Come avevo
affermato nel precedente articoletto, le parole che, provenendo da strati
linguistici sepolti addirittura nella preistoria, riescono a vivere tuttora
nelle lingue (naturalmente sotto mentite spoglie perché altrimenti nessuno le avrebbe salvate da sicura morte), non sono poche.
Alle parole facenti capo alla radice indoeuropea ven- ‘amare, ben volere,
ecc.’, di cui ho parlato nel post precedente, bisogna aggiungere lo spagn. bien avenido ‘affiatato’ (che richiama
il sintagma bien venir ‘ben amare’ dell’espressione francese ivi citata) dal verbo a-ven-ir
il quale, oltre a significare normalmente ‘avvenire, accadere’, vale anche
‘accordar(si)’ condividendo cosi ad esempio la sua identità con lat. venia(m) ’grazia, favore’ e con tutte le
altre parole che ho citato in quell’articolo, ed entrando così nella condizione
di chi è ben disposto verso l’altro, ne
avverte scambievolmente la disponibilità, lo apprezza e magari finisce per amarlo.
L’it. affiatato ha, a sua volta, messo in moto
il mio pensiero sempre in cerca dei probabili e giusti etimi, della genuina
affinità ancestrale delle parole, da quando si è accorto che quelli
tradizionali, gli etimi, lasciano spesso parecchio a desiderare. Mi sono chiesto dove andare a rintracciare per
gli it. affiatato, affiatamento,
affiatar(si) quell’empito che unisce due cuori che agiscono all’unisono, in
un’intesa simile a quella dell’amore, quando sono appunto affiatati. Perché banale o
piuttosto artificioso, metaforico, non cogliente direttamente il segno mi è
parso in tal senso il significato estraibile da affiatar(si, come fosse un ‘respirare (all’unisono)’ dalla radice
di lat. fl-atu(m) ‘fiato’ e lat. fl-are ‘respirare, soffiare’
preceduta dalla prep. ad ‘a, verso’. L’idea
del “respirare”, insomma, non mi è parsa il massimo per esprimere l’intima
compenetrazione dell’affiatamento. Con
questa convinzione nella mente mi sono messo a cercare nel web dove si fanno
talora graditissimi incontri (debbo essere un tipo ben strano se traggo sommo
diletto da questi incontri internettiani, a volte meramente virtuali!). Mi è
sembrata come manna dal cielo la voce del dialetto di Spinazzola-Ba che suona fiatodd
e significa ‘affetto’[1]. Ho esclamato tra me e me:«Ci siamo!» perché
la parola ci porta direttamente nell’ambito dei sentimenti amicali o amorosi
tra gli individui, lasciando comunque aleggiare il ritmo del respiro in
superficie, dato che questo fiatodd
‘affetto’, col suo corpo resta in apparenza immerso quasi totalmente, tranne il
suffisso, nella parola fiato. Il vero problema, a questo punto, è che il fiato, come sostenevo, non è propriamente e inequivocabilmente
un segno d’affetto, soprattutto qui che la parola mostra un puro significato
superficiale di ‘fiato’ e non è derivata da un verbo che possa far pensare ad
un’operazione particolare da esso compiuta in modo da ottenere un affiatamento. E allora dove andare a sbattere la testa per
un etimo accettabile?
