Fino a qualche tempo fa non avrei mai creduto che l’etimo accettato da forse tutti i linguisti per l’it. soldato fosse, contrariamente all’apparenza, falso: il termine sarebbe legato, secondo loro, al soldo sborsato o da Signori medievali per il mantenimento di proprie milizie mercenarie o da uno Stato. Ma il rapporto che nei precedenti articoli abbiamo visto operante tra i vari concetti di impasto, fango, creta, poltiglia, miscuglio, confusione, massa, folla, mucchio, branco, agglomerato, elemento dell’agglomerato, muro, connessione, articolazione, ecc. mi induce a cancellare con un fregaccio quanto è stato scritto finora su di esso.
La questione sta in questi termini.
Nel dialetto abruzzese si incontrano la strana voce sóldrë ‘terra figulina usata dal vasaio’ e la
variante suldru ‘marna
argilloso-calcarea’ che fanno riferimento a varietà di quella che più comunemente
è nota come creta o argilla.
Abruzzese è anche il termine sóldrë
uguale al primo, ma col significato apparentemente inconciliabile con esso di
‘moltitudine di persone o di bestie’[1]. In inglese con il vocabolo soldier ‘soldato’, proveniente dall’a.
fr. souldiour, soudier ‘soldato’, si designa, guarda caso, anche un mattone di un muro a cortina che ci riconduce
all’idea di “impasto, creta” non solo perché un mattone è il prodotto di un impasto, ma soprattutto perché esso, in
questo caso, costituisce uno dei diversi elementi cementati insieme, a formare
un solido gruppo, un muro a cortina,
appunto. Anche ad Agnone-Is la voce soldra torna a significare ‘calca di
gente o di animali’ riconfermando così il valore di ‘insieme di elementi giustapposti
o stretti tra loro’, valore che si ripropone sotto la specie della connessione nel portoghese soldra ‘garretto’, che è l’articolazione tra tibia e tarso nella
zampa posteriore dei quadrupedi. Ma la
testimonianza più bella, a favore di questa interpretazione, ci viene nientemeno
che da Cesare, il quale nel De Bello Gallico parla di coloro che, con termine
celtico latinizzato, erano chiamati soldurii[2],
soldati che costituivano una sorta di milizia scelta di ogni capo, fedelissimi fino alla morte. Non si può credere che costoro avessero avuto
un tal nome per il fatto di ricevere il soldo
dal loro capo, ma verosimilmente per esserne i compagni fedeli, cioè legati
a lui con vincolo indissolubile, indipendentemente dai favori che potevano
ottenerne[3].
Da
quanto detto deriva la concreta possibilità che l’etimo di it. soldato alluda al fatto che il termine,
prima di essere risucchiato dal verbo soldare=assoldare,
indicasse chi veniva semplicemente reclutato
o aggregato ad un esercito, come aggiunto o unito ad esso, indipendentemente dalla paga che poteva ricevere o
meno. Il soldato in quanto elemento di una moltitudine di altri elementi che
formano appunto un esercito, un’armata e cioè un insieme a cui va a saldarsi il sodato semplice[4]. Difatti è noto che il verbo saldare (cfr. ingl. solder ‘saldare’) è un denominativo dall’aggettivo it. saldo, a sua volta variante
dell’agg. lat. sol(i)d-u(m) ‘solido,saldo’, il quale andava a formare, nel latino
tardo, anche il sostantivo sol(i)d-u(m) ‘moneta (d’oro massiccio)’ da cui è derivato l’it. soldo. La sovrapposizione, quindi, dei
due significati di saldare e soldare=assoldare era inevitabile, a tutto
favore di quest’ultimo, molto più consono e appropriato per indicare un
presunto mercenario. Il verbo saldare
si specializzò in effetti in senso tecnico ad indicare la fusione di due o più
elementi metallici o mantenne il senso generico di ‘unire le parti per formare un
tutto’ senza possibilità di essere riferito alla formazione o composizione di un
esercito, una volta che questa funzione era stata assorbita e metabolizzata dal
verbo soldare=assoldare.
