Pensavo di aver esaurito le possibilità di stupirmi dinanzi ai
meccanismi della Lingua, ma ho dovuto ricredermi riflettendo su diversi
vocaboli, soprattutto greci e latini, che presentano la radice ar- nel suo valore di ‘connessione,
unione, adattamento, articolazione, sutura’ nota ai linguisti che, però, non
sono andati al fondo della questione.
La parola latina ar-ma ‘armi’, ad esempio, viene intesa come espressione di un’idea
originaria di “applicazione (al corpo del soldato), equipaggiamento (elmo,
corazza, scudo, schinieri, ecc.). Essa avrebbe
indicato, insomma, tutto ciò che il combattente portava addosso a sé, che era legato
e adattato alla sua persona. Poi sarebbe passata ad indicare ogni genere di
armi nonché di strumenti e attrezzi che con l’arte della guerra avevano nulla
da spartire. In questa ottica anche il lat. ar-mentu(m) viene considerato una sorta di ‘equipaggiamento’ di
natura economica della persona[1], che ne
garantiva tutta la potenza e l’importanza.
Ora, se solo si riflette sul fatto che il termine arma, ad esempio, poteva anche essere nato ad indicare qualsiasi
strumento che l’uomo riusciva a costruirsi man mano che la sua industriosità
cresceva, si arriva alla considerazione che gli attrezzi che rendono la vita
più facile e comoda (ma anche quelli militari) sono spesso composti di parti che formano un tutto funzionale e armonico come
una panca, un tavolo, un letto, un armadio, una cassa, uno scudo. A questo punto, tenendo ben presente il
significato della radice ar-, dovrebbe
scoccare l’idea che tutti questi oggetti sono appunto delle composizioni, giustapposizioni nel senso
etimologico di qualcosa costituito di elementi connessi gli uni agli altri in modo da originare qualcosa di
utile.
Come mai, allora, nessun linguista si è reso conto della almeno
parzialmente artificiale spiegazione della parola ar-mento, se intesa come portatrice del significato di ‘equipaggiamento (dell’uomo)’, e non ha mai capito
che la Lingua con quella parola non aveva voluto mettere in relazione un gruppo
di animali con l’uomo, ma solo indicare direttamente, come è solita fare, il
concetto di “gruppo” costituito in questo caso dagli animali, il quale non era
altro che un tipo di composizione, sia pure ad assetto
variabile, formata dai singoli capi di bestiame riuniti insieme? Così tutto è
molto più semplice. Dal significato di ‘composizione’ naturalmente si può passare
a quelli di gruppo, cumulo, folla, branco, truppa, ecc. e strada facendo si
può perdere, se necessario, anche la nozione della distinzione dei vari
elementi che compongono una massa arrivando all’idea affine di “blocco, monte”
tout court che, comunque, poteva essersi originata già indipendentemente
dall’idea simile di “protuberanza”. E’
proprio vero, comunque, che l’antropocentrismo che tanti danni ha provocato in
passato nella scienza astronomica e nella filosofia, ci ha come strappati dal
contesto animale da cui deriviamo, impedendoci di capirne la natura più
profonda e più genuina.
Se prendiamo il gr. har-monía (la –h-
iniziale è solo segno dello spirito aspro della vocale della radice ar- che normalmente mantiene lo spirito dolce) notiamo che esso,
oltre a significare ‘armonia, rapporto, proporzione’, indica anche un ‘patto,
accordo’ oltre ad avere il significato solitamente più proprio della radice
suddetta, quello di ‘commettitura, congiunzione, legame’. Ma lo stupore sorge spontaneo quando vediamo
che il termine, sotto la specie del gregge, si ritrova, appena variato, nel personale
gotico Er-mana-rico, se
questo vale ‘signore (-rico) di gregge (bovino)’[2]. Interessante la voce gr. harmo-logé-o ‘connettere’: cfr. gr. harm-ós ‘commettitura, giuntura, articolazione (cfr. ingl. arm ‘braccio’)’ e gr. log-ía ’raccolta, colletta’.
E’ valida la considerazione del DELI (e di altri) secondo cui nell’it. leggio la nozione di leggere è
secondaria, rimandando il termine al gr. logeî-on ‘palco, tribuna per oratori’. Ma esso sbaglia quando sostiene che questo
termine riporta anch’esso alla radice di gr. lég-ein ‘dire, parlare’[3]. Intanto lo stesso verbo ha anche il
significato di ‘raccogliere’. Un’altra storia è cercare di capire se i due
significati possano essere interconnessi. Per ora soprassediamo su questo
problema. Tra i numerosi termini greci
legati alla radice ar- voglio citare
per tutti il gr. ar-ar-ísk-ein ‘adattare, unire saldamente, preparare, costruire, ecc.’ con
la radice raddoppiata.
