sabato 1 ottobre 2011

L'abruzzese zecchine 'scintille' e il sardo tidda 'scintilla' confermano la composizione tautologica di lat. scintilla(m). Varietà di incroci




Zecchìne, m. pl. ( le due –e- sono mute) ‘faville che schizzano dal fuoco’ è una voce del Vocabolario Abruzzese di Domenico Bielli (1). Questo termine mi conferma nella convinzione risalente a diversi anni fa, che il lat. scin-tilla(m) 'scintilla' fosse composto da un primo costituente scin- corrispondente all’ingl. shine ‘splendore’, ted. Schein ‘luce, splendore’, danese skinne ‘risplendere’. Ora, a partire da un equivalente del lat. scin- proporrei, per il termine abruzzese, la trafila *skinё > sёcchìnё > zёcchinё. Il primo passaggio si spiega con l’inserzione (anaptissi) di una vocale indistinta tra le due consonanti iniziali e normale raddoppiamento della consonante pretonica, passaggio favorito dalla analogia con altri termini riportati dal Bielli e soggetti allo stesso fenomeno come nella serie caratterizzata da parole con prefisso s- (intensivo, sottrattivo, negativo) e cioè sellamatùre ‘frana’ (da it. slamare); sellummà (da it. slombare), seffunnà/zeffunnà ‘sprofondare’ (da it. sfondare). L’inserzione della vocale indistinta è abbastanza comune nei dialetti, almeno nostrani, anche in altre condizioni, come in aiellese vёràccё ‘braccio’, trasaccano sёllìtta ‘slitta’, aiellese bёcёchёllétta ‘bicicletta’. E proprio questo fenomeno permise, secondo me, alla parola in questione di seguire probabilmente le sorti di derivati dal lat. siccu(m) ‘secco’(cfr. it. seccherello, it. secchino diminutivo di secco) mantenendo la pronuncia velare originaria del gruppo sci-, la quale del resto si ritrova anche in altri termini abruzzesi riportati dal Bielli come schife ‘vassoio grosso di legno per la calcina’ di ascendenza greca, attraverso il lat. skyphu(m) ‘bicchiere, coppa’, variante di abr. scife ‘vassoio di legno per la calcina’, che ad Aielli significa solo ‘vassoio rettangolare di legno’ per usi vari, mentre in altri paesi ha il significato di ‘truogolo di legno per il pastone dei maiali’. L’oscillazione tra pronuncia velare e pronuncia palatale si riscontra anche nei due termini certamente interdipendenti cicёlё ‘ ciottolo, endice’(cfr. Bielli) e chichil-onё ‘ pietra grossa, grandine’ (dialetto di Lanciano-Ch); anche l’abr. šchirchià (cfr. Bielli) ‘togliere i cerchi’ (si ricordi che la –c- iniziale di lat. circulu(m) ‘cerchio’ aveva pronuncia velare nel latino classico, ribadito dall’abr. chїrchià ‘cerchiare’, voce presente sempre nel vocab. del Bielli) stenta a diventare un franco *scirchià con palatalizzazione dell’intero gruppo schi-. L’incrocio successivo di sëcchinë con l’it. zecca e zecchino, parola quest’ultima ben adatta peraltro ad esprimere metaforicamente la luminosità delle scintille, ha fatto il resto.

     In dialetto aiellese il portamonete era chiamato porta-sёcchìnё, vicino all’etimo arabo (dar as) sikka ‘(casa della) moneta’. A ben riflettere, però, a me sembra che il termine "zecchino", il quale secondo l’etimo corrente trarrebbe origine dal suo indicare un ducato ‘nuovo di zecca’ (2) nella Venezia del Cinquecento, fosse invece antecedente al termine zecca e venisse riferito come aggettivo al grado di elevatissima purezza dell’oro di cui era fatto il ducato, in base al significato di ‘brillante, senza macchia, non mescolato, puro’ che la parola poteva avere in parlate più o meno marginali o vernacolari, come il suo significato di ‘scintilla’ in area abruzzese ci autorizza a credere. L’espressione oro zecchino andrebbe spiegata, allora, semplicemente e letteralmente come ‘oro puro’ e non come ‘oro uguale a quello dello zecchino’. L’interpretazione ‘nuovo di zecca’ per il termine zecchino non mi soddisfa granché, perché essa, oltre a dover ignorare i numerosissimi zecchini in circolazione che non erano più nuovi (difficoltà comunque superabile attraverso l’uso estensivo del termine), non tiene conto del fatto che quel termine veniva applicato, stranissimamente, alle sole monete d’ oro puro precedentemente chiamate ducati e non alle altre numerose monete d’argento della Serenissima, tra cui c’erano quelle ugualmente fresche di conio, nonché il marchetto, nome popolare del soldo veneziano che era in biglione, cioè una lega d’argento e altri metalli non preziosi, coniato dal 1476 al XIX secolo. Circolava tra l’altro a Venezia anche il ducato d’argento che mai fu indicato con l’appellativo di zecchino, riservato al solo ducato d’oro dello stesso valore del fiorino fiorentino.  Un altro forte indizio dell’antichità della parola zecchine ‘scintilla’ è l’esistenza in Abruzzo anche di una forma zeccôena ‘scintilla’ che ha subito il cosiddetto frangimento adriatico, in conseguenza del quale la –i- accentata ha dato come esito –oi-, qui –oe-.  Ora è chiaro che questo fenomeno non può essersi verificato dal 1500 in poi, epoca di diffusione del termine it. zecchino, ma doveva essere molto più antico.