Per
lo stesso it. esercito < lat. ex-erc-itu(m)
mi pare che non si senta nemmeno una voce fuori dal coro nella spiegazione del
suo etimo, unanimemente ricollegato al comodo part. pass. ex-erc-itu(m) del verbo
lat. ex-erc-ēre ‘esercitare’: l’esercito sarebbe, quindi, un insieme di
truppe ben addestrate e l’etimo parrebbe
così di essere dentro una botte di ferro.
Senonchè qualcosa che stride c’è nella definizione, perché la Lingua è
solita riferirsi non a questa o quella caratteristica del referente, per
indicarlo, ma solo alla sua natura nuda e cruda, la quale qui deve corrispondere
all’insieme o al gran numero dei soldati che costituiscono l’esercito. Anzi, ora siamo ben consapevoli che questo
tipo di termine non dové nascere per indicare solo l’esercito ma qualsiasi altro
gruppo di cose o animali o uomini,
come è avvenuto per la radice di soldra
sopra analizzata. Tutti i termini di una
lingua nascondono un significato genericissimo. Ormai questo principio è per me
assodato, e pertanto non mi posso contentare di una interpretazione purchessìa,
magari a portata di mano e apparentemente inconfutabile, se questo principio
non viene rispettato.
Ora,
per affrontare in maniera diversa il problema etimologico di it. esercito, bisogna, a mio avviso, partire
da termini come l’abr. sergi ‘selci’
oppure ’frutti del gelso’[5]. Sappiamo che questo frutto, altrove chiamato mora, è costituito da un insieme di acheni ben serrati tra loro.
Come il termine mora (con la variante
morra) ricorre moltissimo nei nostri
dialetti ed altrove a designare referenti legati al concetto di “gruppo o
insieme”, così è altrettanto verisimile che questo termine sergio di Castellafiume-Aq (cfr.
sergë ‘selce’ a Luco dei Marsi) poteva
prestarsi a svolgere la stessa funzione.
Infatti il sergiato in quel dialetto
corrisponde all’it. selciato, cioè un
pavimento formato da un insieme di pietre (da lat. silic-em ‘pietra’). A questo punto, però, sembrerebbe che mi stia
infilando in una strettoia pericolosa, quella rappresentata dal fatto che la
forma dialettale sergio ‘mora’
potrebbe senza sforzo essere un derivato di it. selce, con il normale passaggio di –l- a –r-. Ma la mia stella polare mi guida verso la
considerazione che la voce sergio
‘mora’ non può essere una metafora di selce
dovendo essa nascondere a tutti i costi un’idea di insieme, non importa se di pietre o di qualsiasi altra cosa. L’it. selciato,
il castellitto[6] sergiato, l’aiellese sargiata indicano sì un insieme,
ma solo di pietre, e quindi anche
questi termini non ce la raccontano giusta per quanto attiene al loro etimo, e
potrebbe quindi trattarsi di una reinterpretazione di questa base generica serg-, sarg-, specializzatasi ad
indicare una pavimentazione di pietre solo
in virtù dell’incrocio col termine selce.
Il
fatto è che si incontrano svariati termini ricollegabili alla radice sarg-, serg-, sarc-,serc- col valore di fondo riconducibile a quello di
‘connessione, unione’ a cominciare dal lat. sarc-ire
‘rammendare, riparare, risarcire’, da un sign. precedente di ‘ricucire’ (cfr.
lat. sarci-men ’cucitura’). L’it. tecn. serg-ente (dial. anche sarg-ente) è in carpenteria un morsetto
per tenere unite tavole appena incollate;
sarc-ënalë nel dialetto lucano di
Gallichio-Pz è una ‘trave sottoposta trasversalmente ad altre’ a formare una trama solida per sostenere il soffitto[7],
come se si trattasse di fili collegati ad arte tra loro a formare un tessuto,
un panno, come ad es. la sargia (ant.fr.
sarge) usata nei tendaggi, fr. serge ‘sargia’[8].