Il lat. arm-ariu(m) ‘armadio’
difficilmente è nato come ‘ripostiglio delle armi o arnesi’ perché anch’esso
reclama col nome la sua natura più vera di ‘composto, struttura’. L’armata
che oggi ci suscita subito l’idea delle armi
di cui essa è fornita, all’origine dovette essere vicinissima al gr. hárma, gen. hármat-os ‘carro’ nel senso comune di
‘apparato’, piccolo quello del carro, enorme quello costituito da un insieme di navi o di forze di
terra. L’arma-tore dovette all’origine indicare il costruttore e possessore di navi oltre a chi ha in esercizio una
nave indipendentemente dall’esserne proprietario o meno. Ciò è confermato dall’altro
significato del termine, cioè
‘carpentiere addetto alla costruzione di
opere di sostegno in lavori di galleria, fondazione, scavo’. La credenza
è il mobile da cucina dove si ripongono le vivande, le stoviglie ed altro,
vivande che venivano anticamente assaggiate per dimostrare ad alti personaggi
che non erano avvelenate, operazione che andava sotto il nome di credenza. Le cose non stanno esattamente così per
quanto riguarda l’origine del termine! Si
dà in effetti il caso che nei nostri dialetti abruzzesi col termine credenza si indichi un attrezzo agricolo
di legno utile per la ventilazione delle biade, in genere legumi, composto da
un manico e cinque rebbi: un’altra composizione
o struttura o arnese! Questo fatto
illumina anche l’etimo di lat. cred-ere che significava anche ‘affidare, avere fiducia in’, un verbo
che ci riproietta verso l’idea di “federazione, unione, accordo delle parti,
fede (anche come anello che
concretamente rappresenta il nodo e il vincolo matrimoniale)” e verso l’idea,
quindi, di legame intimo, che genera
la fiducia dell’uno nell’altro[4]. La stessa armonia delle parti è riscontrabile
nell’irl. cerd ‘arte’, forma
metatetica di cred- (ma qui stabilire
quale forma sia metatesi dell’altra è difficile).
Bisogna a questo punto rendersi conto che anche il lat. arte(m ) ’arte’ è parola che sfrutta la connessione, il rapporto armonioso tra
le parti; l’aggett. lat. artu(m)
‘stretto’ mostra il sign. di ‘legame’ insieme al sostantivo lat. artu(m) ‘congiunzione, arto’. Il gr. árt-os ‘pane’ non vuol dire, come si
crede, il cibo ‘preparato’ (perché la radice ar- si presta ad indicare la ‘composizione, il fare, il costruire’)
ma semplicemente ‘impasto, miscuglio’, significato scaturente da quello di
‘mettere insieme, fondere’. Per cercare
di capire meglio questa cosa si prenda il gr. teîkh-os ‘muro’ collegato alla radice di ted.
Teig
‘pasta, impasto’ e ingl. dough ‘pasta per pane, impasto’,
oland. dijk ‘diga’. E’ d’uopo precisare che il muro, a mio avviso, è un impasto non perché sia tenuto insieme
dalla calce, ma perché esso è già di per sé un insieme di massi, un cumulo, un mucchio: anche il muro a secco è
sempre un muro. Le mura ciclopiche di tante città antiche non avevano bisogno
di leganti per la loro consistenza.
E’ abbastanza noto il termine arcaico it. mora o morra, considerato
a torto mediterraneo (non esistono in verità tali termini), col significato di
‘mucchio di sassi’. Si tratta della
stessa radice di muro < lat. muru(m) arc. moeru(m)[5].
In abruzzese morë vale anche ‘mucchio di grano all’aia’
e morrë vale ‘spiga di frumento
(costituita da un insieme intrecciato di chicchi’ oltre che ‘branco, gregge,
armento’. Non per nulla in italiano la mora (lat. mor-um, gr. mor-on) è il frutto del gelso e del rovo costituito da un insieme di acheni stretti uno accanto
all’altro: cfr. ingl. to moor 'ormeggiare', m. olandese mar-en, mer-en 'annodare, ormeggiare'. Anche il gr. móra deve
essere della famiglia, in quanto a Sparta costituiva la più grande unità di combattimento formata da più di
seicento soldati. Il termine si era
incrociato con la radice di gr. mér-os ‘parte, porzione’[6].