Abbastanza numerose sono in toponomastica le sorgenti e fonti chiamate Scen-délle , termine simile a scintilla, e col significato apparentemente distante, anche se la parentela semantica è suggerita a mio avviso dal concetto di ‘vitalità, mobilità, spruzzo (non importa se luminoso o liquido)’ soggiacente alle due parole.

Ho scoperto recentemente che l’elemento –tilla di lat. scin-tilla(m), di cui mi mancava un convincente riscontro lessicale, si ritrova pari pari nel sardo gallurese zidda ‘favilla, scintilla, focolaio’ < *tilla come attesta sempre la variante gallurese tidda ‘barlume, favilla, scintilla, briciola, particella’ (3). E’ noto, per il sardo, il passaggio della doppia -l- alla doppia –d- cacuminale almeno per il periodo antecedente alla latinizzazione dell’isola. Questo bel termine sardo conferma dunque la validità o, almeno, la praticabilità della mia supposizione, per l’esistenza in antico di una forma autonoma tilla ‘scintilla’, come avevo previsto, che autorizza la segmentazione scin-tilla, diversa da quella corrente scint-illa che avvicina il 1° elemento scint- al greco spinth-ér ’scintilla’. Mi permetto pertanto di suggerire che è ormai ora che i linguisti prestino maggiore attenzione a questo fenomeno della ripetizione tautologica di cui vado parlando da parecchio tempo.

    Osserva ed osserva, mi pare di aver scoperto un fenomeno più profondo circa l’abruzzese zecch-ìne 'scintille' < secch-ìne.  La parola effettivamente potrebbe condividere con lat. sicc-u(m) ‘secco, arido’ la radice che poteva normalmente esprimere, all’origine, sia la ‘luce’ sia il ‘calore e il fuoco’.  Allora la forma *sikk-ìne non sarebbe da considerare anaptittica, come ho mostrato sopra, ma, tutto al contrario, originaria e prioritaria rispetto al lat. scin-till-a(m), al danese skinne·’risplendere’ e alle altre forme germaniche. Io credo che in questo caso saremmo vittime di una vera e propria illusione ottica, causata dalla marginalità del dialetto abruzzese rispetto al latino, lingua sovrana. In altri termini io penso che sarebbe stato proprio il latino e le lingue germaniche ad innovare rispetto alla forma prioritaria abruzzese zecch-ìne  ‘scintilla’ ma che, per un atteggiamento, anche inconsapevole, di sudditanza verso la lingua latina, padrona del mondo, non si sia potuto nemmeno lontanamente supporre la dipendenza della parola blasonata latina da quella sconosciuta abruzzese.  Non c’è bisogno che ricordi la priorità o almeno la coetaneità delle forme latine dialettali rispetto a quella del latino classico di cui si è interessato l’Alinei. Si finisce purtroppo sempre negli ingranaggi deformanti di un rapporto totalmente innaturale tra lingua ufficiale e parlate locali, le quali si trovano ad essere tali solo in un determinato periodo della loro antichissima storia che avrebbe potuto essere anche rovesciata rispetto a quelle dominanti.         

