sabato 17 aprile 2010

L'italiano "folla" ovvero la genericità dei significati profondi

L’appellativo italiano folla ( port. fula, fr. foule) dai linguisti contemporanei viene riportato in genere alla radice del verbo follare i cui significati, secondo il vocabolario Devoto-Oli, sono: 1) pestare o pigiare (riferito al panno o all’uva). Oggi, sottoporre a follatura. 2) arc. premere da presso, incalzare. Si suppone all’origine di esso il verbo *full-are ‘premere, pigiare’ corrispondente al lat. fullo,-onis ‘lavandaio’, il quale, dopo aver pigiati i panni in un bacino pieno d’acqua e di sostanze sgrassanti, li batteva con l’ausilio della pressa per rassodarli e infeltrirli. La folla, pertanto, non sarebbe altro che una ‘calca’, un insieme di persone che si pigiano o pressano.L’idea di ‘premere’ si ritrova nel lat. fulc-ire ‘puntellare, sostenere, calcare, premere’ che mi pare ampliamento della radice precedente.
Ottorino Pianigiani, nel suo dizionario etimologico (1907), oltre a questa etimologia ne presenta una seconda di alcuni linguisti, i quali si appoggiano, nel sostenere le loro tesi, ai molti termini germanici di cui fa parte l’ingl. full ‘pieno’, intendendo così la folla come un ‘pieno’ di persone. Questa etimologia è stata abbandonata forse anche perchè la fricativa labiale sorda (f-) in germanico dovrebbe corrispondere a una occlusiva labiale sorda (p-) in latino secondo gli schemi canonici di ricostruzione dell’indoeuropeo comune, ma nell’articolo Etimologia di finestra abbiamo visto che si incontrano nei nostri dialetti forme parallele tra loro equivalenti, con l’una e con l’altra consonante. Allora, a mio avviso, il problema è di riflettere sui significati delle due radici, quella che rimanda alla pressione e quella che indica la pienezza, per vedere se per caso esse non possano essere considerate semplici varianti che non esigono una netta separazione tra di loro.
Nel vocabolario abruzzese di Domenico Bielli si incontra, sotto la voce fólle ‘folla’, anche l’espressione A la fólle de lu mezzeggiorne ‘in pieno mezzoggiorno’. Ora, cercare di spiegare questo significato del termine fólle partendo semplicemente da quello di it. ‘folla’, ‘gran quantità’ credo che non produrrebbe alcunchè, come pure se si partisse da quello di ‘pressione’ della radice di lat. *full-are (cfr. sp. volgare foll-ar ‘scopare’). Resta allora la possibilità che la radice sia effettivamente la stessa di ingl. full ‘pieno’. Ma è proprio indispensabile, poi, ritenere che l’idea di ‘pienezza’ sia inconciliabile con quella di it. ‘folla’ e con il significato della radice che ha portato all’it. folla , cioè la ‘pressione’? Un recipiente si dice pieno quando è occupato interamente da qualcosa, allorchè si può dire che sia sotto la massima pressione di un oggetto o di oggetti che a loro volta riempiono il recipiente premendo contro di esso e tra loro stessi. A me pare che sia sempre questa idea di pressione ad operare sotto il lat. ple-nu(m) ‘pieno, gravido, grosso, grasso, pesante, ecc.’, parente stretto di gr. plé-r-es ‘pieno’, lat. plu-r-es ‘più numerosi’, gr. pol-ýs, aggettivo dai molti significati diramantisi tutti, in sostanza, da quello di ‘forza’. Esso infatti significa ‘molto, ampio, largo, esteso, lungo, grande, alto, forte,violento, veemente’. L’it. folla, allora, può non derivare direttamente dal verbo *full-are ‘premere’ ma da un'idea di ‘moltitudine’ nascosta sotto la radice, come è naturale, la quale, comunque, scaturisce sempre dall’idea di ‘forza, pressione, grandezza, grossezza, estensione, quantità, ecc.’ da cui può generarsi a sua volta quella di ‘massa, mucchio, folla’. Per non lasciarsi prendere e confondere dal solo significato di ‘premere’ espresso dal lat. *full-are e per aprire gli occhi sulla multiforme dinamica dei significati, è utile considerare il significato del dialettale foll-àrese (a Luco dei Marsi-Aq) ‘ avventarsi, gettarsi addosso, correre con foga verso una persona’ (cfr. Giovanni Proia, La parlata di Luco dei Marsi, Grafiche Cellini, Avezzano-Aq, 2006) o del trasaccano fell-àsse, foll-àsse ‘ azzuffarsi, gettarsi in una mischia, affollarsi, aggredire’ (cfr. Quirino Lucarelli, citato più sotto). I significati dei due verbi sono una specializzazione di un concetto più generale che indica un movimento (violento) verso qualcuno o qualcosa, diverso da quello compiuto dal follatore che pesta i panni, anche se espresso dalla stessa radice. Una conferma del significato dei due verbi ci è fornita dallo sp. foll-ón ‘tumulto, disordine, confusione’.
