Covone: etimologia
Nel penultimo numero di Quaderni di semantica (Nuova serie,
vol. I/2015) ho letto l’articolo di Mario Alinei Note etimologiche IV (pp. 207-17) e la mia attenzione è stata attirata
dall’etimo che vi si dà, tra le altre, della parola covone. Vi si lamenta il
fatto che tutti i dizionari etimologici, pur derivando la parola dal lat. covus, forma parallela a lat. cavus
‘cavo’, non ne spiegano, o non ne spiegano bene, lo sviluppo semantico. Secondo lui, ‘cavo’ non sarebbe, giustamente,
il palmo della mano o lo spazio tra il braccio e il fianco del mietitore come
generalmente si pensa, ma il covone stesso, che egli da bambino vedeva
spessissimo nella campagna bolognese e di cui si riproduce una foto, dove vari
gruppi di tre covoni addossati l’uno all’altro nella parte superiore, formano
effettivamente una sorta di ‘cavità’ aperta.
Ora, questo
ragionamento dell’Alinei è a mio avviso impeccabile lì dove invita gli studiosi
a porre attenzione alla forma di un covone, e non ad altro, in una prospettiva
iconomastica, ma purtroppo la sua conclusione mi pare che manchi alla fine il
bersaglio, per così dire. C’è in effetti
da osservare che in italiano il termine covone
presenta due significati: 1) fascio di steli di grano o altre graminacee; 2)
gruppo di questi fasci o covoni. Se
l’Alinei aveva in mente il secondo significato, nel determinare l’etimo della
parola, allora la sua conclusione avrebbe qualche possibilità di essere giusta,
ma il singolo covone secondo me è già di
per sé una realtà ben definita che reclama il suo bel nome originario, dato
anche il fatto che l’altro significato di ‘gruppo di covoni’ potrebbe, come
mostreremo, essere derivato non dalla constatazione che i tre covoni di cui si
è parlato formano una ‘cavità’ ma proprio dal concetto di “gruppo”, il quale è,
tra l’altro, quello più rispondente, a mio avviso, alla “cosa” da nominare e inoltre, vedi caso,
anche adatto a designare la quantità di
steli di un un singolo covone. In
diversi articoli presenti nel mio blog[1]
ribadisco, con esempi concreti, questo principio fondamentale della mia
linguistica: le parole nominano sempre direttamente i loro referenti, anche
quando l’apparenza sembra indicare chiaramente tutt’altro, come in questo
caso.
Io ritengo che la
radice della parola cov-one abbia
qualcosa in comune con ingl. cob
‘mattone crudo di argilla e paglia’ (c’è l’idea di “intreccio, mescolanza,
struttura, insieme”); ingl. cop
‘bobina, filo avvolto nel fuso’; a. norreno kippi
‘fascio, covone’; ingl. dial. kipe ‘grossa
cesta’; aiellese, trasaccano, ecc. cupë[2] ‘alveare’,
dan. kupe ‘alveare’; ingl. hive ‘alveare’; lat. cupa ‘botte’. In queste comparazioni non
tengo molto conto della I° rotazione consonantica tedesca alla quale credo fino
ad un certo punto. Le parole citate contengono anche il concetto di
“cavità”. Non è molto difficile passare
da questo concetto a quello di “rotondità”, di “massa” e di “mucchio”, col
quale ultimo ritorniamo al concetto di ‘insieme, struttura, composizione, ecc.”,
uno dei più produttivi. Bisogna anche
ricordare, per quello che subito dirò, che secondo la mia convinzione, più
volte ribadita nei miei articoli, le cosiddette parole composte germaniche (in
cui l’una è chiamata solitamente determinante,
l’altra determinato) costituivano inizialmente
composti i cui membri ripetevano tautologicamente lo stesso significato. Solo
successivamente, in conseguenza dell’incrocio con parole formalmente uguali o
simili ad uno dei componenti il composto, ma con diverso significato, la lingua
riuscì a creare i composti arrivati fino a noi, con membri dal significato non
tautologico. Pertanto anche nel composto
ingl. cob-web ‘ragnatela’,
ad esempio, inizialmente il primo membro cob- doveva far parte della
serie di parole sopra elencate, col significato di ‘tela’ (che è un intreccio),
tautologico rispetto al secondo membro –web
‘tessuto, tela’. L’incontro col medio ingl.
coppe ‘ragno’ gli fu fatale.
