Il vocabolo panonda, con i suoi annessi panόgnё ‘ungere’ e panùndё ‘unto (part.pass.)’, è diffusissimo nei dialetti abruzzesi
e almeno in quelli delle regioni limitrofe (Lazio, Umbria, Marche). Dai linguisti viene sbrigativamente spiegato
col suo apparente significato di superficie ‘pane unto’, ma la cosa è molto più
complicata di quello che sembra, anche perché il genere femm. del termine mal
si adatta al maschile di it. pane il
quale avrebbe dovuto dare un sostantivo maschile come panundë, panë undë effettivamente presenti nei
dialetti e corrispondenti al tosc.
panunto. Conoscendo le sottili insidie
tese spesso dai vocaboli, ho pensato che sotto questo termine si sarebbe potuto
ben camuffare un composto tautologico di due membri. Esiste del resto il verbo semplice όgnё ‘ungere’ che ha lo stesso
significato di pan-ógnë ‘ungere’,
anche nel senso figurato di ‘corrompere qualcuno con regali vari per ottenere
vantaggi economici’.
Il dubbio da me
nutrito si è rafforzato quando ho incontrato nel Vocabolario abruzzese del
Bielli il lemma ‘mbanë ‘bozzima’,
cioè una specie di colla con cui si
ammorbidivano un tempo i fili dell’ordito nell’arte della tessitura. Il Bielli riporta anche la frase Pëparulë ‘nchë la ‘mbanë
con la spiegazione « Peperoni secchi rinverditi, tuffati nella farina
spenta nell’acqua e poi fritti in padella».
Da ciò si capisce che questa ‘mbane era un impasto di acqua e farina, una sorta di colla, di miscuglio appiccicaticcio che può dare
ragione del significato del primo membro del citato pan-όgnё, come avevo supposto.
La voce ‘mbane proviene da un
precedente *in-pane, *im-pane con
normale sonorizzazione, nei dialetti abruzzesi, della occlusiva labiale sorda –p- dopo una nasale.
Il significato
del termine in questione panonda deve
essere allora il risultato di un’azione che, vedi caso, è espressa anche dal termine
italiano pane. E’ proprio così!!! giacchè
quello che chiamiamo pane è
sostanzialmente il risultato di un impasto
di farina ed acqua, cotto
successivamente al forno. Per questo debbo credere che l’etimo
solitamente proposto per pane, cioè
il lat. pasci ‘pascolare, nutrire’
esprime un significato che solo attraverso una riflessione razionale viene a sfiorare
il pane il quale invece, già dalle
mani delle massaie preistoriche, veniva plasmato in forme più o meno
rotondeggianti da un impasto,
appunto, di acqua e farina preparato precedentemente, e pertanto dovette essere
nominato come tale. Le mie etimologie generalmente si distinguono da quelle
correnti proprio per questa caratteristica di stabilire un contatto più stretto
e diretto con il referente. L’etimo di pane, allora, mi pare possa essere
individuato nella radice del greco páss-ein ‘impastare’ presente nel gr. past-ái[1] ‘farina con
salsa’, da cui il tardo lat. pasta(m)
‘pasta’: bisogna pensare, per pane,
ad un originario supposto lat.*past-nis> *pas-nis >pan-is.
Il toscano pan-iccia ‘massa liquida densa, poltiglia’
deve essere pertanto considerato ampliamento di pane nel senso etimologico di ‘impasto’ e non derivato da lat. panicu(m)
‘panìco’.
Altro termine
che sembra rafforzare il mio punto di vista su questa questione è l’abruzzese panettë (vocab. del Bielli) ‘strato di
sudiciume nericcio che si forma sul capo dei neonati’, cioè una sorta di
impasto di sporcizia untuosa: cfr. fr. panne
‘sugna, grasso’. Anche l’it. panna (ant. pana), prima di incrociarsi con panno
ed assumere così il significato specializzato di ‘velo di grasso che copre il
latte’, aveva il solo significato di ‘grasso’ e simili.
La voce
aiellese e di altri paesi crёst-όnda ‘pane abbrustolito unto con olio ed una passatina di aglio’ non va intesa come ‘crosta unta’ perché inizialmente
il primo membro doveva essere tautologico rispetto al secondo e rimandava al gr.
khrist-όs ‘unto’, gr. khrîsma ‘unguento, grasso,
intonaco, calcina’: gli ultimi due significati reintroducono quello di
‘impasto’. L’elemento
-onda potrebbe richiamare il plur. neutro del sostantivo lat. unctu(m) ‘unguento, pietanza ben
condita, lauto pranzo’[2].
