Specie nei dialetti si incontrano parole e locuzioni che fanno rimanere
molto stupiti, perché esse corrispondono a voci e frasi di altre lingue, con
significati uguali o quasi. Nel dialetto del paese lucano di Gallicchio-Pz,
fruibile in rete, ho rilevato ed analizzato le seguenti espressioni:
1)
Staië nda véntrë
da vacchë, che letteralmente
significa ‘sta nel ventre della vacca’ ma normalmente vale ‘Si trova in una
posizione molto vantaggiosa, sicura’, o ‘Non ha problemi economici’. Ora, in inglese
esiste una espressione molto simile, e cioè: to be in the bag che
letteralmente significa ‘essere nella borsa’ ma, comunemente, ‘avere il
successo assicurato’ o, meglio, ‘averla già in tasca, come cosa fatta’, anche se riferita a cose non a persone. A parte qualche sfumatura di significato
diversa che è naturale che ci sia, a me pare che il significato di fondo delle
due versioni, quella inglese e quella gallicchiese, corrisponda a quello di
‘trovarsi in una condizione di sicurezza’ sia essa genericamente economica
riguardo a qualcuno sia se riferita a qualcosa che non potrà ormai sfuggirci
perché al sicuro nella nostra tasca. L’alternanza b/v (ingl. bag
/gallicchiese vacchë) è molto frequente nei nostri
dialetti e, in più, essa qui viene sollecitata dalla necessità di adattare il nome d’origine a quello
dell’animale che provvidenzialmente ha permesso all’espressione, senza travisare
il significato, di sopravvivere in un contesto diverso da quello originario,
che in questo caso era germanico o anglo-sassone. Pertanto qui sono i gallicchiesi a parlare
inglese senza saperlo. C’è infine da notare che l’idea del ventre deve essere
scaturita proprio da quella di ingl. bag ‘borsa’
che significa nei dialetti anche ‘ventre, pancia’ e che richiama il ted. Bauch ‘ventre, pancia’, prov. bucs ‘ventre’.[1]
2)
To be in
the bag, che inglese significa stranamente anche ‘Essere ubriaco’,
(letter. sempre ‘essere nella borsa’). Immagino che gli studiosi inglesi si
trovino in molta difficoltà nello spiegare la locuzione. Tutto si chiarisce però quando si legge, nel
vocabolario abruzzese del Bielli[2],
che ‘m-bacc-arsë vale
‘ubriacarsi’. La radice deve essere quella greco-latina del dio Bacco, che
evidentemente alludeva al ‘vino’ o piuttosto all’ebrezza bacchica da esso
indotta. Quindi dubito fortemente che nella radice del verbo abruzzese ci fosse
un riferimento consapevole da parte del parlante al dio del vino; anzi, sono
convinto che chi usava quel verbo non conoscesse il valore etimologico di esso,
a meno che nel suo vocabolario non ci fosse un termine come *bacco e simili per ‘ebbro’ o
‘ebbrezza’. E allora l’origine di questa
radice è da situare in Grecia, in Italia o in Gran Bretagna? Ai posteri l’ardua
sentenza, come disse il poeta. Io posso solo osservare che essa, come le altre,
è antichissima e cerca di sopravvivere in tutti i modi, quando i tempi sono a
lei ostili perché il sistema linguistico, col trascorrere dei millenni, l’ha
messa all’angolo, e così si aggrappa con tutte le forze a qualche altra radice
più fortunata. Essa potrebbe ritrovarsi
ancora in altre frasi idiomatiche o colloquiali se si andassero a spulciare
tutte le lingue d’Europa e i loro dialetti. Ma non sono da ciò le mie povere e
malandate penne!
3)
Penz’ i vacchë, che
letteralmente significa ‘Pensa alle vacche’ per dire ‘E’ distratto’. Qui la situazione è, secondo me, un po’
diversa. In ingl. vague vale
esattamente anche ‘distratto’. Il termine deriva dal lat. vag-u(m) ‘errante,
mobile, incostante’. E allora la locuzione dovette avere in origine una forma
dialettale come Penza vaghë, nel senso
di ‘Pensa distrattamente’. Ma le “vacche” come sono comparse? Evidentemente
l’aggettivo vago sarà caduto dal
vocabolario popolare di Gallicchio e l’espressione, per sopravvivere, si è
aggrappata anche qui alle “vacche” che, come al solito, non c’entrano affatto
con il significato preciso di ‘distratto’, ma proprio perché nel contesto esse
sono un corpo estraneo si prestano ugualmente a dare l’idea di un pensiero
senza senso che divaga appunto dal contesto.