Altri termini da
tener presenti, per chiarire l’etimo di cov-one, sono l’ingl.obs. cope-mate ‘antagonista, partner, compagno’ ; australiano
cobber ‘amico, compagno’;
serbo-croato čupa ‘ciuffo’; oland. cub ‘tetto di paglia, cesta per pesci’,
ingl. cow-lick ‘ciuffo
ribelle’; sardo cóv-inu ‘nassa per
le anguille, cestello’; ingl. dial. cob,cobb ‘cestello di vimini’, ingl. cobble ‘acciottolare’ e ‘rabberciare,
rattoppare’; ecc.
Nel termine cope-mate, citato, si nota l’influenza del
significato del verbo cope ‘far
fronte, tener testa’ ma anche, arcaico, ‘incontrare’ simile ad ‘andare insieme’,
sicchè diventa sostenibile che nel composto originario la parola dovesse avere
lo stesso significato dell’altro membro –mate
‘compagno, amico’. E’ evidente che il
concetto di ‘ciuffo’ relativo ad alcune delle parole sopra citate rientra in
quello di “insieme, intreccio, ecc.” come quello di “cesta” (insieme a quello
di “cavità”). Per l’ingl. cow-lick, che letteralmente vale ‘leccata
di vacca’ come se il ciuffo ne fosse il risultato, c’è da dire che anch’esso a
mio avviso è un composto tautologico, il cui secondo membro doveva appartenere
alla famiglia di lat. lig-are ‘legare, unire, associare’, m. b. ted. lik ‘fascia, legame’. Ma
del resto anche il semplice lick in
inglese può valere ‘ciocca’, anche se solitamente ben in ordine. Un rabbercio è simile ad un acciottolato, composto di un insieme di
ciottoli stretti l’uno all’altro (cobble). Interessantissima è la voce aiellese arcaica cun-cup-ìna
(ricordo che la usava, tra gli altri, mio padre) riferita solitamente ad un
insieme di persone che chiacchierano, magari vivacemente, senza approdare a
nulla: una specie di baruffa o rissa, o meglio una sorta di pre-rissa, un
agitarsi vano di uomini e voci. Balza
agli occhi la somiglianza della parola con l’it. concubina. Nonostante le
apparenze, a me pare incontrovertibile, come spiegherò, che i due termini abbiano
una parentela sostanziale oltre che formale. Come è noto, infatti, la parola italiana
rimonta al lat. con-cub-ina(m) spiegato da tutti come ‘colei che giace (lat. cub-are ‘giacere’) con un uomo senza esserne la moglie’. Ma non si tiene conto dell’osservazione che
il lat. cub-are era anch’esso una specializzazione
della radice CUB[3]
col valore generico di ‘unire, collegare, mettere insieme, stare insieme, ecc.’
che sappiamo. Sicchè il significato più antico del termine doveva riferirsi ad
una donna che semplicemente ‘stava con un uomo, conviveva’, che era insomma una
‘compagna’ come si dice oggi, senza riferimento all’atto specifico del giacere o del covare o del dormire. In
effetti il covare è un trovarsi su
qualcosa, a contatto o insieme con qualcosa.
Ecco come i vari significati delle parole si chiariscono a vicenda nel
loro profondo! È chiaro allora come l’aiellese cuncupìna ‘commistione, confusione (di voci)’ si alimenti della
stessa linfa del lat. concubina(m)
inteso etimologicamente come ‘ (donna)
che sta insieme (con un uomo)’.
