Già da
quando ero un appassionato studente ginnasiale mi fu insegnato che con il
termine Rostra si soleva indicare a Roma la tribuna,
il palco del Foro da cui parlavano, al
popolo raccolto nella piazza del Comizio, i magistrati e i politici nelle varie
occasioni della vita pubblica, e che quel nome derivava dall’uso di ornare
quella struttura con i rostri[1] delle
navi sottratte ai nemici vinti, anzi, si indicavano specificamente le navi
degli abitanti di Anzio, gli Anziati (lat. Antiates),
vinti nel 338 a.C.
Ora, a
parte la non completa affidabilità delle fonti relative alla battaglia di Anzio
e a questo episodio delle prore delle navi i cui rostri sarebbero stati i primi
di una serie destinata ad ornamento della tribuna degli oratori[2], e
indipendentemente dall’uso dei rostri in genere con funzione ornamentale, certamente
veritiero, esistono più che validi indizi linguistici a farci sospettare che in
realtà, anche in questo caso, le cose siano andate in tutt’altro modo e che non
furono i rostri delle navi a dare il nome all’antichissima tribuna calcata da
grandi e piccoli personaggi della Roma repubblicana, di cui oggi non esiste più
nulla tranne un basamento ad arco di cerchio tra l’altare del Lapis niger e la Curia Iulia. Ma
precedentemente, fin dai tempi più remoti della storia di Roma, un podio naturale
per le autorità regie, in questo stesso luogo del Comizio, era offerto dalla rupe
del Volcanale alla base del colle Capitolino. Forse non si è lontani dal vero
se si immagina in questo posto, da cui Lucio Giunio Bruto avrebbe secondo
tradizione arringato il popolo contro i Tarquini (509 a. C.), una prima tribuna
in legno[3].
Ora, alcuni
significati di termini che appaiono nei dialetti e che sono imparentati con it.
rastrello e it. rostro, ci inducono
a pensare, come spesso avviene, che gli etimi proposti dai linguisti per questi
ultimi, riallacciati con assoluta sicurezza alle due radici simili di lat. rad-ere ‘radere, grattare, ecc.’ e di lat. rod-ere ‘rodere, consumare, ecc.’, rappresentino
in verità semanticamente solo un limitato settore angolare rispetto ai significati
che invece originariamente, nello stesso latino o contemporaneamente in altre lingue
del mondo antico, le due radici potevano esprimere. Questo —ormai lo sappiamo— è anche il motivo per cui le
etimologie proposte dai linguisti, le quali rimandano spesso a significati
particolari rispetto a quello più generico nascosto dietro di essi, lasciano a
mio avviso spesso il tempo che trovano. Dinanzi
alla voce abruzzese raštèllë ‘specie di cancello; greppia’[4] (che
corrisponde formalmente al lat. ras-t-ellum ‘rastrello, sarchiello’ dimin. di lat. ras-tr-um o ras-ter ‘rastrello’) non possiamo stare, in
effetti, a lambiccarci il cervello cercando di derivarne il significato da
quello di ‘radere’, senz’altro appropriato allo strumento chiamato ‘rastrello’ (e
anche al sarchiello, che propriamente
designa una specie di zappa) usato fino a ieri nelle nostre campagne. Esso serviva a raccogliere fieno falciato,
smuovere la terra arata di fresco, ecc. ma di certo il suo nome non era adatto
ad indicare un cancello, solitamente
costituito da una struttura di stecche
di ferro o di legno incrociate tra loro.