Ampliamento del
termine lat. pane (anche panis) inteso come ‘impasto, colla’ potrebbe
essere un latino *panea(m), all’origine
dell’it. pania. Viene a cadere, pertanto, l’etimologia che
riporta pania al lat. pagina(m)
‘pergola a spalliera’ attraverso lenizione totale della velare –g- e metatesi paina>pania.
Costituirebbe invero un ostacolo per questa etimologia anche il senso supposto
di ‘bastoncino invischiato’ e quindi ‘vischio’ dato al lat. pag-ina(m)[3]: è un
processo troppo elaborato e un po’ forzato, suggerito dalla presenza del
toscano pag-ella ‘pania’, la
quale sì che è da ricondurre alla radice suddetta, ben presente in latino, ma col
significato di gr. pég-nu-mi, dorico pág-nu-mi ‘fissare, attaccare,
coagulare’, funzione essenziale svolta da ogni tipo di colla: cfr. lat. com-pag-e(m),
com-pag-ine(m) ‘compagine,
unione’[4]. A pensarci bene, però, anche il sopracitato
it. pania potrebbe essere un derivato
del lat. pagina(m) ma col significato
non attestato per questo termine, uguale a quello di tosc. pagella ‘pania’ e simile a quello di lat. pagin-are ‘connettere, mettere insieme’. La paella,
tipico piatto spagnolo costituito da riso mescolato a vari altri alimenti
come brodo, carne, pesce, verdure, ecc., penso possa derivare da una originaria
*pa(g)ella col signif. di ‘miscuglio’, piuttosto
che provenire da lat. pa(t)ella(m)’padella’.
Anche il gr. árt-os ‘pane, cibo’, dalla radice ar
di lat. art-e(m) ‘arte’,
richiama l’idea del “congiungere, unire, preparare” mostrando lo stesso
significato di fondo del lat. pane(m)
‘pane’.
[1] Cfr.
M. Cortelazzo/ P. Zolli, l’Etimologico minore (DELI), Zanichelli editore s.p.a., Bologna
2004, s. v. pasta.
[2] La presenza di gr. khrist-ós ‘unto’ nel primo membro di crëst-onda è stata notata, indipendentemente
da me, anche da F. Zazzara di Pescina-Aq, uno degli autori del libro Marsi, tipogr. Renzo Palozzi, Marino-Rm,
p.20, par.5.
[3] Cfr.
M. Cortelazzo/ P. Zolli, l’Etimol.
cit., s. v. pania. Cfr. anche G.
Devoto, Avviamento alla etimologia
italiana, Felice le Monnier, Firenze 1968, s. v. pania.
[4] In
Lucrezio, 6, 1071, il plur. com-pag-es vale ‘incollatura, presa’. Il lat. pagina(m)
‘foglio di papiro, pagina, lastra, filare di viti rettangolare’ credo si
riallacci a questo significato fondamentale di ‘connettere’ espresso dalla
radice
pag-. Il rotolo di papiro era composto di diversi fogli incollati
insieme e sottoposti a pressione. Il foglio, a sua volta, era formato da strisce
di papiro incollate insieme. Il
risultato era appunto un struttura piatta costituita di elementi ben
connessi insieme. La radice aveva anche
il significato un po’ diverso di ‘ficcare, piantare’ da cui il sign. di
‘scrivere’ di lat. pang-ere (la radice pag-
qui presenta l’infisso nasale –n-)
e di lat. pag-in-are con riferimento magari allo stilo che incideva le
lettere sulla cera delle tavolette per scrivere. A mio avviso non è quindi il pergolato a filari rettangolari
l’origine del sign. di pagina ma,
semmai, è il sign. di ‘struttura (piatta)’ che ha originato gli altri due. Il gr. sel-ís, -ídos ‘pagina, lista, colonna di scrittura, scrittura, banco
dei rematori’ conferma il mio ragionamento: cfr. gr. sél-ma ‘travatura, impalcatura, ponte delle navi, banco dei
rematori’.
La Lingua, comunque, è piena di risorse. L’idea di “scrittura” espressa da questa
radice poteva farsi strada anche attraverso quella di “connessione,
commettitura, composizione” in riferimento alle lettere che compongono
le parole e alle parole stesse che compongono
qualsiasi testo scritto.
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