L’idea di
“scontro”, simile a quella di “incontro” (che è sempre un congiungersi, seppure amichevole), della radice precedente si
ritrova nella voce trasaccana cëp-ólla[4]‘zuffa,
rissa’ che presenta anche altri significati, come ‘inciampo’ e ‘crocchia di
capelli’: le donne in passato solevano formarla con le trecce riunite sulla
nuca. E’ di conseguenza facile desumere che questa crocchia non aveva tale nome per via metaforica, in quanto essa
sarebbe assomigliata ad una cipolla: la verità, in qualche modo semplice e
sconvolgente insieme, è che i tre concetti si alimentano tutti di quello generico
di fondo: unione! 1) delle trecce in
una crocchia; 2) dei vari strati o tuniche della cipolla che formano del resto
una rotondità (concetto speculare a quello di “cavità”); 3) di diversi uomini
che si scontrano o si azzuffano con intenzione ostile. Non per nulla ho usato il termine unione: il lat. unione(m) significa infatti sia ‘numero uno, unione’ sia ‘tipo di
cipolla’. Da esso derivano infatti l’ingl.
onion ‘cipolla’ e il fr. oignon ‘cipolla’. Il significato di ‘inciampo’ penso si sia sviluppato
da quello di ‘scontro’: da parte del piede con qualche asperità del terreno. Il
trasaccano ‘n-cipà, ‘n-gipà (presente anche in altri
paesi) ‘aggrovigliare, confondere, impicciare, invischiare’, composto della
stessa radice, significa anche ‘indebitare’, perché il debito è un ‘impegno’
che ci lega al creditore finché non lo
sciogliamo.
Ritornando al
concetto di “covone” c’è da aggiungere che dalle nostre parti, dopo o durante
la mietitura di un campo di grano, i covoni venivano radunati a formare dei
gruppi, ciascuno composto in genere di tredici unità, che descrivevano sul
terreno una croce greca con i bracci uguali costituiti di tre covoni
sovrapposti, le cui spighe erano rivolte verso l’interno della struttura,
perché stessero ben al riparo dalle intemperie.
Sulla sommità di essa veniva posto, di traverso, l’ultimo covone che nel
dialetto di Avezzano si chiamava cavàjë[5] ‘cavallo’
mentre l’intero mucchio veniva chiamato, come in altri paesi della Marsica, cavallìttë ‘cavalletto’. Anche in questo
caso mi pare chiaro che i due termini non indichino quello che sbandierano in
superficie (cavallo, cavalletto) ma proprio il concetto di covone (cavàjë) e di mucchio (cavallìttë), concetti espressi con una
variante della radice cov-, e cioè
con la radice cav- ampliata in –allo, -all-etto. Sia il covone che il mucchio di covoni sfruttano la
stessa radice, perché l’uno è composto da un
insieme di steli, l’altro da un
insieme di covoni. Così anche il cavalletto, elemento di sostegno delle
impalcature, lungi dal trarre il nome dalla sua vaga somiglianza col cavallo
(come sostengono tutti i linguisti) è
un prodotto, invece, del concetto di “struttura, composizione, insieme”. Il ragionamento
è confermato dal dialetto lucano di Gallicchio-Pz, dove la voce cavàllë[6]
significa ‘grande mucchio di covoni di grano a forma di piccola casa a due
spioventi’. E’ quella che noi ad Aielli chiamavamo
casàrcia, composta da tutti i covoni di
grano che il contadino aveva mietuto e riportato dai vari suoi campi nelle aie
pubbliche, pronto per essere trebbiato insieme a quello di altri contadini[7]. Come si vede i nomi si scambiano facilmente,
ma non per estensione come potrebbero
sentenziare i linguisti, bensì perché il concetto di fondo è lo stesso, sia che
si tratti di un singolo covone sia che si tratti di tutti i covoni riuniti a
formare la casarcia. La radice riappare anche nello spagn. gav-illa ‘fascio, covone’ e nel fr. jav-elle ‘covone, mannello, fastello’. Se ce ne fosse bisogno ecco anche l’avezzanese cav-étta ‘squadra di braccianti’, cioè un gruppo; e ancora l’abr. cav-éttë[8]
‘combriccola’. Ma non va dimenticata nemmeno la voce valsesiana cub-alli
[9] ‘covoni’.
Buon’ultima arriva la
voce del sardo logudorese cab-ale ‘giogo’, ma anche aggettivo col significato di ‘combaciante,
esatto, uguale, ecc.’. Io vi vedo
operare il concetto di “unione, connessione” proprio della parola giogo, lat. iugu(m) (il quale viene dalla radice lat. iung-ere ‘congiungere’) insieme a quello di “aderenza, sovrapposizione
(esatta)’.