E allora come si spiega la coincidenza della denominazione? Si
tratterebbe di semplice casualità? Niente affatto! Una cosa, però, è certa: non
è il concetto di “radere” l’elemento semantico che immediatamente unifica i due
arnesi ma, semmai, quello di “punta o (complesso) di punte”. Si pensi a come è
fatto un rastrello: un lungo manico, in genere di legno, in una delle cui
estremità è innestata trasversalmente una barra di legno in cui sono inseriti dei
pioli, i rebbi, come denti aguzzi
atti a raschiare e spianare un terreno morbido o ad accumulare e raccogliere
erbe, foglie o altro. Anche il concetto di “punta” è di per sé
ambiguo, potendo esso prestarsi ad indicare la punta di un palo, ad esempio, ma
anche l’intero palo, e non per sineddoche ma perché sia la punta
sia il palo sono due
materializzazioni diverse dello stesso concetto di “spinta, protuberanza”: si
pensi ad un palo piantato sul terreno: non è esso, anche senza essere
appuntito, una protuberanza o punta rispetto al terreno stesso? Il lat. rostr-u(m) ’becco, muso, sperone, rostro’, che può considerarsi variante
di rastr-u(m), ci conferma l’assunto in quanto
il termine poteva indicare non solo la punta
(di un becco, di uno sperone, di un vomere ecc.) ma l’intero corpo dell’oggetto
che la conteneva. Il becco, poi, ricevette questo nome non
perché esso era un organo (di uccello, in genere) atto a rodere e sminuzzare, ma perché era nient’altro che una punta simile a quella di uno sperone.
Qualsiasi punta, comunque, si presta a raschiare: ecco quindi spiegato il
motivo per cui questi concetti sono espressi da uno stesso termine, il quale
però poteva coprire una serie di altri significati come stecca, palo, bastone, ramo, piuttosto lontani dall’altro.
Il gr. ém-bol-on
che significa anche ‘rostro’ può darci l’idea concreta di quanto teorizzavo in
precedenza, con gli altri suoi significati, riportati però erroneamente al
concetto di “ciò che si introduce (cfr. gr. báll-ein ‘spingere, gettare’)” secondo i
vocabolari: più precisamente, a mio avviso, il concetto originario era quello
di “ciò che si protende”. La preposiz. en ‘in, tra, dentro’ che inizialmente
indicava il movimento verso alcunchè (o il movimento tout court) ha
contribuito, con la sua specializzazione, a specializzare anche tutto il
significato del termine. Infatti non si può assolutamente credere che il
significato di ‘rostro’ discenda dal fatto che questo strumento era costruito
per inserirsi nelle fiancate delle
navi ed affondarle, come è spiegato in qualche vocabolario. Ugualmente l’altro significato di ‘membro
virile’ non può essere spiegato con lo stesso ragionamento, in quanto esso
sarebbe destinato ad inserirsi
nell’organo femminile! Roba da chiodi! Nell’uno
e nell’altro caso il significato di fondo è quello di ‘protuberanza’,
indipendentemente dall’uso che se ne fa.
Altri significativi valori del termine sono: sbarra, paletto, cuneo,
prominenza, lingua di terra, promontorio. Di questi anche i primi tre sono in
effetti derivati del concetto autonomo di “protuberanza”, indipendente dal
fatto che i rispettivi oggetti siano destinati ad inserirsi in qualcosa.
Da quanto
detto finora può già balenare nella nostra mente la luminosa supposizione che
con il termine Rostra gli
antichissimi abitanti di Roma si riferissero direttamente alla ringhiera, parapetto e simili, di legno o di ferro, che dovevano pur esserci
nella tribuna del Foro e che costituivano quindi una sorta di staccionata, inferriata, balconata alla quale gli oratori si appoggiavano nei
loro più o meno ispirati e storici discorsi rivolti al popolo. Oppure il termine poteva indicare, come
vedremo, tutta la struttura della tribuna stessa. La parola, con questi significati, dovette
cadere successivamente in disuso, lasciando quindi tutto lo spazio al suo sosia
specializzatosi ad indicare i rostri delle navi, la cui presenza nel luogo come
trofeo di vittoria si rivela quindi un fatto del tutto ininfluente per
l’etimologia del termine. Si deve allora
riconoscere che anche l’abruzzese raštèllë ‘specie di cancello, greppia’ non può essere derivato
direttamente dal classico rast-ell-u(m) ‘rastrello’ ma che esso è in rapporto con forme parallele
più arcaiche, presenti nel latino parlato o anche in altre lingue
italiche. La teoria della Continuità Preistorica
di Mario Alinei si rivela così sempre più veritiera[5].