Mi è
cominciata a frullare per la testa l’idea che la radice di lat. fl-are ‘respirare, soffiare’ poteva
benissimo confondersi con quella di gr. philé-o ‘amo, ho cura di, ecc.’ e gr. phíl-os ‘amico, amato, amante, ecc.’, ma con tutto ciò restava la
difficoltà costituita dal fatto che questa intuizione poteva dar ragione della sola
prima parte di fi-ato, derivata da
precedente *fl-ato <*f(i)l-ato , con la normale palatalizzazione
della liquida /l/ e la chiusura completa e relativa scomparsa della /i/ non accentata. Ma andando a compulsare il vocabolario greco (non posso ricordare
o semplicemente conoscere tutte le parole del vocabolario, comprese quelle meno
comuni! non sono mai stato un perfezionista quantitativo e plateale, anche se
al liceo qualcuno diceva, certamente esagerando, che conoscessi il vocabolario
di greco a memoria!) ho potuto vedere
che esiste un verbo phil-ēdé-o ‘godere, dilettarsi di’ che è un denominativo
dall’aggett. phil-ēd-és ‘amante
del piacere’, composto da due membri di cui il primo ci è noto. Il secondo –ēd- significa ‘dolce, piacevole’ e simili, e
rimanda a gr. hēd-ýs ‘dolce,
piacevole, amabile, benvoluto, ecc.’. Ma
basta una piccola riflessione per capire che questi termini erano inizialmente
tautologici, secondo i canoni della mia linguistica. I due componenti infatti ruotano
intorno al medesimo significato di ‘piacevolezza, simpatia, amore, gioia’.
Inoltre il componente -ēd- aveva la
variante dorica -ad-, da precedente
*(sw)-ad, come attestano varie forme
indoeuropee quali ingl. sw-eet ‘dolce’, a. a. ted suazi
‘dolce’ e suozi ’dolce’, lat. su-ad-eo ‘persuadere’, lat. su-ave(m) ‘soave, dolce’. Anche in greco, ve ne sarete accorti, le
parole tendono a specializzarsi e ricavano, in questo caso, il doppio concetto
di ‘amante del piacere’ dal termine phil-ēdés
che precedentemente era solo un composto tautologico per l’unico concetto di
“piacevole, amato, caro, ecc.”. Questo mio ragionamento viene confermato dalla
citata parola del dialetto di Spinazzola fi-at-odd <*fl-at-odd
‘affetto’, i cui primi due elementi corrispondono in pieno a gr. *ph(i)l-ad-és,
probabile versione dorica del precedente phil-ēd-és, comunque debba intendersi il
suffisso –odd < *oll
(è caratteristica di questo dialetto, come di altri, la trasformazione
della /l/ geminata in dentale /d/ geminata. Cfr., ad esempio, il siculo
bedda (con pronuncia apicale della
dentale) per it. bella.
Ora, se
quello che ho detto è vero, non possiamo passare sotto silenzio che le forme
colloquiali italiane fil-are, nel senso di ‘amoreggiare’, e fil-arsi ‘tenersi in considerazione l’un l’altro, rispettarsi, andare
d’accordo’ più che derivare da un uso metaforico del verbo fil-are nel significato di ‘ridurre in fili, tessere’, sono diretti
discendenti del gr. philé-o ‘amo, ecc.’
o, meglio, della forma dorica originaria philá-o ‘amo’. E non è escluso
che anche l’ingl. fl-irt
‘amoreggiamento’ paghi lo scotto a questa radice che, comunque, oltre ad
indicare l’eccitamento o sensazione di piacere doveva avere un significato più
primitivo di ‘movimento, agitazione’ come in inglese.
Ritornando
allo spinazzolese fi-at-odd ‘affetto’ < *fl-at-oll si può pensare che il
segmento –at-oll possa corrispondere al lat. ad-ul-ari ‘adulare, vezzeggiare, prosternarsi’, verbo considerato di
etimo incerto ma che in questo caso sembra essere ampliamento in –ul
della radice greca sopra citata per ‘dolce, piacevole’ incrociatasi con la
prepos. lat. ad ‘a, verso’: cfr. gr. ēd-yl-íz-o ‘lusingare’. Altro
ampliamento della radice è probabilmente il lat. ad-or-are che assume diverse sfumature di
significato, a seconda delle parole con cui si incrocia ‘venerare, rivolgere la
parola (cfr. os, oris ‘bocca, parola’), prosternarsi’ ma che doveva avere il
significato originario di ‘movimento (verso l’oggetto amato)’ simile a quello
di fr. transport ‘trasporto, impeto,
entusiasmo, gioia, commozione’ e del verbo lat. ad-or-iri ‘assalire,
lanciarsi contro’. Da non dimenticare il
fr. fl-att-er
‘adulare, lusingare, ingannare’ passato all’ingl. fl-att-er ‘adulare,
incensare, dare piacere’ in cui si
riaffaccia, più direttamente, il valore di ‘dolce, piacevole’ del gr. (sw)-ad-ýs ‘dolce, piacevole’, ingl. sw-eet
‘dolce’, ted. süss ‘dolce’.