4)
E’ fattë cum’a vacchë,
che significa ‘ E’ diventata come una vacca, molto grassa’. Si noti il puro
latino Est facta (E’ diventata),
conservatosi nel gallicchiese E’ fattë,
in cui anche la /a/ finale si chiude nella vocale evanescente /ë/. Qui
sembrerebbe che non ci sia nulla da ridire sulla similitudine, chiara e
semplice. Ma si dà il caso che il verbo abr. citato ‘m-bacc-arsë significhi
anche ‘ingrassare’, e pertanto anche qui la “vacca” potrebbe non contarcela
giusta, nascondendo magari l’idea di qualcosa di grosso e tondeggiante. Si
pensi all’aggettivo inglese baggy
‘gonfio, rigonfio’. Del resto quest’idea
si attaglia bene anche ad esprimere l’altro concetto di “ubriacatura o
ebbrezza” legato al verbo suddetto. Quasi tutti i significati inglesi di bag si ritrovano nella lingua o nei
dialetti italiani come quello dispregiativo di ‘puttana, donnaccia trasandata’,
che è pari pari l’it. vacca appioppato ad una donna[3]. Inoltre l’espressione E’ fattë cum’a vacchë poteva
in tempi remoti suonare semplicemente E’
fattë vacchë (o bacchë) con vacchë in funzione di aggettivo e col
significato di ‘grassa, molto grassa’.
Una volta scomparso l’aggettivo dal vocabolario del dialetto di
Gallicchio, la locuzione per sopravvivere ha dovuto darsi un altro assetto,
introducendo il paragone con la vacca.
5)
Vacannare
che significa ‘vacca che
sta un anno senza ingravidarsi’ o, figurativamente, ‘persona sfaccendata,
girandolona’. Può sembrare strano ma,
secondo me, il significato originario di questa voce era proprio quello
considerato figurato, derivato dall it. vacante
incrociato con it. vagante, e
risalenti alle rispettive voci latine. A dire il vero, però, il termine *vacant-arë poteva già aver
contemporaneamente assunto anche il valore di ‘non gravida’ dal lat. vacu-a(m) ‘vuota’ ma anche ‘non pregna’
riferito a cavalla. La cosa curiosa è che nel frattempo, quando la pronuncia
locale del nesso –nt-, qui equiparato
ad –nd-, ha dato come esito –nn- nella voce vac-ann-arë, offrendo
così la possibilità di ricavarne la nozione di anno, come durata del periodo di non gravidanza, lo spirito della
lingua, sempre vigile e attivo, ne ha subito approfittato. I vocaboli, appena possono, tendono a
specializzare il significato che racchiudono e che era partito da una nozione
molto generica. Per questo ribadisco,
per l’ennesima volta e forte dell’appoggio di Ferdinand de Saussure, che è vano credere che essi siano nati
apposta per indicare gli oggetti e i
concetti che ora designano, trascorse le molte migliaia di anni dalla loro
nascita e gli svariati incroci con altri termini. La funzione della Lingua è quella di dare
nomi agli oggetti e di comunicarli agli altri. Siccome il valore dei termini
era all’inizio molto generico, la comunicazione poteva avvenire con qualche
difficoltà ed aveva un certo vago tono poetico.
Quello della specializzazione è un principio essenziale della Lingua connaturato
con essa, ed è attivo anche oggi, per quanto a volte possa verificarsi anche il
contrario.
Chiudo quest’articolo con l’accenno alla parola it. vacchetta, pelle conciata usata per la costruzione di borse, di
scarpe, ecc. Tutti i linguisti ne indicano la “evidente” derivazione
dall’animale vacca, ma noi ormai
sappiamo che in questi casi bisogna drizzare le orecchie e aguzzare la vista,
per evitare di fare la fine dei polli. E la gente a volte ci gode sfiziosamente
a metterci alla berlina, quando commettiamo errori, e d’altronde ha tutto il
diritto di una rivalsa sul nostro tono professorale un po’ fastidioso. Io non
so poi perché i linguisti si ostinino a sostenere che l’it. baccello ‘frutto di leguminose con due
valve deiscenti’ sia da riportare ai lat. bacc-ell-u(m), bac-ill-u(m)
‘bastoncino’. Il termine baccello, a mio avviso, indica la sua
natura fondamentale di “guscio” ed “involucro”, riscontrabile nella variante
lat. vag-in-a(m) ‘guaina, involucro’, nel
gallo-romanzo bac-in-u(m) ‘vaso’,
nel trentino vaca ‘curva, conca’, nel fr. bague ‘anello’, fr. bagu-ette ‘catinella’ (ma anche, significativamente, ‘bacchetta’), nell’ingl. bag ‘scroto’, la pelle che avvolge i
testicoli. Pertanto non posso negare
all’it. vacchetta, toscano bacchetta ‘vacchetta’, il suo naturale
status di “generico involucro”, prima che il termine vacca lo costringesse subdolissimamente a stringere un’alleanza tra
loro, in cui il primo piano diveniva via via appannaggio dell’animale mentre
l’altro accettava di vivacchiare nell’ombra fino a quando, caduto nel frattempo
definitivamente dall’uso, se ne persero completamente le tracce a tutto
vantaggio dell’animale.
