"La via
Salaria ―affermano i
più con una cert’aria di stupore mista talora a saccenteria ― è così chiamata perché venne
costruita per portare il sale dalle saline del Lazio costiero alla Sabina, a nord-est
di Roma spingendosi fino ai Piceni sul mare Adriatico". Oppure ci si corregge
dicendo che il nome deriva dal fatto che lungo quella via avveniva il trasporto
essenziale del sale. Questa seconda affermazione credo che si sia resa necessaria
quando ci si rese conto che la prima effettivamente non sembrava accettabile. Si è mai costruita in
effetti una strada solo perché essa dovesse permettere il trasporto di questo
sia pur importante alimento o di qualche altra merce? Molto probabilmente prima
che la strada venisse resa carreggiabile esisteva già un tracciato percorribile
da animali da soma che trasportavano di tutto compreso il sale, tracciato che
poteva avere già il suo nome originario che magari andava a perdersi nella
notte dei tempi. In questi casi il nome poteva trarre origine dalla natura
essenziale della strada, cioè proprio dal suo essere un percorso, una
mulattiera, una via. Esiste in sanscrito infatti una radice sar-, sal- col significato base di ‘andare, scorrere’ che andrebbe a
pennello per la denominazione di una via.
Ma c’è anche chi suppone che la Salaria fu così chiamata perché
collegava il Tirreno all’Adriatico, dal lat. sal-u(m) ‘mare’. Non mancano,poi, nella odonomastica le vie Salara,
Salera o del Sale.
Con la stessa sicurezza si afferma da molti che il lat. sal-ari-u(m) ‘salario, paga, stipendio’
prende il suo nome dal fatto che i soldati e i magistrati venivano pagati con razioni
di sale, alimento certamente prezioso oggi ma soprattutto allora. La prima difficoltà per questa opinione la si
incontra quando si viene ad appurare che i soldati romani, almeno all’inizio,
non venivano pagati con razioni di sale: il cittadino romano, divenuto soldato,
pagava di tasca propria tutto ciò che serviva al suo mantenimento (non solo il
sale!) e al suo armamento, somma che però, da quando fu a lui assegnato uno stipendi-u(m) ‘stipendio’, veniva defalcata
da esso in anticipo. Sicchè qualcuno,
per evitare l’impasse nella spiegazione del termine, suppone che comunque ci
deve essere stato un periodo in cui il sale costituiva lo stipendio o parte di
esso. Ora, si può anche pensare che lat. sal-ari-u(m) indicasse una razione di sale, ma riesce difficile
credere che questo fatto avesse dato il nome all’intero stipendio. Quando si tratta di trovare l’etimo di parole
antiche ―e sono le
più numerose ― si cade
facilmente nel tranello di spiegarle ricorrendo esclusivamente al lessico della
lingua cui esse appartengono. Si pensa,
insomma, che prima di andare a cercare
altrove bisogna a tutti i costi non distogliere lo sguardo dalle parole della
stessa lingua che possono prestarsi alla comprensione di esse come avviene qui
con il lat. sal-e(m) ‘sale’.
Non è ammissibile però supporre che una lingua nasca come a tavolino e
che possegga parole, almeno nella maggioranza, che siano pura espressione di
un’unica civiltà d’origine: quella che le avrebbe create secondo uno spirito
rintracciabile nelle parole stesse. Nulla di più falso, invece, secondo il mio
modo di vedere le cose. Chi potrà mai,
in un organismo che si perpetua da decine di migliaia di anni, come quello
della lingua, rintracciare tutti gli innumerevoli rivoli che invece hanno dato
vita ad esso e nello stesso tempo lo hanno via via modificato, lentamente ma
inesorabilmente? E’ normale che accanto
ad una parola facente parte di quella lingua da epoche immemorabili ne viva un’altra
simile nella forma ma trascinata da un rivolo diverso immessosi in quel lessico
solo successivamente nel tempo, di poco o di molto. In questo senso il concetto di purezza di una
lingua è solo espressione dell’orgoglio dell’uomo che non vuole morire
nell’animo di ciascuno di noi, il quale è portato a credere di essere detentore
di una lingua particolare, quasi avulsa da quelle degli altri. Abbiamo dovuto già subire nel secolo scorso
le nefaste conseguenze politiche legate al concetto di razza, concetto
scientificamente falso. Ed io sostengo che tutte le lingue del mondo si sono
formate da uno stesso meccanismo di fondo, la cui regola principale è l’estrema
volatilità dei significati delle parole i quali derivano, a mio parere, da un
solo concetto primordiale, così generico che non lo si può delimitare con
precisione: spinta, forza, anima, vita, ecc.
Ora, tornando alla radice sal-,
credo si possano fare interessanti osservazioni circa alcune espressioni che la
contengono, come quella ricorrente nel veneto lagunare che suona ciapà la sàla (con la /s/ sonora) ‘prendere
il cibo della giornata’[1]. L’espressione, usata dai pescatori di ritorno
dalla pesca, indicava il pagamento in natura che essi ricevevano dal datore di
lavoro. Solo che il significato
letterale è ’prendere la gialla’, cioè – si interpreta- la farina di mais per
fare la polenta.