Un tempo diffusissimo era il gioco della morra.
Ad Aielli quando un giocatore, aprendo le cinque dita della mano, gridava morra! supponeva che l’avversario
avrebbe anch’egli aperto le cinque dita che, aggiunte alle sue, avrebbero
formato il numero dieci, cioè l’insieme
(di dita) più grande possibile in questo gioco. Vale la pena notare che in
portoghese morro significa ’colle’, e
in spagnolo moron vale ’monticello,
collina’. L’it. morena fa parte della
famiglia come, penso, il gr. myrí-on ‘numeroso, infinito’ da confrontare con l’irl. mur ‘abbondanza’. Si incontra anche la forma marra ‘mucchio di pietre’ nonchè il raro
termine gr. márē ‘mano’ alludente
all’insieme delle cinque dita di una
mano.
Ritornando alla radice cerd- più sopra incontrata si può collegarla all’ingl. crad-le ‘culla, intelaiatura, trabiccolo,
gabbia’, ingl. hurdle ‘ostacolo
(nella corsa ad ostacoli)’, al gr. kýrte ‘nassa’, al lat. crat-e(m) ‘graticcio’, ingl. cart
‘carro’, anche se non si rispettano qui puntualmente le norme generali
riguardanti gli esiti della consonante velare sorda nelle varie lingue
indoeuropee. L’ingl. car ‘macchina’ solitamente collegato
alla radice presente anche nel lat. curr-ere
‘correre’ credo vada connesso con ingl. cart:
una macchina anche quando sta ferma non cessa di essere una struttura di parti interconnesse, come
il carro ligneo da cui proviene. E’ straordinario ritrovare la radice nel siciliano
cart-iddhàte, dolce costituito da una
striscia di pasta fritta cosparsa di miele. La forma dà l’idea di un intreccio. In siciliano infatti cart-eddha significa ‘cesta’, oggetto fatto
di vimini intrecciati. In greco si incontra kárt-all-os ‘paniere’. La radice è presente anche nel sscr. crta-ti ‘egli annoda’, sscr. hart ‘annodare, intrecciare’.
Il
termine pan-iere che tutti
credono sia nato proprio col significato di ‘cestello per il pane’ va invece
spiegato tenendo presente il significato di ‘impasto’ di lat. pan-e(m) ‘pane’ come ho mostrato
nell’articolo La panonda […][7].
Un impasto è la stessa cosa di un intreccio, una giustapposizione, un agglomerato,
ecc. come abbiamo visto con gr. teîkh-os
‘muro’. Quindi il paniere, all’origine,
valeva solo ‘cestello’. L’italiano pannocchia dal lat. panu-cula(m), pani-cula(m)
‘pannocchia di miglio’ fa riferimento ai chicchi serrati insieme a formare la spiga di miglio detta appunto panu(m), termine che significa anche ‘tumore’ in quanto ‘massa,
rigonfiamento’. Il lat. panu(m)
valeva anche ‘gomitolo, filo avvolto, filo di trama’, significati facilmente
riconducibili a quello di ‘intreccio, avvolgimento, ammassamento’ o a quello
simile di tessuto in quanto insieme di fili connessi ad arte. Anche
lo spagn. pan-al ‘favo’
probabilmente indicava l’insieme o agglomerato di celle costruite dalle
api. Naturalmente gli incroci con parole
simili nell’aspetto sono sempre dietro l’angolo.
Finalmente
si può dare una spiegazione a mio avviso credibile dell ‘it. compagno, da non intendere come ‘colui
col quale si condivide il pane’ ma come ‘colui col quale si è in stretti e armoniosi rapporti, amico,
socio’. Dall’idea di “adattamento,
rapporto, accordo” si sviluppa anche quella di “piacevolezza, godimento”: il
citato gr. ar-ar-ísk-ein significa infatti anche ‘riuscire piacevole,
piacere’ come il verbo corradicale gr. ar-ésk-ein ‘piacere, essere caro, conciliarsi, ecc.”. Del resto anche il ted. Ge-nosse ‘compagno,
consorte’ ha la stessa radice di ted. Ge-niess-en ‘godimento’. Non ne conosco l’etimo ma sotto deve esserci un
significato più concreto e diretto di quello di ‘godimento’.