Buon ultimo
arriva il fiad-one oppure fiat-one, dolce abruzzese-molisano ma prodotto
anche altrove, in varie forme: c’è anche la versione salata! Dalle nostre parti, nella Marsica, esso
appare come una sorta di raviolo ripieno di formaggio e crema di ceci. Resta il fatto che comunque esso è sempre un dolce e che, nel nome, non può che
richiamare la radice di cui sopra.
Naturalmente non è da credere che il termine fiadone sia un derivato diretto
dal greco storico. Ci dobbiamo spesso
accontentare, come è solito ribadire il famoso linguista sardo Massimo Pittau,
di stabilire una semplice comparazione tra due termini, in questo caso quello
greco e quello abruzzese, perché molto probabilmente essi rimandano ad un
antenato comune nella preistoria. Il
termine d’altronde lo incontriamo di nuovo nell’a. a. ted. flado ‘focaccia’, nell’a. fr. flaon
‘dolce prelibato’ e nel lat. medievale flado,
fladonis ‘focaccia’, nell’ingl. flan
‘crostata’. Esso ha subito l’influsso di una radice per ‘piatto, piano’ (cfr.
ingl. flat ‘piatto’) a cui i
linguisti riannodano il termine. Ma
anche qui essi, non avendo individuata la corrispondente radice greca per
‘dolce’, si sbagliano di grosso. Perché
un’altra cosa, molto importante per la scienza etimologica e ricorrente con
costanza, ho appreso nel corso della mia ricerca: la Lingua è
solita indicare direttamente il referente nella sua essenzialità, e non
attraverso qualcuna delle sue più o meno risaltanti caratteristiche, come in
questo caso la ‘piattezza’ di alcuni tipi di dolci che
rientrano tra quelli indicati dal nome in questione. L’interferenza con radici formalmente simili,
ma con un significato che non coglie esattamente il bersaglio, è anch’essa
ricorrente e per questo bisogna aguzzare l’ingegno per non restarne vittima, una
volta che si è raggiunta una piena consapevolezza di questo fenomeno. Il ted.
Fladen indica una semplice ‘focaccia, galletta’: si tratta sempre della
radice del termine che era nato come “dolce” ma che ha cambiato il significato
in ‘focaccia, schiacciata’ per influsso della radice germanica di ingl. flat ‘piatto’.
Un altro
esempio di questo tipo è, a mio avviso, rappresentato dall’ingl. cake ‘dolce, pasticcino, torta’ che nel vocabolario Merriam-Webster viene
interpretato come espressione di un’idea di “massa, rotondità, testa”, data
evidentemente la forma spesso rotondeggiante della torta. Ma anche qui ci si sbaglia di grosso, anche
se con l’attenuante che effettivamente non era facile trovare la strada giusta,
strada che però le linee guida della mia linguistica aiutano moltissimo ad
individuare. La soluzione in effetti
diventa semplice quando si è convinti che dietro il termine cake deve per forza albergare il
significato di ‘dolce’, significato essenziale di questo referente e di quello incontrato
sopra di fiadone ‘tipo di
dolce’. Si deve a questo punto essere
fortunati nell’incontrare qualche radice adatta. Nel napoletano esiste infatti l’espressione ire ‘ncacazza ‘andare in brodo di
giuggiole, bearsi, estasiarsi’. Ora, il secondo termine si deve sciogliere
chiaramente nell’espressione in-cac-azza , cosa che mette in
rilievo la radice –cak- che presumibilmente
ha il valore di ‘dolce’ se a Cerchio-Aq il termine cac-azz-unë significa ‘dolce
composto da mosto cotto e da noci, farina e fichi secchi’[2] e ad
Avezzano-Aq cac-azz-élla/cac-azzétta vale ‘piccolo dolcetto
confezionato dalle monache per allettare i bambini irrequieti’ oltre che
‘escremento di pecora, capra, coniglio’[3] come
in altri paesi. La radice riappare nel
composto tautologico napoletano caca-mele ‘dolce’, lett. ‘caca-miele’.