Per quanto riguarda
il fenomeno della ripetizione tautologica in un composto, cui ho sopra
accennato, faccio notare che esso deve essere antichissimo e si riscontra anche
da noi, ad esempio nella parola citata cas-arcia ‘grande gruppo di covoni’: il secondo membro –arcia non è una storpiatura dialettale di un suffisso peggiorativo
del termine casa, come si potrebbe
pensare, ma un antico termine autonomo e
tautologico rispetto al primo, come fa capire la voce del dialetto di Rocca di
Botte-Aq che suona arc-ùni ‘mucchi di
covoni di grano, preparati nelle aie’[10]. Ad Aielli l’arc-ancìna ( o arc-angìna) era
l’attaccarami, un ‘telaio’ ligneo addossato
alla parete della cucina e dotato di ganci dove si appendevano casseruole ed altri
attrezzi[11]. Si
trattava dunque di una “struttura, strumento”. Il suffisso –ancina è quasi sicuramente dovuto all’incrocio
di un precedente -uncina con la voce aiellese
angìnë ‘uncino’. L’intero termine
parrebbe, quindi, un diminutivo del precedente arc-ùni ‘mucchi di covoni’ di Rocca di Botte-Aq. La radice appare anche nel gr. árk-ys ‘rete, lacci, tranello’. L’idea di
“intreccio” è simile a quella di “struttura”. Anche il lat. arc-a(m) ‘cassa, cofano’ a mio avviso appartiene a questa serie. Quelli che noi ora consideriamo suffissi erano all’origine radici di pari grado rispetto a quella del tema
di cui ripetevano lo stesso significato. Toglie ogni dubbio, sulla composizione
tautologica della parola aiellese arc-angina ‘attaccarami’, la voce lucana angën-àrë ‘antico mobile pensile per piatti’ il cui primo
membro angën- corrisponde al secondo di aiellese arc- angìna
citato sopra. Gli uncini non c’entrano affatto con il nome dello strumento, se
non nel senso che essi hanno determinato la specializzazione del significato
del termine che, come mostra la voce lucana di Gallicchio, indicava
semplicemente una ‘struttura, telaio, mobile’ senza alcun riferimento agli
uncini. Ora che ci penso,però, anche l'uncino è un elemento che collega, connette. I linguisti, che io sappia, poco
o nulla parlano di questi composti, importantissimi per individuare bene gli
etimi di molte parole.[12]
[1] Cfr.
sito web: pietromaccallini.blogspot.it
[2] Ad Avezzano, sempre nella Marsica, la voce cupë vale ‘favo, insieme delle cellette
delle api’. Si tratta sempre di un insieme o struttura. Cfr. Buzzelli-Pitoni, Vocabolario del dialetto avezzanese,
Avezzano 2002.
[3] Per una
trattazione più completa di questa e simili radici rimando all’articolo del mio
blog Il municipio dell’aprile
2014. (pietromaccallini.blogspot.it).
[4] Cfr. Q.
Lucarelli, Biabbà A-E, Grafiche Di Censo, Avezzano-Aq.
2003 sub voce.
[5] Cfr.
Buzzelli-Pitoni, cit.
[7] A
Trasacco si ha anche la variante cas-accia
per influsso della forma peggiorativa di it.
casa.
[8] Cfr. D.
Bielli, Vocabolari abruzzese, Adelmo
Polla editore, Cerchio-Aq, 2004.
[9] Cfr.
Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani, UTET,
Torino, 1998 sub voce gavè
[10] Cfr. M.
Marzolini, “…me ‘nténni?”, Arti
Grafiche Tofani, Alatri-Fr, 1995.
[11] Cfr. G.
Gualtieri, La crestonta, Ediz. dell’Urbe,
Roma 1984. (glossarietto).
[12] Cfr. dialetto lucano di Gallicchio-Pt, sito
web: www.dizionariogallic.altervista.org/lettera%20a%2011.htm
. la voce viene registrata erroneamente a pagina 11, precedente a quella alfabeticamente
giusta.
Nessun commento:
Posta un commento