Un’altra proposta per spiegare il persistere del suono velare della sillaba centrale di abruzz. zecchine ‘scintille’ sarebbe quella di supporne la derivazione da una variante di lat. scin- con labio-velare, cioè *squin che avrebbe potuto trascinarsi intatta fino al momento dell’incrocio con la parola it. zecchino. Questi tipi di varianti dovevano essere abbastanza ricorrenti se, ad es., a Trasacco-Aq sono molto numerosi: cucuccétta/quequeccétta ‘zucca, zucchina’, cuccenélla/queccenélla ‘coccinella’, cullina/quellina ‘collina’, squencordia/scuncordia ‘sconcordia’, scurtecà/squertecà ‘scorticare’(4) , ecc. Si può addiritttura fare un esempio di un termine che nel dialetto di Trasacco presenta un duplice esito, velare e palatale, riguardante una radice identica a quella del precedente scin- ma con diverso significato. L’espressione trasaccana scénna d’ajje, infatti, significa ‘spicchio d’aglio’ ma anche ‘aglio intero appena sradicato col fusto e con tutti gli spicchi uniti’; scénna de cepόlla ugualmente indica uno ‘spicchio di cipolla’ oppure la ‘cipolla intera col fusto’ . Ora, a me sembra che dietro il paravento di scénna, la quale nei nostri dialetti vale generalmente ‘ala’ (da lat. axilla(m) ‘ascella’, secondo l’etimo corrente) e che quindi difficilmente potrebbe passare a designare questi bulbi, bisogna in questo caso scorgere un termine come gr. skhînos ‘lentisco; scilla (sorta di cipolla)’. Suppongo che questo vocabolo (non necessariamente fotocopia di quello greco storico, ma probabilmente presente in terra marsa fin dalla preistoria) indicasse inizialmente un corpo rotondeggiante come la bacca del lentisco o il bulbo di queste piante o anche solo quello della cipolla, per poi estendersi ad indicare anche il bulbo dell’aglio. Una volta avvenuto l’incrocio e il combaciamento dell’antichissimo termine per ‘cipolla’ con la voce scenna ‘ala’, veniva a crearsi contemporaneamente l’inconveniente della non sempre agevole comprensibilità di questo termine, nella quotidiana conversazione, potendo esso indicare l’una o l’altra cosa indifferentemente. A quel punto fu naturale, a mio avviso, aggiungere alla parola in questione la specificazione d’ajje oppure de cepόlla per segnare un confine netto con la parola scenna usata isolatamente la quale, di conseguenza, si ridusse ad esprimere solo il significato di ‘ala’. Fu quindi giocoforza che le nuove espressioni scénna d’ajje e scénna de cepόlla subissero una forte pressione perché assumessero, per il determinato scénna, un valore diverso da quello espresso dai due determinanti, e così, incrociandosi forse con qualche radice simile a quella del lat. scind-ere ‘scindere, spaccare, separare, dividere’, finirono con l’indicare i vari spicchi del bulbo dell’aglio o quelli ricavabili dalla cipolla con un coltello. Il vecchio significato indicante il bulbo nella sua integrità (il quale comunque per sineddoche poteva già prestarsi ad indicarne anche lo ‘spicchio’) riuscì tuttavia a sopravvivere, come abbiamo visto sopra.

Questo interessantissimo fenomeno è confermato, a mio avviso, anche dall’altra espressione trasaccana όgna de cepόlla “pezzettino di cipolla –come scrive il Lucarelli- che si usava mangiare con pane e, spesso, anche con il minestrone fatto con fagioli e cotiche: un cucchiaio di minestra alternato con un morso alla cipolla cruda, e così via”. Considerato anche che in questa usanza era forse una cipolla intera, specie se piccola e gustosa (scal-ogno?), che, morso dopo morso, veniva consumata è da scartare la possibilità che όgna fosse stato fin dall’origine termine per ‘unghia’ o ‘piccola quantità’. Anche qui mi pare molto chiaro che valga la stessa considerazione che facevo poc’anzi per scénna, e così penso che όgna dovette inizialmente essere termine per ‘cipolla’, derivato dal nominativo del lat. unio, onis ‘il numero uno, l’unità’ ma anche ‘grossa perla; specie di cipolla’; cfr. fr. ognon, oignon ‘cipolla’, ingl. onion ‘cipolla’, i quali provengono però dall’accusativo unione(m). La scomparsa nell’italiano e nei dialetti della nostra zona di questo termine per ‘cipolla’, ha fatto sì che la parola sopravvissuta nell’espressione cristallizzata di Trasacco (Lucarelli non riporta sotto il lemma όgna il significato di ‘pezzetto, piccola quantità’ e pertanto si deve pensare che con tutta probabilità nella parlata trasaccana normalmente esso non ricorresse in quel senso), non più parte viva del lessico , potesse assumere un significato del tutto diverso da quello di partenza, consono al nuovo contesto in cui si ritrovava accompagnata dalla specificazione de cepolla, assolutamente necessaria dopo il passaggio di lat. unio dal significato di ‘cipolla’ a quello di ‘unghia’ nella parlata locale, il quale ultimo poteva per la verità prestarsi a designare una ‘minima quantità, distanza’ come in italiano e costituire così una nicchia perfetta in cui il vecchio significato di ‘cipolla’ finiva per seppellirsi e dormire i suoi sonni letargici senza che qualcuno potesse mai più disturbarlo.