Mi
pare molto sostenibile che anche la radice gr. pan- ‘tutto’ abbia a che
fare con questa idea della “connessione delle parti, unione”. Una parola come gr. pan-égyris ‘adunanza (-égyris)
di tutto (pan-) il popolo’ va
spiegata a mio avviso tautologicamente (come moltisime altre parole greche)
dando a pan- il valore di ‘riunione,
folla’. Lo stesso rapporto si scorge fra lat. totu(m) ‘tutto’ e il termine italico touta che indicava la
‘comunità’ o la ‘città’.
Tornando alla radice card- non
si può passare sotto silenzio quella che a me appare come una vera e propria chicca. Il gr. khárt-es ‘foglio di papiro, carta’ fa
riferimento alla struttura stessa del foglio che era composto di listelli di
papiro pressati e incollati insieme in senso verticale, rafforzati da un altro
insieme di listelli incollati orizzontalmente ad essi in modo da formare un
vero e proprio intreccio o una sorta di graticola.
I vari fogli venivano incollati insieme a formare il rotolo di papiro[8]. Il foglio veniva indicato anche dall’altro
termine sel-ís, -ídos imparentato con gr. sél-ma ‘travatura, impalcatura, ponte delle navi, banco dei rematori’,
significati che indicano vere e proprie strutture,
composizioni. Questa radice illumina una serie di altri termini fra i quali
mi pare risalti il ted. Ge-selle ‘compagno, socio’ che non
trova la sua spiegazione in ‘uno che divide la camera con un altro’
dall’a.a.ted. gi-sellio il cui secondo membro viene collegato all’a.a.ted. sal
‘sala, stanza’, ma c’è da sottolineare che le case dei Germani erano di legno e
quindi costituite di travi e tavole interconnesse. Anche oggi esistono nel
mondo germanico le Fachwerkhaüser, case con struttura portante (Fachwerk-) in legno. Il lat. sella(m) ‘panca, sella, sedile, ecc.’
molto difficilmente deriva da forme come ingl. sadd-le ‘sella’, ted. Satt-el ‘sella’ da un originario *sedla con la radice del lat. sed-ere ’sedere’, perché si possono
individuare diversi termini latini con la radice sol-, variante di sel-,
come lat. con-sol-ari ‘confortare’ nel senso di rendere solido, saldo alla stessa
stregua di elementi ben connessi di un tutto. Direi che anche lat. soliu(m) ’seggio, trono’[9] è della
stessa famiglia, non derivante da un originario *sodiu(m) come pensano i linguisti perché ignari di questo valore di
‘solidità, connessione, affiatamento’ dell’altra radice sel,sol che rispunta nel lat. con-sili-u(m) ‘consiglio, riunione,
seduta’, una assemblea, insomma, per cercare un accordo sui problemi della comunità. Pertanto anche il lat. con-sul-e(m)
mi pare legato a filo doppio a questa radice, perché un console non era mai
solo, avendo sempre un collega con
cui doveva cercare di mettersi d’accordo
per applicarsi a risolvere le gravi
incombenze a loro riservate. E il
termine fr. con-sole (diffuso anche altrove) ‘tavolo a muro’ dove lo mettiamo?
Esso mi sembra uno di quelli che può dare la stoccata finale a chi disdegna il
mio ragionamento. Ma bisogna ricordare
anche il termine lat. sol(l)-ertia(m) ‘ingegnosità, abilità, destrezza, astuzia, malizia’ (il
sign. è alquanto diverso dall’it. solerzia)
composto da lat. soll-u(m) ‘tutto’ e
lat. arte(m). Ma il sign. originario
di soll-u(m) doveva essere qui uguale a quello originario
di lat. art-e(m), cioè composto o fattura che richiedeva ingegno e abilità. Buon ultimo, il lat. sell-aria ‘sala, salotto’ non poteva essere chiamato così perché vi fossero
le sedie, ma perché esso era, come abbiamo detto più sopra, una struttura, non importa se in legno o in
muratura! In greco si ha sól-os ‘globo, cilindro, massa compatta,
massa’ che non disdegna affatto questa compagnia: eppure dal vocabolario di W. Gemoll è considerato di etimologia oscura!