Si deve trattare di aggettivo: nel sito web da cui ho preso la voce non
è specificato, ma questo ai nostri fini non è rilevante[4]. Anche qui l’elemento caca- deve avere il valore di ‘dolce, piacevole’ e simili. Dalle nostre parti il composto ha assunto il
significato negativo di ‘insulso’[5]
partendo probabilmente da quello di ‘sdolcinato’ e quindi ‘melenso’, qualità
certo poco apprezzata tra gente rude e maschia come quella marsa. Ecco perché l’americanismo cake significa ‘persona sciocca,
semplicione’! ma anche ‘giovanotto che flirta’! perché la parola è adatta ad
esprimere le coccole[6], le moine, le smancerie, le leziosaggini
e tutto il resto del comportamento caratteristico di chi è preso dal demone
dell’amore. E il termine gergale it. checca ‘omosessuale maschio molto
effeminato’ non c’entra nulla? Io credo di sì e che esso non debba essere
inteso come accorciativo del personale Francesca!: la chicca ‘dolciume, caramella, cosa preziosa, persona graziosa,
amore’ sta lì a dimostrarlo!
La seconda e
terza componente del cerchiese cac-azz-ùne
di cui sopra deve avere a che fare, in ultima analisi, con la parola dorica
had-oné
‘piacere, godimento, voluttà, ecc.’ variante di ionico hed-oné . Ma quello che più stupisce è incontrare di
nuovo la voce nel verbo ingl. at-one che oltre al significato
attuale di ‘espiare, riparare, fare ammenda di’ aveva in antico il significato
di ‘ristabilire relazioni amichevoli,
armoniose, pacifiche’ o intransitivamente ’godere di una pacifica, armoniosa
relazione, essere d’accordo’ [7]. Secondo me anche il gr. ház-o-mai ‘rispetto, venero, ecc.’ proviene da questa radice più che
da gr. hági-os ‘sacro,
santo, puro’.
Che bello
constatare che in fondo le lingue europee, e non solo, sono come dialetti di
un’unica lingua madre tutta speciale! e che le parole sono composte di pezzi
saldati insieme, come mattoni diversi per forma (significanti) anche se ciascuno
con lo stesso e unico peso (significato originario), ben cementati tra loro a realizzare
il tessuto multicolore delle parole e delle frasi nelle diverse lingue: insomma
una sorta di ragnatela linguistica ramificatissima che avvolge tutto il mondo, seguendo
passo passo il percorso dell’homo
loquens dall’Africa agli altri
continenti, e che opera sempre con lo
stesso metodo, alla base delle
innumerevoli lingue, ad un tempo semplicissimo in profondità e complicatissimo in
superficie!
Ma sarà mai
esistita una lingua madre? Certamente in fasi più o meno antiche, nella
preistoria dell’evoluzione linguistica dell’uomo, devono essersi già formate
delle lingue dominanti (in corrispondenza di più o meno vaste compagini
tribali) che hanno dato poi vita ad altre lingue più o meno ad esse
ricollegabili, ma agli inizi, secondo i principi della mia linguistica, il
linguaggio è nato con il virus vitale della diversità per quanto riguarda la
varietà dei significanti che ogni
piccolo gruppo parlante poteva usare in modo diverso dagli altri gruppi,
abbinandoli a cose e concetti diversi, ma non certo per quanto riguarda la
varietà dei significati i quali si
riducevano in fondo ad uno solo (quello di “essere, spinta, forza, vita, ecc.”),
pronto questo stesso, però, a specializzarsi in mille e mille modi per creare, proprio
con l’aiuto della diversità dei significanti a disposizione, una multiforme,
differenziata nominazione di cose e concetti e, quindi, una più facile
comunicazione tra gli uomini.