Nulla impedisce di supporre inoltre all’origine dell’espressione trasaccana un composto tautologico del tipo *unio-cepulla facilmente svolgibile in όgna de cepolla. Questi casi confermano l’idea del Saussure circa il riciclaggio e la risistemazione del materiale linguistico proveniente da uno stato anteriore della lingua, come ho ricordato nell’articolo precedente. Si incontra a Trasacco anche la voce squen-όcchie ‘rumore caratteristico delle articolazioni delle dita quando vengono pressate sulle falangi presso le nocche ed altri rumori simili’ ma –incredibilmente!- anche ‘spicchio di cipolla’, il che ci convince sempre più a togliere ogni ombra di dubbio dall’etimo sopra proposto per scénna ‘spicchio d’aglio o di cipolla, aglio, cipolla’. Ne deriva infatti che squenό-cchie < diminut. *squino-culu(m) oppure *skino-culu(m) è un parente stretto di scénna, ma con pronuncia velare o labio-velare del gruppo consonantico iniziale, come avevo supposto più sopra proponendo alla sua origine il gr. skhînos ‘sorta di cipolla’. Ne deriva anche la considerazione, però, che il significato di ‘spicchio’ del termine esistesse già prima dell’apparire della pronuncia palatale, forse per semplice sineddoche, la quale qui stabilirebbe un rapporto biunivico tra la parte (spicchio) e il tutto (bulbo). Del resto l’etimo di it. spicchio risale a lat. spic-ulu(m) ‘punta, pungiglione, dardo, bocciolo (di rosa)’ diminut. di spica(m), spicu(m), ‘punta’ ma anche ‘capo, testa (di piante)’ come nell’espressione spica(m) allii ‘testa d’aglio’ probabilmente in riferimento sia all’intero ‘bulbo’ che allo ‘spicchio’. Sapevo in effetti, ed è naturale supporlo, che l’idea di capo, testa facilmente trapassa a quella di punta e viceversa. L’analisi della lingua non finisce mai di stupire per il gran numero di fenomeni, in specie semantici, che possono avere interessato una singola parola. E per la verità si potrebbe supporre che squenόcchie fosse un deverbativo, col significato di ‘pezzo’, da squenecchià, scunecchià ‘rompere con forza, spezzare le ossa, crocchiare’ ma resta il fatto che, senza l’intervento di un termine simile per ‘cipolla’ (cfr. scénna, gr. skhînos), sarebbe stato difficile arrivare al suo significato specifico di ‘spicchio di cipolla’.

In appendice vale forse la pena accennare alla possibilità che l’it. scalogno, scalogna ‘tipo di cipolla’, vada interpretato semplicemente come un normale composto tautologico segmentabile in scal-ogno in cui il secondo componente corrisponderebbe con esattezza al nominativo del sopra riportato lat. unio, onis ‘specie di cipolla’, mentre il primo sarebbe una variante di greco skílla, lat. scilla(m) ‘specie di cipolla’, confrontabile con le numerose radici germaniche come ingl. shell ‘guscio, conchiglia’, ted. Shale ‘guscio, involucro, tazza, coppa’ non tanto perché ogni tipo di cipolla è costituito da strati di involucri, quanto in relazione all’idea di ‘rotondità’ e di ‘bulbo’ propria dell’intera cipolla. Per i Latini la cipolla di cui si parla era la Ascalonia(m) cepa(m) ‘cipolla di Ascalona’, da una città della Palestina donde sarebbe stata originaria la piantina. Beati loro, che si sentivano soddisfatti di questa spiegazione e non erano nemmeno nella condizione di avanzare l’ipotesi che il termine potesse essere il risultato di uno dei tanti incroci cui le parole vanno spesso e facilmente incontro! La più parte, comunque, degli etimologi moderni non va oltre questa interpretazione.


Note
(1) Cfr. D.Bielli, Vocabolario Abruzzese, A.Polla Editore, Cerchio-Aq 2004, ristampa della edizione di Casalbordino-Ch 1930.

(2) Cfr. M. Cortelazzo-P.Zolli l’Etimologico Minore, Mondolibri S.p.A, Bergamo 2005, tratto dal DELI (Dizionario Etimologico della Lingua Italiana), Zanichelli editore, Bologna 2004, a cura di M. Cortelazzo e M.A. Cortelazzo.

(3) Cfr. A.Rubattu, sito web http://www.toninorubattu.it/ita/DULS-SARDO-ITALIANO.htm

(4) Cfr. Q. Lucarelli, Biabbà A-E e Q-Z, Grafiche Di Censo, Avezzano-Aq 2003, s.v.

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