Si dà il
caso che in abruzzese esiste la voce rëštirë ‘ponte per murare o per
dipingere in alto’, una vera e propria impalcatura, dunque, usata da muratori e
imbianchini[6].
Nel dialetto avezzanese ricorre il
diffusissimo ristiéra o rustèra ‘padella bucherellata, usata per
arrostire castagne sulla brace’ ma anche ‘graticola, gratella’[7]. Questo secondo significato, che mi pare non appaia
altrove, almeno nella Marsica, ci fa sorgere il salutare sospetto che l’etimo usuale
di questo arnese (presente in ogni casa contadina di un tempo), sia in realtà
menzognero, anche se nessuno, credo, lo ha messo mai in dubbio dato che esso
sembra scritto a caratteri cubitali nel nome stesso: arrostitoio, attrezzo per
arrostire, rostiera (la quale però
in italiano indica una teglia da forno per cuocere carne) . Il significato originario era in effetti quello
di ‘graticola’, cosa che fa avvicinare il termine alla radice di lat. rostr-u(m) nel suo antichissimo valore di
‘inferriata’, come abbiamo visto[8]. La funzione di ‘arrostire’ non è
necessariamente legata ad ogni grata,
la quale aveva ed ha altre svariate funzioni.
Naturalmente c’è stato un incrocio tra i due termini per ‘graticola’ e
‘arrosto’, i quali vanno in realtà tenuti separati. La
radice rispunta a mio avviso nell’it. rosta,
termine arcaico-letterario che ha il significato di ‘insieme di frasche
disposte a ventaglio’ o di ‘intrigo di frasche che impediscono il passaggio’ e
non ha bisogno di essere riallacciato ad un presunto longob. *hrausta ‘frasche, riparo’ che
introdurrebbe altra radice con velare iniziale.
La radice di rosta è abbastanza
attiva in germanico, con il ted. Rost
‘graticola, palafitta’, dan. rist
‘grata’, oland. rooster ‘graticola,
lista’. Quest’ultimo significato riappare nell’ingl. roster ‘lista (dei turni), elenco, ruolo’. Una lista rientra nel concetto di “serie, successione, insieme”, ricorrente
in questa parola.
La
questione dei primi rostri che ornarono la tribuna di cui sopra, ha un po’
l’aria di una storiella sviluppatasi dall’incrocio
di termini ambigui. Lo scrittore romano
Celso (I sec.d.C.) e altri usano il termine di origine greca anti-ădes ‘tonsille’ che poteva circolare
anche alcuni secoli prima a Roma, dove numerosa doveva essere la colonia greca.
Sta di fatto che la città latino-volsca di Anti-u(m) ‘Anzio’ era posta su un promontorio roccioso espandentesi nel
mare: una specie di sperone o rostro, dunque. L’etnico latino Anti-ates ‘Anziati’ andava a combaciare
quasi esattamente con la pronuncia greca del greco anti-ádes ‘tonsille’[9] che
faceva cadere l’accento sulla /a/ di –ádes, diversamente dal latino. Ora, il concetto di “tonsilla” deve
rientrare in quello di “protuberanza”, il quale contiene anche l’altro di
“punta”. In effetti esisteva in latino anche
il termine tonsilla(m) ‘palo aguzzo
(fissato sulla spiaggia per l’acoraggio delle barche)’, oltre a tons-a(m) ‘remo’. Diveniva così possibile
che il gr. anti-ádes ‘tonsille’ si incrociasse con qualche termine del latino volgare,
simile ad es., al lat. antemn-a(m)
‘asta,antenna’ o che avesse un sosia con quel significato: allora potremmo sostenere
con una certa sicurezza che esso, piuttosto che riferirsi ai rostri delle navi
degli Anziati, era in realtà altro nome per ‘rostri’. Nel lat. ant-es ‘filare’ ricompare il significato di ‘serie, successione’, presente
anche nella radice di rostro[10] come
nella voce dialettale lucana (di Gallicchio-Pz) andë ‘ponteggio per muratori’
dove rispunta propriamente il significato di ‘struttura, tavolato, impalcatura’[11]. La
parola gallicchiese ha anche il significato di ‘fascia di terreno delimitata in
alcuni lavori di campagna’ simile a quelli di Aielli e Trasacco nella Marsica
indicati nella nota 10. Non sarà certamente un caso, infine, se l’it. anti-becco oppure rostro
è, in edilizia, un elemento della pila di un ponte, aggettante dalla pila
stessa a monte e a valle, per agevolare il deflusso delle acque. I due
componenti del termine hanno, va da sé, valore tautologico.