La mia supposizione, invece, è che sia nella parola sal-ari-u(m) ’salario’ sopra citata, sia in questa voce veneta sàla ‘gialla’ ci sia nel fondo, prima
degli incroci della radice rispettivamente con le voci per ‘sale’ e per
‘gialla’, proprio il significato di ‘paga, pagamento’ in denaro o in
natura. Infatti nel diritto germanico il
termine sala indicava i documenti di
rito con cui si attuava il passaggio di proprietà. Il termine doveva essere
legato quindi al concetto di “vendita” o “acquisto”[2]. Non
per nulla in inglese si incontra il sostantivo sale ‘vendita’ e il verbo sell
(sold,sold) ‘vendere’ che in dialetti americani presenta un passato salde e un part. passato ge-sald, con radice preceduta dal
prefisso ge-, usuale nei part.
passati tedeschi[3]. Il bello è che in inglese si incontra anche
l’espressione idiomatica to be worth
one’s salt ‘essere competente,
capace’ ma, letteralmente, ’valere la propria paga (sale)’, in altri termini cioè
“ben guadagnarsi, con abilità e impegno, il proprio stipendio”, sia esso in
denaro che in natura. E in quest’ultimo significato esso poteva concretizzarsi
in ogni specie di cibo per il proprio sostentamento e quello della
famiglia. Anche in questo caso ritorna,
come vediamo, il concetto di “sale” (ingl. salt)
ad intorbidare le acque. E gli esegeti ci raccontano ancora una volta la falsa
storia del pagamento dei soldati romani che avveniva col sale. Sta di fatto che l’ingl. salt ‘sale’ è molto simile formalmente all’ingl. sale ‘vendita’ e non è affatto
impensabile che nella notte dei tempi il termine si sia incrociato con quello
per ‘sale’ confondendo le nostre idee, a meno che non abbiamo elaborato un
metodo adatto che ci consenta di andare più in profondità rispetto allo strato
superiore in cui il concetto di “sale “ la fa da padrone. Inoltre in ant. norreno, lingua germanica, la
voce sal valeva proprio
‘pagamento’.
Per le radici di it. sald-are, sia nel significato di ‘connettere stabilmente (metalli o
altro)’ sia in quello di ‘pagare, chiudere’ riferito a conto o debito, sono
propenso a considerare sald-
una variante, sin dall’origine, di quella dell’aggettivo it. sol-ido, e legata per vie molto profonde
allo stesso concetto di “sale”: un solido
cristallino composto di granuli simili a pietruzze nella forma. Così si spiega anche il termine it. sal-gemma specializzatosi ad indicare il
sale minerale, mentre all’inizio doveva indicare genericamente il sale, anche
quello marino. Sappiamo che in lat. il
termine gemma valeva anche ‘pietra,
pietra preziosa’. Ma anche il lat. sal-e(m) ‘sale’ doveva indicare un granello o qualcosa di simile se si pon
mente all’abruzzese sal-éttë ‘ghiaieto,
greto (di un fiume)’, luogo appunto pieno di ghiaia e ciottoli[4]. Quindi sal-gemma nacque come composto
tautologico per ‘sale’, anche se in latino esso non c’è. Per il mediolatino sal-petr-a(m) ‘salnitro’ vale lo stesso
ragionamento: all’inizio la parola era un termine generico per ‘sale’
specializzatosi poi ad indicare quel tipo di sale prodotto da umide pietre e
calcinacci. Il lat. pl. sal-es significava proprio ‘granelli di sale’ ma non perché, a mio
avviso, questi granelli sono formati dalla materia sale (sineddoche), ma
perché all’origine sal-, da solo, valeva proprio ‘granello, pietruzza’.
Lo stesso it. pag-are a mio avviso non deriva direttamente dal lat. pac-are il quale, a detta di tutti i
linguisti rinvierebbe al lat. pac-e(m) ’pace’ con la
spiegazione che il pagamento metterebbe in pace il debitore (la lingua non
opera in questo modo indiretto!). Si
tratta sempre della stessa radice pac- /
pag- ma nel significato di ‘pattuire, fissare (un prezzo)’, senza passare
per il significato più specializzato di pace,
la quale comunque è sempre un portato del significato di ‘pattuire, concordare’. Non c’è di ciò dimostrazione più chiara della
frase latina di Ovidio non fuit armillas
tanti pepigisse Sabinas ‘non era necessario acquistare (pagare) i
braccialetti sabini a così caro prezzo’[5]. Letteralmente il nesso tanti pe-pig-isse vale ‘aver
fissato, pattuito a così alto prezzo (tanti)’.
L’infinito perfetto pe-pig-isse è relativo al verbo lat. pango, is, pe-pigi, pactum, pang-ere, un verbo che contiene la radice pac-/pag-
di cui sopra.
[1] Cfr. M. Cortelazzo-C.
Marcato, I dialetti italiani. UTET,
Torino, 1998 s. v. sala.
[2] Cfr. T.
De Mauro, Il dizionario della lingua
italiana, Paravia, B. Mondadori edit., 2000.
[3]
Cfr. la voce sold nel vocab. Merriam-Webster.
[4] Cfr. D.
Bielli, Vocabolario abruzzese, Adelmo
Polla edit., Cerchio-Aq 2004.
[5] La frase
è spesso citata nei vocabolari scolastici sub
v. pangere
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