Questa locuzione prepositiva dà
filo da torcere ai linguisti che, a mio avviso, non riescono a individuarne un
etimo perlomeno soddisfacente, se non sicuro.
La locuzione ha in genere il valore di ‘a dispetto di, malgrado,
nonostante’ ma presenta anche altre sfumature di significato come, ad esempio,
‘a danno di, in spregio di’. Talora, con
grande sicurezza, si afferma che la locuzione ha preso le mosse dall’intenzione
di fare qualcosa di pregiudizievole nei confronti di qualcuno, di cui non si ha
grande rispetto o considerazione, proprio sotto i suoi occhi o il suo naso,
sostituendo solamente al termine naso
(cfr. l’espressione sotto il naso) la barba, magari nel significato di
‘mento’. Ma questa supposizione
puramente indicativa del luogo o punto in cui avverrebbe l’azione non mi
pare possa dar conto pienamente del dispetto e del malanimo contro qualcuno o
qualcosa su cui si scarica l’azione. In
siciliano[1],
infatti, le espressioni in varva, ‘ntra varva (in barba) di qualcuno significano
‘in odio, a scorno, ad onta’. Anche, a dire il vero, ‘davanti, in presenza’ di
chi ha tutte le ragioni però per contraddire, sottintendendo quindi
un’avversione rancorosa da parte di chi opera ‘davanti’ a qualcuno disprezzato.
A parte il fatto che quest’ultimo significato verrebbe a contraddire quello supposto
di ‘sotto il naso’, espressione usata quando si compie qualcosa di negativo nei
confronti di qualcuno senza che questi se ne accorga, magari raggirandolo con
abilità e garbo’. Le sfumature di
significato di ‘in barba a’, e in fondo di quasi tutte le altre espressioni,
possono essere diverse e persino contrastanti, ma non è questo che ci
turba. Noi dobbiamo trovare il nucleo di
significato originario da cui si sono sviluppati tutti gli altri che possono riannodarsi
ad esso. E questo nucleo pare essere la
cattiva disposizione d’animo verso una persona che ci induce soprattutto a
disprezzarla magari dicendole anche le cose in faccia o, al contrario, facendo
in modo che nemmeno si accorga del nostro raggiro nei suoi confronti.
Con questa considerazione in testa ho
pensato che l’espressione ‘in barba a’ in realtà tendeva un bel tranello nei
nostri confronti, perché essa mostrava un volto falso e fuorviante con
l’esibizione di quella barba che era
quasi sicuramente il risultato di qualche antico incrocio di termini. Pensando alle varie forme che nei dialetti
sardi assume la parola “barba” (barva, varva, braba, ecc.) mi è
venuto in mente il verbo it. piuttosto arcaico brav-are ‘comportarsi in modo prepotente, provocare, sfidare’ che
potrebbe ben giustificare il significato fondamentale di ‘a dispetto di’
dell’espressione in questione. Così,
supponendo un sostantivo deverbativo *brava
’sfida, disprezzo, ecc.’, poteva in un lontano passato essersi verificato benissimo
un suo incrocio con la forma dialettale brava
per ‘barba’ ed essersi prodotta l’espressione dialettale ‘in brava a’,
diventata in italiano ‘in barba a’, con l’aiuto forse della successiva scomparsa
dal vocabolario del termine *brava
‘sfida, disprezzo, ecc.’. I deverbativi di questo tipo sono in effetti
abbastanza numerosi come la lagna ←lagnare;
la protesta ←protestare; la mescola ←mescolare; la notifica ←da notificare, ecc. Per “barba”, però, non ho trovato nei
dialetti italiani, oltre a quelli sardi, la forma brava. Nel meridione è molto diffusa la forma varva ma non è impossibile che si incontri “brava” in qualche
parlata a me sconosciuta. Inoltre la
situazione dialettale, per quanto riguarda il lessico, poteva essere più mossa di
quella attuale all’epoca della formazione dei dialetti.
Che ci sia stato l’incrocio di cui abbiamo
parlato, anche al di fuori della espressione di ‘in barba a’, me lo attesta,
con abbastanza sicurezza, l’altra espressione italiana che suona che barba! col significato di ‘che
terribile noia, che senso di avversione, di disgusto!’. Siamo quindi tornati alla stessa “cattiva
disposizione d’animo” nei confronti di qualcuno o qualcosa, dell’espressione
‘in barba a’. E non è convincente che questo significato sia derivabile, in via
figurata, dalla lunghezza di certe
barbe. Di conseguenza tutti i ragionamenti, che spesso i linguisti fanno per
dar forza alle interpretazioni legate alla “barba” tout court, cadono senza
possibilità di appello. Dietro il
termine “barba”,dunque, ce n’è sicuramente un altro, anche se in ultima istanza
potrebbe non trattarsi di quello da me supposto.