[2] Cfr. F. Amiconi, Tradizioni popolari marsicane: il dialetto
cerchiese, Museo Civico di Cerchio-Aq, anno VII 2004, Quaderno 57.
[3] Cfr.
U.Buzzelli-G.Pitoni, Vocabolario del
dialetto avezzanese (l’opera non reca indicazioni sulla stampa e sull’anno
di pubblicazione). Per il significato di
‘escremento […]’ la parola risfodera il concetto di “rotondità” cui si è
accennato. Cfr. la voce di
Ovindoli-Aq caca-funghë ‘vescia’, e caca-mmàni ‘ciclamini’ in quel di Rocca di Botte (cfr. M. Marzolini, “me ‘nténni?”, Tofani edit., Alatri-Fr
1995). I cicla-mini sono così chiamati per la radice tuberosa (pan porcino)
di forma sferica (cfr. gr. kýklos
‘giro, cerchio’). La 2° componente del
nome gr. kýklá-minos deve essere variante della 2° di caca-mmani. Anche il noto frutto del cachi (giapp. kaki)
rientra nel gruppo.
[4] Cfr. sito web: www.vesuvioweb.com/it/wp-content/uploads/Giuseppe-Giacco-Vocabolario-napoletano-vesuvioweb.pdf
[5] Cfr. G. Proia, La parlata di Luco dei Marsi, Grafiche
Cellini, Avezzano-Aq, 2006, p. 56.
[6] Questa voce cocc-ola presenta una radice che deve essere variante di cak- e rimanda alla sfera dei sentimenti
‘dolci’ di cui si è parlato. I linguisti
per spiegarla si rifugiano nel campo del linguaggio infantile, vicino a quello
onomatopeico, da loro sommamente prediletto quando non sanno dove andare a
sbattere la testa. La parola è
ampliamento di it. cocco, nel
significato di ‘beniamino, prediletto, pupillo’. Anche l’it. cotta ‘innamoramento improvviso’ deve
avere a che fare con questa radice amorosa
anche se esso viene senz’altro sfiorato dal verbo cuoc-cere (lat. coqu-ere) che del resto è vicinissimo all’agitazione ed esaltazione
dell’amore, come pure a quella dell’ubbriacatura indicata famigliarmente dallo
stesso termine cotta La
voce gagà ‘bellimbusto, giovane
affettato, damerino , ecc.’ ci viene dal fr. gaga ‘stupido’ che naturalmente i linguisti si riaffrettano a
sistemare nel campo dell’onomatopea continuando così ad alimentare impunemente
(chi può mai fermarli? non certo risultati incontrovertibili e concreti di
esami di laboratorio, come avviene ad esempio per la fisica e la chimica) la favola dell’elemento imitativo nella Lingua
la quale, invece, è di natura conoscitiva, che è tutt’altra cosa. Ho
l’impressione, senza volermi ergere a loro maestro, che se i linguisti
leggessero opere sull’evoluzione animale, e quindi anche umana, come L’altra faccia dello specchio del famoso
etologo austriaco Konrad Lorenz (1903-1989),
gigante del pensiero, ne trarrebbero gran vantaggio e correggerebbero alcuni
pregiudizi di fondo sulla conoscenza umana. Per la questione dell’onomatopea
rimando al post Etimo di chicchirichì […]
del mio blog (giugno 2009) e al post Il
diavolo non vuole lasciarmi […] dell’agosto 2012.