Arrivati a
questo punto può sembrare eccessivo, ma non lo è, mettere in dubbio persino il
nome del console che nel 338 a. C. avrebbe vinto gli Anziati, Caius Maenius, il cui terzo nome (in
latino cognomen ‘cognome’) per taluni
sarebbe Publius,per altri Antiaticus, forse in ricordo della
vittoria su Anzio. La colonna Menia di fronte ai Rostri nel
Comizio, sarebbe stata eretta in suo onore.
Ma secondo altri nella stessa casa del console Menio nel Foro esisteva
un’altra colonna Menia, il che potrebbe avvalorare la tesi che il nome in
realtà anticamente valeva semplicemente ‘colonna’ o qualcosa di simile. Sta di
fatto che il termine latino maeni-anu(m) indicava una balconata
lignea sporgente da edifici del Foro (che permetteva un’ampia e comoda visione
degli spettacoli che vi si svolgevano) o anche, secondo Plinio, la fila di
gradinate negli anfiteatri. Il nome,
come al solito, viene riportato, anche dalle fonti antiche, al nostro Menio o
ad un suo discendente del tempo di Catone il Censore (III-II sec. a.C.). Esso,
comunque, è arrivato fino a noi nella voce centro-meridionale mignano, mignanu ‘balcone, pianerottolo’.
Il significato di ‘cavalcavia’ che essa
assume nelle Marche[12] mi
induce a pensare che il suo valore di fondo non dovesse essere quello di
‘balcone’ ma di ‘tavolato, steccato, ponteggio, struttura in genere’ (a
Girifalco-Cz la ‘struttura’ si riduce ad un ‘corrimano’ e, altrove, ad una
‘cassetta di legno per piantine e fiori’!) e che la sua origine dovesse essere
non necessariamente romana ma italica, con qualche riflesso in toponomastica
come Mignano Monte Lungo, paese su
uno sperone di roccia in prov. di
Caserta. Nella Vulgata si incontra un termine
molto simile a maeni-anu(m),
cioè moeni-anu(m) ‘muro’, ampliamento di lat. moenia
‘mura’. Ci siamo! In altri articoli abbiamo insistito sul
concetto di “muro” equivalente a quello di “insieme, struttura”[13]. Altro che la falsa storia del console Gaio
Menio!
Gli
antichi, in mancanza di fonti storiche inoppugnabili, come in questo caso,
cadevano purtroppo vittima dei diabolici giochi semantici che un termine vetustissimo
ancorato ad un punto del Foro o altrove poteva innescare, cambiando attraverso
i secoli di significato, come abbiamo visto per Rostra, o incrociandosi
nel frattempo con altri. I vari archivi
di Roma, d’altronde, anche quando potevano chiarire qualche fatto, restavano
purtroppo inaccessibili al privato cittadino, fosse pure un grande storico come
Tito Livio.