In latino il foglio era chiamato pagina(m),
anch’essa espressione di un’idea di “incollaggio” come abbiamo visto
nell’articolo La panonda[…][10] . Per la
verità esisteva anche il termine plag-ula(m) ‘pagina’ che viene collegato al gr. plák-s ‘ogni superficie piana, tavola, plaga’ che in latino
è plaga(m) ’zona, regione, plaga’. Ma
in latino esiste anche il termine plaga(m)
‘rete, laccio’ che ci riporta al concetto di ‘incrocio, intreccio’ espresso anche
dalla radice di gr. plék-o ‘tesso,
intreccio’, gr. plók-os ‘riccio, treccia, ghirlanda,
catena’. Potrebbe trattarsi, quindi, di un normale sovrapporsi del sign. di
‘superficie piana, lastra’ su quello originario di ‘intreccio, incollatura’. La
stessa oscillazione tra il concetto di “intreccio” e quello di ‘superficie
piana’ si riscontra nell’ingl. flake
‘palizzata, graticcio, rastrelliera, scaglia, falda (di neve)’ che fa il paio
con l’agg. ted. flach ‘piatto’. In verità anche la falda, se si fa attenzione alla radice di ted. falt-en ‘piegare’e ingl. fold ’piegare’, tiene anche del
concetto di “intreccio” che rispunta in diverse parole come ingl. flock ‘fiocco, bioccolo’ ma anche ‘
folla, armento, stormo’, ingl. flax
‘lino’ che possono alludere indifferentemente, a mio avviso, al ted. flecht-en ‘intrecciare, intessere’ o al lat. plect-ere’intrecciare’, visto che anche
il latino in questo caso oscilla con la forma parallela flect-ere ‘piegare, torcere, ecc.’ e mette in difficoltà le norme
canoniche della rotazione consonantica.
L’ingl. flax ‘lino’, inoltre,
a me sembra da accostare all’it. f(i)l-accia’,
apparentemente un peggiorativo di it. filo.
Ma basta rifletterci solo un po’ per rimanere stupiti del significato che
esso anche ha di ‘legnolo’ (oltre a quello di ‘insieme di fili sfilacciati’),
cioè di fibre di lino attorcigliate
costituenti le gomene delle navi, che ora sono metalliche. Il lat. flocc-u(m) ‘fiocco’ naturalmente trova tra questi termini il suo luogo
naturale. Nei nostri dialetti d’Abruzzo
e del meridione si incontrano qua e là le voci fiètta o fletta col
significato fondamentale di ‘intreccio’ (filza di cipolle, agli, sorbe, fichi
secchi,ecc.). Nel mio paese di Aielli
con fiètta si indicava l’intera
salsiccia, appesa con arte insieme alle altre in una pertica agganciata al
soffitto della cucina, in modo da assumere la forma di una sorta di treccia a
larga maglia.
Ognuno sa che il lat. hort-u(m) ‘orto’ è messo in rapporto col ted. Gart-en ‘giardino’, ingl.gard-en ‘giardino’, ingl. yard ‘cortile’ attraverso il concetto di
“recinto”. Si tratta a mio parere sempre di “rotondità”, concetto connesso con
quello di “gruppo, cumulo, tesoro, massa” come si può capire dal ted. Hort ‘cumulo, mucchio, gruzzolo, asilo
infantile’ (cfr. ingl. hoard
’gruzzolo’), anche se la -H- iniziale
è diversa dalla –G- di ted. Garten.
Ma c’erano certamente delle varianti nel supposto indoeuropeo comune come si
può desumere anche dal lat. hortu(m) ‘orto’
e dal termine latino simile, per il concetto di “rotondità”, cort-ina(m) ‘caldaia, spazio circolare,
circolo di uditori’. Il ted. Hort
significa anche ‘culla’ riallacciandosi così all’ingl. cradle ‘culla’ di cui sopra e togliendo ogni dubbio sulla natura
della radice. Il lat. co-hort-e(m) ‘recinto, cortile, turba,
folla, coorte (decima parte di una legione)’ rivela i due significati connessi
di ‘recinto’ e ‘gruppo, massa’. E’
appena il caso di far notare che anche il lat. legion-e(m) ‘legione’ si
connette con lat. lĕg-ere ‘raccogliere’. Il ted. Herde
‘gregge’, ingl. herd ‘gregge,
mandria’ naturalmente confermano sempre lo stesso assunto, insieme all’ingl. crowd (a.ingl. crod) ‘folla, moltitudine, compagnia’.