La voce
fr. gaga è variante in effetti dell’americano
cake ‘persona sciocca, semplicione’
che abbiamo citato. Se qualcuno non digerisce il fatto che in area germanica,
secondo la cosiddetta legge di Grimm o rotazione consonantica, avremmo dovuto
avere una forma in spirante *hahe al
posto di ingl.cake, rifletta su
questa forma francese in velare sonora che poteva circolare anche in area
germanica (cfr. la forma danese kage ‘torta’ con la seconda velare
sonora), da cui, sempre secondo la legge di Grimm si sarebbe avuto una normale forma
cake in velare sorda. Il fatto è, a mio avviso, che la realtà delle
lingue nella preistoria, o anche solo nella protostoria, era molto più
variegata di quanto queste leggi vorrebbero farci credere. Leggi che potevano
riflettere la situazione linguistica stabilitasi e diffusasi in Germania a
partire da una parlata divenuta dominante sulle altre, forse intorno alla metà
del I millennio a.C. Ma l’etnico latino dei Cimbri
e Teutoni, popolazioni germaniche con
cui Gaio Mario ebbe a scontrarsi nel 102 a .C. ad Aquae Sextiae in Provenza
annientandole completamente, non mostra rotazione consonantica (che avrebbe
dato pressappoco *Himbroz e *Theudanoz), anche se qualcuno suppone per questi nomi una
mediazione celtica. Anche l'altra norma riguardante la resa in germanico delle vocali indoeuropee mi pare che venga contraddetta dall'esempio delle due voci dell'antico alto tedesco suazi 'dolce' e suozi 'dolce' già citate in questo articolo. La migliore spiegazione di questa duplicità è che, a mio modesto parere, esse continuino in germanico forme già presenti, anche per altri termini, nell'indoeuropeo comune (che è illusorio credere che costituisse un modello unico, senza variazioni) e che una di esse finì col divenire dominante e prevalere sull'altra in germanico, generando così l'impressione nello studioso che si trattasse di derivazione e trasformazione dell'originaria forma indoeuropea. C'è ancora tanto, in questa concezione, della falsa idea di derivazione che avevano i linguisti dell'Ottocento i quali elaborarono un albero genealogico delle lingue, come se queste fossero state veri e propri prodotti genetici originati da un ceppo monolitico di partenza. Cfr. anche, per
questo argomento, l’articolo del mio blog del 2 gennaio 2013, La voce “bbuve” […].
[7] Il
verbo potrebbe essere denominativo da gr.*(sw)-adoné
‘piacere’. Io sarei del parere di
considerare come un elemento tautologico a sè, col valore di ‘dolce’, la parte sw- considerata caduta dal termine. Essa è
invece semplicemente assente fin dall’inizio in tutti i casi in cui sembra mancare
e corrisponde all’a. ind. su ‘bene’,
gr. eû ‘bene’. I linguisti derivano il verbo atone dall’espressione dell’inglese
arcaico at on = at one ‘d’accordo’, lett. ‘come uno, all’unisono’. Esso poteva indicare in inglese, come abbiamo
visto, una perfetta sintonia amorosa tra persone, ma sarebbe potuto servire anche
a definire un sentimento di languida e sfibrata tenerezza producendo il
significato di ‘fiaccare, sfibrare’ e simili.
Dante usa un paio di volte nella Commedia il verbo adon-are, d’origine provenzale, con questo significato (cfr. Inferno
VI, 33 e Purgatorio XI, 19). A dire il
vero esso aveva, a seconda dei contesti, diversi significati ma riconducibili
forse alla stessa base etimologica. Il
significato arcaico del verbo inglese atone
rispunta nell’it. arc. adonare ‘avere
rapporti, frequentare’ (ante 1250, presso Giacomo da Lentini) corrispondente
all’occitanico antico adoner ‘avere
rapporti con’: cfr. sito web Addone
–Woerterbuchnetz- Lessico Etim. Ital. E così va a farsi friggere
l’ingenua proposta etimologica at on= at one ‘d’accordo’ per il verbo
inglese. Degli interessanti significati
di questa radice, e di altre, mi ripropongo di parlare nel prossimo
articolo. La radice cak- , che spesso come abbiamo visto si unisce a quest’altra, mostra il significato di ‘sfibrarsi,
fiaccarsi’ nell’espressione marsicana ‘n-cac-àsse ‘perdere energia,
reattività’, detto di qualcuno non più capace di affrontare i compiti che la
vita richiede.
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