Se l’espressione abruzzese sopra citata non dovesse bastare per sostenere il valore di ‘intensità’, di ‘forza’ e di ‘pienezza’ giacente sotto quello di ‘fólle (de lu mezzeggiorne)’, chiederemo aiuto all’altra parola abruzzese, sempre presente nel vocab. del Bielli, che suona fóte ‘piena del fiume, del torrente’ e che corrisponde all’it. ‘folto, fitto’ come attestano le altre tre voci abruzzesi fóte, fóvete, fólde dello stesso significato di ‘folto’. Nel mio dialetto di Aielli si incontra l’unica forma fútë. La liquida -l- in questi casi può cadere come in abruzz. vòta ‘volta’, o trasformarsi in –u- oppure –v- come in abruzz. áutre ‘altro’(aiellese átrë), aiellese ávëtë ‘alto’. L’it. folto viene normalmente fatto risalire al participio aggettivo fultu(m) del verbo sopra citato fulc-ire col sign. di ‘puntellare, premere’. Il significato di ‘denso, fitto’ non è attestato in latino, ma doveva già esistere in qualche parlata dialettale: è difficile sostenere che esso si sia sviluppato nel medioevo dal significato già specializzato di ‘puntellato, premuto’. La somiglianza con il danese fuld ‘pieno’ (ampliamento di ingl. full ‘pieno’) è perfetta. A me pare, quindi, che l’abruzz. fóte <*folde ‘piena’ sia un ampliamento della radice di abruzz. fólle ‘pienezza (del mezzoggiorno)’, di got. fullo ‘abbondanza, piena, moltitudine’. Ma la coincidenza fra il termine abruzzese fóte e quelli germanici relativi ritorna ancora per i significati di ‘bottaccio, cavità, piccolo bacino di raccolta delle acque di un mulino’ di abruzz. fóte (cfr. aiellese -fóta dallo stesso significato) e per il significato affine di ‘cavità del terreno, avvallamento’ di ingl. fold ‘piega, cavità, avvallamento del terreno’, ma anche ‘ovile’ attraverso l’idea di ‘cavità, recinto, stalla’.
Curioso il fatto che anche l’it. fitto ‘pieno, zeppo, denso, ecc.’ derivi dal lat. fictu(m) ‘conficcato, impresso’ dal verbo fig-ere ‘conficcare, ecc.’. Nei nostri dialetti fittë vale in genere ‘fermo, quieto’, significato ben ricavabile dall’altro participio di fig-ere, cioè fixu(m) ‘fisso, conficcato’. Ma a Trasacco-Aq la voce fitta (cfr. Quirino Lucarelli, Biabbà F-P, Centro Studi Marsicani, Grafiche Di Censo, Avezzano-Aq, 2002, sub voce), oltre ad avere lo stesso significato del corrispondente termine italiano fitta ’dolore intenso ed improvviso’ ha anche il valore, per la verità presente anch’esso in italiano, di ‘folla, gran numero (di cose o persone)’. Come può essersi originato questo significato? Mi viene in soccorso la parola sfilza, filza che non pare, comunque, etimologicamente legata al verbo fig-ere ‘conficcare’, ma mi fornisce l’idea di una serie o gran numero di oggetti composti di molti elementi addossati gli uni agli altri. E in effetti l’aggettivo "fitto" si riferisce spesso a elementi stretti gli uni agli altri, come i soldati che formano una schiera o i pali piantati a formare una palizzata. C’è dietro sempre un’idea di ‘spinta, pressione’ ma non diretta verso il suolo per conficcarvisi come nel caso dei pali, bensì di ogni elemento verso altri elementi, sì da formare una struttura compatta, una massa, una folla. Ho usato l’aggett. compatto perchè esso richiama anche il termine compagine, l’unione stretta di più elementi per formare un organismo complesso. Il verbo latino com-pingere ‘ mettere insieme, unire, costruire, spingere dentro,comporre’ richiama il verbo pang-ere che da solo, senza il prefisso com- ‘con’, significa ugualmente ‘comporre’ anche se solo nel senso di ‘scrivere’ opere letterarie, oltre a significare ‘conficcare, piantare’. Anche i sopra citati verbi dialettali follàrese, follàsse ‘scagliarsi addosso a qualcuno’ possono rientrare in questa dinamica dell’aggregarsi, dell’unirsi, dell’ammassarsi se solo si elimina dal loro significato l’elemento della violenza: allora lo ‘scagliarsi addosso’ diventerebbe un placido ’addossarsi’ per formare una compagine o un insieme. Il termine citato filza, considerato di etimo incerto, potrebbe anch'esso chiamare in causa l'a. ingl. ge-fylce 'banda, masnada, truppa, esercito', l'a. norreno fylki 'banda', ambedue legati alla radice di ingl. folk 'gente' di cui parlo più sotto. La presenza di aiellese 'mbelàcce (da *infilacce) 'filza' e di abruzzese 'mbiveze 'filza' (da *(in)filza) mi offre la possibilità di sostenere che queste siano forme parallele di it. filza provenienti da un precedente *(in)filacia simile all'it. filaccia 'filo o insieme di fili che si sfilacciano'. Alla sua origine io pongo un composto tautologico il cui secondo membro è pari pari il lat. acia(m) 'filo' e pertanto non condivido la sua derivazione dal solo lat. *filacea(m), da filu(m) 'filo'. Tutto questo basta a render conto del significato di 'filo' del termine ma non spiega quello di 'filza, serto'. Il quale potrebbe, comunque, risalire alla radice dei termini germanici suddetti. E probabilmente *filacia sarà passato, in qualche parlata, a *filcia>filza per intervenuto spostamento dell'accento tonico sulla sillaba iniziale, fenomeno che in antico interessò molte lingue, riscontrabile anche nella parola aiellese-abruzzese òbbeche 'bacìo, ombroso, esposto a nord', da lat. opacu(m).