Le parole it. concertare, concerto, che non mi pare accettabile
far derivare dal lat. con-cert-are ‘combattere, contendere,
gareggiare’, debbono trarre origine dall’etimo stesso di lat. cert-are ‘combattere’ se inteso in un certo
modo. Il tardo lat. con-cert-are significava già
‘collaborare’[11]. Visto poi che in lat. l’espressione conserere pugnam significava ‘attaccare
battaglia – letter. ‘intrecciare battaglia’ è molto convincente sostenere che,
all’origine, questa radice cert- fosse la stessa dell’ingl. herd
‘gregge’ e indicasse con cert-are ‘combattere’ proprio l’intrecciarsi
(ostile) delle mani, delle armi, e dei corpi dei combattenti! Di conseguenza
anche l’agg. lat. con-cord-e(m) ’concorde, armonico’
doveva avere questo significato già prima che si incrociasse con lat. cord-e(m) ‘cuore’! Naturalmente non è chi non veda la somiglianza di questa radice a quella sopra esaminata di cred-ere.
L’italiano mobilio (anche mobilia) è sospetto, nel senso che
probabilmente non è una derivazione dall’agg. lat. mobile(m) ‘mobile’ come sembra assodato. In inglese si incontra mop ‘scopa di filacce, massa di capelli,
zazzera’, tutti significati che rimandano all’idea di ‘mucchio, ammasso’; nel
dialetto scozzese moop vale ‘tener
compagnia, associarsi strettamente’[12]; ancora
in inglese mob significa
’associazione criminale, mafia, plebaglia’ ma anche, soprattutto in Australia,
‘gregge’: il mobile è per eccellenza
un complesso di parti interconnesse.
Ho letto in alcuni vocabolari sardi la curiosa espressione segai is trastus ‘rompere gli accordi’,
ma letteralmente ‘rompere (segai) i
mobili (trastus)’. Nonostante il
fatto che nessuno dei linguisti sardi, che io sappia, si azzarda a darne una
spiegazione, io sono certissimo che dietro il termine trastus ‘mobili’ si nasconde proprio il significato di ‘patti,
accordi’ i quali non sono altro, come abbiamo visto per gr. harmonía ‘armonia, patto’, un armoniosa corrispondenza tra le
parti, come quella da cui dipende l’esistenza di un mobile. In spagnolo trasto sta sia per ‘mobile’ che per ‘strumento, arnese, trabiccolo’.
Si potrebbe pensare, all’origine dell’espressione sarda, ad un termine simile
al got. trausti ‘accordo, patto’,
ingl. trust ‘fede, fiducia’ o ‘grande
gruppo di compagnie’.
Riconfermo con forza che gli etimi sono più facili da trovare con questo
mio metodo interpretativo, visto che essi in genere indicano direttamente la
natura del referente stesso. Un mobile
è tale non perché si può spostare,
come vuole il significato di superficie, ma perché è un composto: basta trovare una radice, simile formalmente a mobile ma col significato di ‘composto’,
e il gioco è fatto.
Sarei molto contento se qualche illustre linguista avesse la compiacenza e l’umiltà di abbassarsi alla
mia altezza e mi facesse capire dove il mio ragionamento è debole correggendolo
in qualche punto. In modo che mi metta l’animo in pace. Ma credo, purtroppo, di
dover attendere secoli!
[1] Cfr. G. Devoto, Dizionario etimologico,, Felice Le
Monnier, Firenze 1968.
[2] Cfr.G. Devoto, cit., s. v. armento
[3] Cfr. M. Cortelazzo- P.
Zolli, Dizionario etimologico della
lingua italiana, Zanichelli Bologna, 2004, s. v. leggere.
[4] Per l’idea di fede, che mi pare legata al concetto di “stretto
legame”, si veda l’articolo Parole illuminanti
del dialetto di Scanno (marzo 2011) presente nel mio blog.
[5] In tutto l’altopiano di
Abbasanta (Sardegna) la voce mura
indica il ‘nuraghe’. Il linguista M.
Pittau collega giustamente mura al
lat. muru(m) ‘muro’ e sostiene che
queste parole siano da confrontare -non derivare- con una radice etrusca. Cfr. sito web www.pittau.it/Sardo/nurache_etimologia.html
[6] Mi riprometto di trattare in altro articolo
il rapporto ambiguo tra il “tutto, unità” e la “parte”. Del resto la sovrapposizione dei due
significati di ‘massa’ e ‘parte’
avveniva già nelle lingue semitiche della Mesopotamia, come in accadico mēru ‘parte del corpo umano’ e
accadico merû ‘ingrassamento, gravidanza’.
[9] Il laconico hellá ’sella’ dimostra in qualche modo che la forma sella circolava da moltissimo tempo, a mio parere gia separata
dall’origine dall’altra forma *sedla.
[10] Cfr. il mio blog, febbraio
2014.
[11] Cfr. vocab. Merriam-Webster, s. v. concert.
[12] Cfr. Vocab. Merriam-Webster, s.v. moop.
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