Il
lat. sarc-ina(m) ‘bagaglio, soma, mobilio’ dà
chiaramente l’idea di qualcosa messo insieme, ammucchiato, involto se si pone
attenzione al significato generico della radice (cioè connessione) e a quello di mobilio,
insieme di mobili costituiti ciascuno da più parti interconnesse. Del resto conferma tutto ciò l’abr. sarc-ënèllë ‘fastello di piccole legne, di
tralci’. Queste osservazioni
permettono, secondo me, di addivenire finalmente ad un etimo accettabile per l’it.
sarac-in-esca. La seconda –a- del primo membro sarac- deve essere un’inserzione
anaptittica generata dall’incrocio col termine saraceno, di ascendenza greco-latina. Quindi
la sua forma originaria doveva essere *sarc-in-esca. I Saraceni, le cui incursioni nelle zone costiere,
avrebbero indotto nel medioevo —come si favoleggia— gli abitanti a chiudere le porte dei loro
paesi con questo tipo di serramento magari in uso presso quella gente, in
realtà non c’entrano niente. Basta
guardare come erano fatte le più antiche saracinesche che chiudevano l’accesso
a paesi e castelli: un cancello di
sbarre di ferro o tronchi intrecciati insieme che veniva calato dall’alto. Una vera e propria struttura rientrante nel concetto di “connessione, assemblaggio”,
per non parlare delle serrande avvolgibili composte da più elementi
giustapposti.
Così
stando le cose non è certamente fantascientifico supporre che il lat. ex-erc-itu(m)
’esercito’ non ha rapporti diretti col lat. ex-erc-ere ‘esercitare’ (dalla prep. ex ‘fuori da’ + arc-ere ‘mettere in movimento’) ma che esso sia una normale
reinterpretazione di una base originaria
*ex-sarc-ire
‘mettere insieme, raggruppare, ammassare’ incrociatasi con ex-erc-ere ‘esercitare’. Il verbo ex-sarc-ire (anche ex-serc-ire)
esiste davvero in latino ma solo col significato di ‘compensare, risarcire’,
perché il sign. originario di raccogliere,
unire era evidentemente caduto in
disuso.
Di it.
armata (ingl. army, fr. armée) e della
sua parentela col gr. hárma, hármat-os
‘carro’ abbiamo già parlato nell’articolo Il
termine “armento” […] e pertanto non arriccerei tanto il naso nell’attuare
un simile collegamento tra il ted. Heer
‘esercito’, got. harjis ‘esercito’,
a. norreno herr ‘esercito’, a. pers. kara ‘esercito’ e ingl. car ‘vettura’, ingl. cart ‘carro’, ingl. cradle ‘culla’, lat. carru(m)
‘carro’, lat. car-pentu(m) ‘cocchio,
carro’ per il cui secondo membro additerei l’ingl. pent-house ‘tettoia spiovente, attaccata
ad una parete, piccolo fabbricato annesso,
attico’[9]. Altre radici inglesi che fanno parte di
questo gruppo sono, a mio avviso, l’obsoleto harr
‘cardine’ (in quanto fissato sullo
stipite ma soprattutto in quanto perno,
articolazione intorno a cui girano cancelli, porte e finestre) ed heer, matassa di circa 600 iarde, usata anticamente come unità di misura.
La matassa è un insieme ordinato di fili
che però nel linguaggio cosiddetto figurato assume il significato di ammasso intricato. Comunque l’uso di questa radice per indicare
il gran numero di soldati componenti
un esercito andrebbe a pennello. Sappiamo che essa (hair) corrisponde a quella che in inglese indica, al sing. collettivo,
l’ insieme dei capelli della testa,
una chioma o capigliatura appunto (oltre 100mila cap.). Un bell’esercito…oh! pardon! un bel numero di
capelli, prima che comincino a cadere!
Con questi nomi, però, bisogna stare attenti. Molto spesso essi nascondono
un incrocio di un termine indicante il singolo capello, in quanto escrescenza, con un altro termine, che
magari proviene dalla stessa radice, ma ha assunto il significato di ‘mucchio,
massa’ e simili.