Sull’onda di quanto ho detto credo possa risultare meno indigesto, per gli stomaci di coloro che sono abituati a cibarsi dei prodotti della tradizionale scienza etimologica, interpretare in maniera insolita il modo di dire Far ridere i polli ‘essere assolutamente ridicolo’. Cosa c’entrano qui questi volatili che potrebbero, d’altronde, essere sostituiti da qualsiasi altro animale, in specie quelli il cui verso assomiglia effettivamente ad una sguaiata risata come quello delle iene? Anche qui si può sperare di arrivare all’origine dell’espressione solo se si va al di là dei significati superficiali e si rintraccia qualche probabile parola più consona al significato di tutta l’espressione. Non si può accettare, come spiegazione, il ragionamento tutto cerebrale secondo cui uno fa ridere i polli quando è talmente ridicolo da muovere il riso finanche dei ‘polli’ che per natura non possono ridere, come del resto tutti gli altri animali. Tutto potrebbe essere molto più semplice se fermassimo l’attenzione su una espressione greca che suona hoi poll-oí 'la maggior parte, moltitudine, gente, popolo’ (nomin. pl. dell’aggett. pronome pol-ýs ‘molto, grande, forte, potente, ecc.’ sopra citato per la spiegazione di it. folla). L’espressione in origine quindi, a mio parere, voleva semplicemente dire Far ridere la gente.
Quando si filo da torcere ad una persona significa che essa affronterà, a causa nostra, molte e gravose difficoltà nel raggiungimento di qualche obbiettivo. Anche qui mi sembra che ci sia uno iato tra la lettera dell’espressione e il suo significato. Torcere della lana, del lino o cotone per farne dei fili non mi pare che sia un lavoro scelto bene a rendere l’idea di ‘enorme difficoltà’. In effetti ci sarebbero molte altre attività più adatte a rendere il senso di pena e sudore di chi le svolge: il tessere stesso dovrebbe essere più impegnativo dello strappare fiocchi di lana dalla rocca per trasformarli in filo con l’aiuto del fuso! Per questo, ma non solo, sarei dell’idea di cercare sotto il termine ‘filo’ una voce germanica come il got. filu ‘molto’, ted. viel ‘molto’. Se è vero, come mi pare di aver ben mostrato sopra, che in antico circolavano sul suolo italico parole come le abruzzesi fólle e fóte< *folde , strettamente legate ai rispettivi termini germanici, non vedo il motivo per cui si debba negare il permesso di soggiorno in Italia anche a quest’altra variante. Così il significato originario dell’espressione sarebbe Dare molto da torcer(si) nel senso di ‘dare molto da tormentarsi, agitarsi, arrovellarsi, ecc.’. In latino torquere ha appunto anche il valore di ‘tomentare, angustiare, affliggere’. Se questo è il caso, la particella riflessiva –si , presente nella frase originaria, è naturalmente scomparsa quando è intervenuto l’incrocio della voce corrispondente a germanico filu ‘molto’ col lat. filu(m) ‘filo’, che ha costretto il verbo ad assumere la forma transitiva.