[1] Il rostro era un vero e
proprio sperone di bronzo di cui erano spesso munite le prore delle navi da
guerra, con l’intento di perforare lo scafo delle navi nemiche e provocarne
l’affondamento. Il nome latino era appunto
rostru(m) ‘becco, muso, rostro’.
[2] Gli storici latini
successivi potevano registrare, in merito a questo episodio, solo quella che
era una tradizione antica, probabilmente anche molto anteriore al 338 a.C.,
divenuta patrimonio di tutti per i motivi linguistici che dirò.
[3] E’ bene ricordare che l’it. tribuna sarà una forma parallela del
lat. tribun-al ‘palco, tribuna,tribunale’. La radice è molto interessante: ne parlerò in
altra occasione.
[4]
Cfr. D.Bielli, Vocabolario abruzzese, Adelmo Polla
editore, Cerchio-Aq, 2004. Anche l’it. rastrello indicava un tempo un
‘cancello’ che veniva calato la sera dinanzi alle porte della città. In siciliano il termine rastrello vale ‘cancello’.
[5] Cfr. articolo Il rosmarino […] nel mio blog (dic. 2013), per più notizie sulla
Teoria della Continuità.
[6] Cfr. D. Bielli, cit.
Veramente nel vocabolario del Bielli compare la forma reštïre,
con la dieresi sulla /i/ che non avrebbe motivo di esserci. Due sono, a mio
parere, le probabilità: o si tratta di refuso al posto della semplice /i/ o
manca una /e/ accentata subito dopo la /i/. Ma nella sostanza il fatto non
incide granchè sul nostro ragionamento. Sia
detto en passant: per me il lat. pont-e(m) non rimanda ad una radice per
‘via, strada’, come pensano i più, ma al concetto di “struttura, impalcatura,
tavolato” e la punta di cui parlavo
più sopra, potrebbe esserne una variante.
[7]Cfr. U.Buzzelli-G.Pitoni, Vocabolario del dialetto avezzanese,
Avezzano-Aq 2002.
[8] I nomi difficilmente
cambiano nel corso dei secoli, anche quando gli oggetti che essi indicano
cambiano forma, struttura, materiale. Si
pensi a quanta strada ha fatto l’originaria penna (d’oca) dal medioevo ad oggi!
[9] Il primo componente anti- va a mio parere confrontato con
gr. antí-on ‘subbio dei tessitori’, una punta.
[10] Riflessi del lat. ant-es ‘filare’ sono i dialettali anda
‘filare di fieno falciato e lasciato ad essiccare’(Aielli) e and-ònë dallo stesso significato (Trasacco).
[13] Cfr. gli articoli del mio blog Il
termine armento […] e Il
“municipio” ovvero […] rispettivamente
del marzo e aprile 2014. Il mio blog: pietromaccallini@blogspot.it.
Dottissimo Maccallini, seguo il suo blog da anni ormai, e resto sempre sorpreso dalla sua chiarezza. Mi sono sempre chiesto: ma i linguisti come si difendono dalle sue ipotesi e dal suo metodo? Alessio
RispondiEliminaGentile anonimo, recentemente la rivista Quaderni di Semantica fondata dal famoso linguista Alinei ha aperto le porte ai miei articoli. Precedentemente avevo contattato la rivista Rion (Rivista italina di onomastica) che mi permetteva solo di commentare qualche articolo di famoso linguista. Io sono convinto che il mio approccio all'etimologia sia quello giusto, ma esso è troppo rivoluzionario per essere accettato con facilità. Spero che esso venga apprezzato o, perlomeno, criticato in modo convincente. Grazie del "Dottissimo". In realtà io sono un normale professore di Liceo (in pensione ora) che ha sentito da sempre il fascino della lingua, e così piano piano mi sono ritrovato linguista anomalo nella cerchia degli studiosi. Essi hanno spessissimo una cultura superiore alla mia, ma io mi illudo di aver imboccato la via giusta. Saluti cordiali.
EliminaPietro Maccallini