Per
il gr. strat-ós ‘esercito’,
inteso come ‘(esercito) accampato’ sembra non esserci scampo dal derivarlo,
come fanno tutti, da una radice ster- molto attiva in greco e latino
a cui fanno capo ad es. il part. pass. lat. stra-tu(m) ‘disteso, sdraiato, coperto, cosparso, selciato’, lat. stra-men ‘paglia, lettiera per animali’,
ingl. straw ‘paglia’, lat. stru-ere ‘ammucchiare (a strati), costruire, congiungere, ecc.’, il gr.
stór-ny-mi ‘stendo’. La difficoltà interpretativa si risolve
semplicemente ponendo attenzione al fatto che, se è vero che il sign.
preponderante in queste parole è quello di estensione
in senso orizzontale, è anche vero che il lat. stru-ere indica anche una estensione
in senso verticale, come è chiaro nel lat. stru-em ‘catasta, mucchio’. Allora
è verosimile che il significato originario della radice ster- fosse quello di spinta (non importa in quale direzione) concretizzatosi poi in
quello di accumulo, elevazione da una
parte e di estensione
dall’altra. In quest’ottica un esercito
può essere visto come uno stru-mento nel senso etimologico di struttura,
insieme di parti, moltitudine. L’ingl. straw-berry ‘fragola’, ma letter. ‘bacca (-berry) di paglia (straw-)’,
significato dove la paglia non si sa cosa ci stia a fare, interviene
nella questione con la forza di una sciabolata che taglia la testa al toro
rammentandoci che il frutto della
fragola è composto da un insieme di
acheni come abbiamo visto per it. mora
e castellitto[10] sergio ‘frutto del gelso’.
Concludendo vorrei aggiungere qualcosa su serg-ente di cui sopra. Uno dei
significati antiquati del termine era ‘soldato a piedi, fante’: il significato
di ‘soldato semplice’ si spiegherebbe a
pennello nell’ambito di un termine *sergio
col valore di ‘esercito’ di cui ho parlato sopra. So che i linguisti traggono questo sergente dal fr. ant. serjant ‘servo’, fr. mod. sergent ‘guardia di polizia, sergente’ fatto
discendere dal lat. serv-iente(m), part.
pres. di serv-ire ‘servire’. Ma potrebbe trattarsi solo di varianti perché
anche il lat. serv-u(m), che sta
per ser-u-u(m), credo avesse il sign.
originario di ‘legato, soggetto ad
una famiglia, un padrone’ dalla radice di lat. ser-ere ‘intrecciare, legare’. Questo significato risulta evidente in voci
dialettali abr. come sèrvë ‘treppiede’, sèrva
‘fattorino per poggiare la punta dello spiede’, serv-éttë ’specie di treppiede’[11]. Ho lasciato le definizioni un po’ antiquate o
toscaneggianti del Bielli. Questi termini non trovano banalmente la loro
origine nel fatto che servono a
qualche cosa, ma nel loro essere stru-menti,
cioè arnesi composti di parti, congegni, strutture. Naturalmente questo significato si incrocia poi
con quello di ‘servire’, assunto dalla stessa radice. Lo dimostra senza ombra
di dubbio, a mio avviso, la coppia servitórë
‘domestico’ e servitórë ‘fattorino
per poggiare la punta dello spiede’ che compare nello stesso vocabolario. Nel
dialetto di Trasacco-Aq la voce servitórë,
oltre ad indicare il treppiede, si
riferisce ad una forchetta di legno a due rebbi (generatasi dal biforcamento d’un ramo) che serve a tenere saldo sul terreno, dove è stato
interrato, il tralcio della vite usato per la propagginazione, prima che esso
metta delle radici e venga reciso dalla vite madre[12].
È impossibile che i contadini abbiano usato anticamente questo nome col
significato di ‘servo’: qui emerge appieno il valore originario di fermaglio,
gancio
e simili che riconduce direttamente a quello di ‘legaccio, legame, legante, fissaggio,
fissatore, ecc.’. Ugualmente i falegnami
e i carpentieri non ricorsero alla figura del sergente per chiamare i loro morsetti,
come abbiamo visto. Interessante anche la voce abr. sèrrë ‘catasta, mucchio
di forma allungata’ che rimanda sempre alla radice di lat. ser-ere ‘concatenare, intrecciare’ e di seri-es ‘serie, successione’, ma bisogna ricordarsi che il processo di espansione o accumulo può avvenire non soltanto in senso orizzontale. Infatti nel dialetto di Gallicchio-Pz la
stessa voce sèrrë significa ‘serra,
monticello, poggio, collina’. E’ superfluo sottolineare che la voce serra, ricorrente in Italia come oronimo
ed appellativo geografico col valore di ‘altura, monte’, non è da collegare
direttamente, come invece si fa, al lat. serra(m)
‘sega’ per un presunto profilo dentellato della cima dell’altura indicata, che
però a volte può veramente esserci, confondendo le menti di noi poveri uomini.