Oltre alla precedente vacchetta, non posso fare a meno di accennare anche all’it. invacchire ‘diventare grassi e gonfi‘
detto dei bachi da seta colpiti dalla malattia del giallume, significato che va
riportato anch’esso alla radice di abr. ‘m-bacc-arsë
‘ingrassare’ sopra ricordata, e non all’animale vacca. Il verbo ha anche il
significato di ‘essere floscio e lento’ che, secondo il solito modo di
procedere dei linguisti, sarebbe una derivazione figurata della condizione di
malattia dei bachi, che però, guarda caso, in quello stato non sono “flosci” ma
“lucidi e tesi”. Anche qui, purtroppo,
la nostra corta vista che scorge le cose vicine ma non quelle lontane, ci fa
vedere lucciole per lanterne. Esiste il verbo abr. bac-ul-arsë[4]
‘indebolirsi’ che pare abbia una radice opposta, per significato, a quella di
abr. ‘m-bacc-arsë ‘ingrassare’ sopra citato. L’it. in-vacch-ire significa
anche ‘diminuire le facoltà fisiche e intellettive, non essere più molto
lucido’. Ora, mi sembra che non vi sia
radice più acconcia, per spiegare questa “debolezza”, dell’ingl. weak ’debole’, a.ingl. wāc ‘pieghevole, soffice, debole’.
Ugualmente la locuzione familiare Andare in vacca (che indica il
deteriorarsi, l’andare a male, l’indebolirsi di qualcosa o qualcuno) contiene
in sé la stessa radice che, come abbiamo osservato, non deriva direttamente
dalla malattia dei bachi[5]. Noi italiani non solo parliamo l’inglese
senza saperlo, ma ne siamo in qualche modo degli esperti! Credo che l’abr. bac-ul-arsë tagli le gambe, purtroppo, a qualsiasi tentativo di contrastare
legittimamente il mio punto di vista. La verità è che è sempre pericolosissimo
segnare netti confini fra le lingue, quando si tratta di determinare l’origine
delle radici e anche delle locuzioni, in specie idiomatiche. Così, il lat. im-bec-ill-e(m)
‘debole (fisicamente e mentalmente)’ deve a mio avviso abbandonare definitivamente
il bastone (lat. bac-ul-u(m)’ da cui fin dall’antichità si fa
derivare, come fosse un sine baculo
‘senza bastone’, col prefisso negativo in-
che forse è qui intensivo. Solo G.
Devoto, nel suo Avviamento all’etimologia
italiana, escludeva questa interpretazione.
Lunga vita ai poeti che hanno cercato un senso più nuovo per le parole
della tribù e che ben conoscono, d’istinto, la natura della lingua votata alla
metamorfosi versicolore!
[1]
Dopo aver già scritto quanto precede, ho notato nel vocabolario Treccani in
rete s. v. vacca che l’espressione di
Gallicchio è in realtà presente nel linguaggio familiare o popolare anche
altrove, nella forma stare, o essere, o trovarsi in un ventre di vacca ‘essere tranquillo, senza
preoccupazioni, in condizione di largo benessere’. Nulla cambia, però bisogna
constatare che non sono solo i gallicchiesi a parlare senza saperlo l’inglese,
ma gran parte degli italiani!
[2] Cfr. D.
Bielli, Vocabolario abruzzese, A.
Polla editore, Cerchio-Aq, 2004.
[3]
Credo torni utile la seguente osservazione: se il ted. Hure (ingl. whore)
‘puttana’ è messo in relazione anche con lat. car-u(m) ‘caro, amato’; se l’it. letterario drudo (anche femm. druda)
vale ‘amante, amato’ in senso spesso dispregiativo (partito dal concetto
positivo di “fedele”) come in gaelico drũth ‘meretrice, amica’, allora non
è azzardato avvicinare l’ingl. bag
‘puttana’ al concetto inizialmente positivo di ‘amorosa, amante, ecc.’. Li
unisce sempre la forza dell’amore, sia esso regolare che irregolare, molto
simile del resto alla ‘ebrezza, euforia’, anche se causata dal vino,
dell’espressione ingl. to be in the bag sopra analizzata. La voce bag ‘puttana’ può essere considerata
accorciativo di it. ‘bagascia’ di origine provenzale, pare, e anch’essa
combattuta tra valori positivi e negativi. Ma ciò sarebbe un errore, perché
resterebbe poi da spiegare la forma it.
vacca ‘puttana’. Semmai sono proprio queste forme più brevi alla base di bagascia. Da notare ancora che esiste un
italiano obsoleto vago ‘col significato proprio di ‘innamorato, amante’ e un it. in-vagh-irsi. C'è del resto anche il siciliano bbac-ana 'prostituta', toscano baàna ' donna di non buona fama': cfr. Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani, UTET, 1998.
[4] Cfr. D.
Bielli, cit.
[5]
Cfr. C. Lapucci, Modi di dire della
lingua italiana, Valmartina Editore, Firenze, 1969, p. 351. Con
l’immancabile riferimento alla malattia dei bachi, si dà anche il significato
di ‘diventare pigro, svogliato’, un altro aspetto della “debolezza”, in questo
caso di natura morale. Il Lapucci
riporta anche la locuzione Stare in un
ventre di vacca che abbiamo analizzato sopra ma con un significato un po’
diverso, cioè ‘essere sazio, con ogni comodo e agio’: il senso di benessere e
tranquillità si è ristretto a quello di un’abbondante mangiata, favorito anche
questo dal significato di qualche termine come ingl. baggy ‘gonfio, rigonfio’.
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