Di radici germaniche se ne incontrano con una certa frequenza nei nostri dialetti e a mio avviso bisogna pensare che esse non risalgano sempre al periodo medioevale, portate da qualche popolo barbarico, ma ad epoche preistoriche. Una voce ricorrente in Abruzzo è quella del verbo fioccá, fioccárse, fioccásse ‘lanciare, lanciarsi, aggredire’. Questo significato non può, a mio parere, essersi sviluppato da quello di fioccá ‘fioccare, nevicare’. La caduta di un fiocco di neve o di lana è caratteristicamente lenta e oscillante e non può aver prodotto il significato di ‘avventarsi’ spesso riferito anche ai cani o solo ai cani in alcune parlate locali (cfr. il vocab. del Bielli). Anche in questo caso io penso che l’etimo di questo verbo debba essere comparato con quello di ted. flieg-en ‘volare, muoversi rapidamente’, imparentato con l’a.a.ted. fliog-an ‘volare’.
La fiètta o fiètte è una 'treccia, filza' come quella di fichi secchi o di sorbe, ma in alcuni paesi come Aielli essa è (era) una salsiccia ripiegata ad arte in modo da poter essere inserita, insieme ad altre, in una pertica che solitamente si stendeva, sostenuta orizzontalmente da due appositi ganci alle estremità, al di sotto del soffitto della cucina. In alcuni casi essa presenta la forma flette (cfr. vocab. del Bielli), l’esatto corrispettivo del ted. Flechte ‘treccia’ e variante di lat. plecta ‘ghirlanda’(termine architettonico). La palatalizzazione della liquida –l- è un fenomeno diffusissimo nei nostri dialetti e di origine antichissima (cfr. aiellese jjójje ‘loglio’ dal lat. loliu(m), cavàjjë ‘cavallo’, centëpéjë ‘centopelle’, ecc.). Che la voce fosse radicata nel dialetto lo dimostra anche il lemma fijétte, spiegato dal Bielli con un esempio: Ena fijétte tra acqu’ e vvine ‘E’ un dappoco, un melenso’ . L’etimo di fijétte deve essere allora lo stesso di fiètta, fiètte, cioè un ‘intreccio’, un incrocio, e quindi, nella frase in questione, un miscuglio tra vino e acqua che icasticamente allude ad un tipo umano insulso o scipito. Ma si tratta veramente di parole di origine germanica? Il fatto che in latino si incontra il verbo flect-ere ‘flettere, piegare’, forma parallela a plect-ere ‘intrecciare’ e connessa con lat. plic-are ‘piegare’ nonchè col gr. plék ‘piegare’, e che nell’espressione abruzzese precedente si ha un significato piuttosto particolare (miscuglio) della radice mi spinge a credere che si possa trattare di forme che circolavano sul nostro territorio fin dalla preistoria. Oggi troveremmo difficoltà ad usare un’espressione come Una treccia tra acqua e vino, nel caso in cui avessimo tratto di peso e da poco tempo il termine Flechte ‘treccia’ da qualche lingua germanica.
Leggo, nel vocabolario di Tullio De Mauro, il lemma fiocca ‘fiocco di neve, grande quantità di cose o persone’ e mi viene in effetti il dubbio che questo termine obsoleto, che allarga di molto i suoi confini rispetto al ‘fiocco di neve’, non me la racconta giusta, e che dietro di esso ci possa essere qualcos’altro. Infatti, se riflettiamo sul referente di lat. floccu(m) ‘fiocco di lana’ ci accorgiamo che esso, il fiocco, è formato da un intrico di peli, da un batuffolo, una massa di piccoli filamenti di lana, insomma; e allora, molto probabilmente, alla base del vocabolo, deve esserci proprio questo concetto di ‘quantità, massa, insieme, mucchio, grumo, globo, gomitolo, agglomeramento, moltitudine, ecc.’ che si ritrova nell’ingl. flock ‘gregge, stormo, folla’ della stessa struttura dell’ingl. folk ‘gente’(legato a ingl. full ‘pieno’ e all’it. folla), sua probabilissima variante metatetica e, verosimilmente, nell’italiano bioccolo. In tedesco e inglese esiste anche flock ‘fiocco’ che però i linguisti non mettono in rapporto col lat. floccu(m) perchè la cosa non rispetterebbe gli schemi da loro elaborati per quanto attiene al gioco consonantico p/f che pure, come abbiamo già ricordato, subisce frequenti trasgressioni. L’it. bioccolo presuppone una forma *blocc-ulu(m), a mio avviso allotropo di flocc-ulu(m) e imparentata con il termine it. blocco (nel senso di massa, gruppo), provenuto successivamente dall’area germanica attraverso il francese. Proporre un incrocio tra fiocco e tardo lat. buccula(m) ’boccolo, ricciolo’, come vogliono alcuni, non mi pare accettabile anche perchè un “bioccolo” non è precisamente un “boccolo”, lungo ricciolo a spirale. Siamo tornati così al concetto e alla radice di ‘folla’, ‘massa’ da cui eravamo partiti. Il cerchio si è chiuso. Speriamo che le nostre menti si aprano, invece (senza offesa per nessuno).

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