A me pare che il termine contenga insieme i due significati di ‘altura
(estensione verticale)’ e di ‘successione di alture, catena montuosa
(estensione orizzontale)’ come nello spagn. sierra
‘catena montuosa’ da rapportare alla radice di lat. seri-e(m) e lat. ser-ere di cui sopra.
Le
cosiddette mura serviane[13]
(lat. murus Servii Tullii ‘muro di Servio Tullio’) di Roma
antica, attribuite a Servio Tullio, 6° re della città (metà VI sec. a.C.), ma
in realtà di poco preesistenti a lui, secondo gli storici, sotto forma di
terrapieni alternati a vere e proprie mura
di tufo friabile, potrebbero trarre il nome da un termine del latino
preistorico come ad es. *servum o *servium col significato di ‘muro’ e
collegabile alla radice ser- di cui
si discute, che ben si adatterebbe ad indicare la connessione ad incastro dei blocchi della struttura[14]. Il got. sarwa significa ‘armatura, armi’,
l’a.norr. sörvi vale ‘collana di perle’: concetti che, come abbiamo visto
negli articoli precedenti, si riferiscono ai vari elementi di cui i referenti sono composti. L’espressione it. di con-serva
‘in gruppo, insieme, d’accordo’, catal. en
con-serva, ci fa capire che l’it.
con-serva non è così nominata perché viene conservata ma perchè essa è una
sorta di poltiglia, marmellata, miscuglio di frutta varia
che rimanda al signif. di fondo del verbo lat. serv-ire col suo derivato serv-are ‘conservare’. Quest’ultimo significato si è sviluppato da
quello di ‘tener fermo, stabile’. Sèrv-ole sono chiamate in zone dell’Alta
Italia e Svizzera degli insaccati simili ai würstel[15],
costituiti essenzialmente da un impasto finissimo
di carne bovina e suina. Si potrebbe
ricadere nella trappola del servizio
pure per l’ingl. to serve ‘servire’
ma anche ‘copulare’, detto di animale.
Il valore originario della radice nel secondo significato doveva essere
direttamente coito, congiungimento. Un altro servizio
si riscontra nel termine nautico to serve
‘avvolgere una cordicella catramata
intorno alle corde per impedirne l’usura’ ma ora siamo, penso, abbastanza
scaltri per non lasciarci abbindolare da simili imbrogli, constatando che qui
si tratta di ‘attaccare, stringere, annodare’ come avviene per il servitore di Trasacco, più sopra
menzionato, che ha il significato di fondo di ‘fermaglio’!!! C’è poco da fare!
Quando un significato dominante si installa nel nostro cervello, non riusciamo
mai a sloggiarlo completamente da esso. Le parole in questo caso hanno la
tenacia e la testardaggine dei tiranni che preferiscono farsi trucidare piuttosto
che lasciare il loro trono! Ma una cosa è certa. Il contadino di Trasacco e il marinaio
inglese non hanno dovuto attendere il latino dei Romani per apprendere rispettivamente
il termine servitore e il verbo to serve ‘annodare, avvolgere’, perché li
avevano avuti in eredità già dai loro antenati
preistorici! Allo stesso modo il
muratore inglese della preistoria non doveva aspettare nessuno per poter
impastare il suo mattone soldier.
