. com-pag-es ’compagine, stretta unione’, la cui gutturale sonora /g/ in germanico si assordisce in /k/.  Per indicare il ghiaccio, infatti, il quale è una sorta di compressione, in greco si hanno due termini: pag-os con la velare sonora /g/, e pakh-con velare aspirata /kh/



I vocaboli che apparentemente sono stati tratti dal greco della Magna Grecia abbondano nei nostri dialetti, ma, come ho spiegato altrove, molto probabilmente (io, per parte mia, ne sono sicuro) ci pervengono direttamente dall’indoeuropeo, visto che essi sono appunto molti e non riferibili a vocaboli colti, merceologici, storici che facilmente trapassano da una cultura ad un’altra.

   L’aggettivo in epigrafe è diffuso nella Marsica e in Abruzzo ed evidentemente ha la stessa radice del gr. pakh-ẏs ‘spesso, grosso, rozzo’, gr. pakhẏ-tēs ‘grossezza, spessore’.  La desinenza -ùtë dell’aggettivo dialettale credo sia dovuta all’analogia con le numerose forme come ricci-uto, can-uto, panci-uto, oss-uto.

   L’ingl. pack  ‘pacco, involto, sacchetto, mazzo, branco’ dovrebbe essere messo in connessione con la stessa radice, ma solitamente non avviene, forse perché l’indoeuropeo /kh-/ dovrebbe dare in germanico /g-/; ma in greco esiste anche una radice pag, pēg, che ha lo stesso valore di fondo di ‘compressione, massa, connessione’ presente anche nel lat. com-pag-es ’compagine, stretta unione’.  Per indicare il ghiaccio, infatti, il quale è una sorta di compressione, in greco si hanno due termini: pag-os con la velare sonora /g/, e pakh-con velare aspirata /kh/.