Le
parole precedenti col significato di ‘esercito’ hanno anche un significato
cosiddetto traslato o estensivo di ‘moltitudine, folla, ecc.’
che si sarebbe sviluppato da quello proprio di ‘esercito’. Ma questo è vero
solo al livello superficiale dello strato più recente della lingua, perché
in realtà era stato proprio il significato apparentemente traslato di
‘moltitudine’ ad originare quello specializzato di ‘esercito’ in uno strato
precedente della lingua. Anche il gr. la-ós
e il gr. dêm-os
hanno la duplice valenza di ‘popolo, moltitudine’ e di ‘esercito, schiera’,
oltre a quella di ‘territorio, villaggio’ per dêm-os. Solo la parola armata non ha attualmente in italiano un
significato traslato di ‘moltitudine’, perché gravano troppo su di essa le armi a cui, nella mente del parlante,
sembra alludere che le impediscono di varcare i limiti del significato
militare. Ma nell’ingl. army
‘esercito’ questi limiti sembrano essere stati valicati, forse anche perché la
parola più radicata nella mente del parlante inglese per ‘arma’ è weapon e non arm ‘arma’, retroformazione dal pl. arms ‘armi’, dal lat. pl. arma
‘armi’ attraverso l’antico francese.
[1] Cfr. D. Bielli, Vocabolario Abruzzese, Adelmo Polla
edit., Cerchio-Aq 2004.
[2] Cfr. Cesare, De Bello Gallico III, 22, 1.
[3] Cfr. lat. com-it-es ‘compagni’, nome che ha dato origine
a quello di ‘conti’, i seguaci e collaboratori di un sovrano. Nell’Ottocento il filologo J.Grimm aveva
proposto questo termine soldurii per
spiegare quello di soldato, ma credo
che nessuno lo seguì perché tutti si
lasciavano abbagliare dal termine soldo.
[4] Cfr. lat. greg-ariu(m)
‘soldato semplice’ in quanto parte di un greg-e(m) ‘gregge, moltitudine, schiera (di soldati)’. Un
termine come il ted. Kriegs-heer ‘esercito’, ma letteralmente ‘esercito (-heer) di guerra (Krieg-s)’ è certamente un composto tautologico in cui il primo
componente corrispondeva, all’origine, al lat. greg-e(m) incrociatosi col termine Krieg ’guerra’ con cui forma un composto un po’ forzato o illogico:
è lapalissiano che un esercito serve soprattutto per la guerra.
[5] Cfr. D.Di Nicola, Storia di Castellafiume, Grafiche Di
Censo, Avezzano-Aq 2007, p.223.
[6] L’agg. e sost. castellito si riferiscono al dialetto
di Castellafiume.
[8] Questo etimo è da preferire
a quello comune, secondo cui la parola deriverebbe dal lat. serica ‘stoffe di seta’. Per due motivi. Esso coglie un significato generico che rimanda
all’idea di “tessuto”. D’altronde la
sargia non è di seta, ma di lino o di lana.
[9] Anche l’it. car(r)at-ello finalmente si libera dell’etimo che lo connette
a it. (botte) carrata, perché trasportata dal carro e diventa una bellissima struttura atta, semmai, a contenere il
vino. Cf. ingl. cradle ’culla’.
[10] Vedi nota 6.
[11] Cfr. D. Bielli, cit.
[12] Cfr. Q. Lucarelli, Biabbà Q-Z, Grafiche Di Censo,
Avezzano-Aq 2003 s.v. servitore.
[13] I tratti di mura ancora visibili, come nei
pressi della Stazione Termini, appartengono in realtà a mura costruite con tufo
più resistente e seguendo l’antico tracciato, all’inizio del IV sec. a. C. dopo
il saccheggio della città ad opera dei Galli (390 a. C.).
[14] Il gr. hérk-os, fatto derivare sempre dalla radice di lat. ser-ere ‘intrecciare’, significa ‘recinto, steccato,
muro, cappio, nodo, rete’. Allora mi pare naturale rapportare questo
termine anche alla radice serg-, sarg-,
serc-,sarc- di cui si è parlato. Ancora,
il gr. hér-mata, dalla stessa radice, sono gli ‘orecchini’ e il gr. hórm-os è la ‘collana’ il quale non va disgiunto,
quindi, dal citato a. norr, sörvi ‘collana di perle’, più strettamente legato alla radice simile serv-.
[15] Il ted. Wurst
‘salsiccia’ (da cui il dial. Würstel)
rimanda, guarda caso, all’a.a. germ. werr-an ‘confondere’ da cui l’it. guerra,
ingl. war ‘guerra’. La guerra sarebbe quindi una ‘mischia,
confusione’ che si adatta più al concetto di “scontro, battaglia” che di “guerra”,
la quale, comunque, è sempre un insieme di battaglie.
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