E’ ora il caso di parlare anche del modo
di dire stare in barba di micio che
mi sembra molto istruttivo per capire gli incroci delle parole. Carlo Lapucci[2]
lo spiega trascrivendo pari pari l’interpretazione di Rigutini e Fanfani[3]
che cito: «Stare
agiatamente e quasi pavoneggiarsi del suo agio, come fa il gatto satollo, che
se ne sta seduto, leccandosi ogni tanto i baffi». Evidentemente dalla metà dell’Ottocento in
poi non si ha una spiegazione migliore di questa se il Lapucci, alla metà del
Novecento, ce l’ha riproposta senza cambiare una virgola. Purtroppo gli studiosi in questi casi
commettono spesso il grave errore, a mio avviso, di mettere su un piano di
sincronicità quello che invece si è plasmato attraverso una dimensione
diacronica spesso enorme.
In effetti esiste, del detto, anche la
variante che suona stare in barba di
gatto (o gatta) con l’identico
significato. Gli studiosi di una volta
duravano fatica a conoscere più dati possibili intorno a parole ed espressioni,
mentre noi a volte ce ne impossessiamo con un clic fortunato sul nostro
computer. Dico questo perché se il
Rigutini o il Fanfani avessero avuto i dati che dirò, non avrebbero certamente
tardato a rendersi conto del significato, in certo senso banale, banalissimo,
del modo di dire. Escludo che l’espressione
faccia riferimento alla “barba di gatto”, nome volgare di una piantina
originaria del sud-est asiatico e dell’Australia tropicale, che ha il nome
scientifico di Orthosiphon, la quale sarebbe arrivata in Occidente intorno all’inizio
del 20ᵒ
secolo, pertanto molto dopo la presumibile data di origine dell’espressione in
questione. Essa ha un’infiorescenza con
filamenti simili alle barbe di un gatto e il suo nome italiano potrebbe essere la
traduzione dell’inglese cat’s whiskers. Insomma
il nome, che non può essersi plasmato attraverso la trafila diacronica, deve
essere stato applicato posticciamente alla pianta. Resta allora la possibilità che, per quanto
riguarda l’origine del modo di dire stare
in barba di gatto, alla base ci sia stato un eventuale nome volgare di
qualcuna delle molte specie di piante tomentose, filamentose e cotonose conosciute
comunemente come bambagia selvatica[4],
tra cui quella nota anche come piede di
gatto. Allora il significato di stare in barba di gatto diverrebbe
chiaro, l’espressione vorrebbe dire cioè ‘stare nella bambagia’, in una
condizione di agio e benessere. E tutto sarebbe più intellegibile e naturale. Per “gatto” non bisogna pensare però al domestico
felino ma al termine gatto (qui ripetuto
tautologicamente rispetto a barba) riferito
a tante infiorescenze filamentose o meno a cominciare dalla parola gatto
o gatt-ice, designante oltre al pioppo bianco anche
la sua infiorescenza, nota in emiliano col nome di gat, gat-ein ‘amento’. Termini che
richiamano quello lunigianese di gat-elo ‘tralcio della vite’, il marchigiano cat-ièllo ‘ogni seme protetto da aculei o filamenti’, abruzzese cat-éjjë
‘lappola’. I quali, però, trarrebbero in ballo il ‘cagnolino’ (dal lat. catellum ‘cagnolino’) piuttosto che il
‘gatto’ o ‘gattino’. Tutte queste
incongruenze vengono spiegate bene in un mio articolo, a cui rimando.[5]
[1] Cfr. in
web: V.Mortillaro Nuovo Dizionario
Siciliano-italiano, Palermo 1844.
[2] Cfr. C.
Lapucci, Modi di dire della lingua
italiana, Valmartina Editore, Firenze 1969, p. 231.
[3] Cfr. G.
Rigutini-P. Fanfani, Vocabolario della lingua parlata, Firenze 1875.
[4] Cfr. in
web bambagia selvatica
[5] Cfr.
l’articolo “Etimo di emiliano gat, gatein” presente nel mio blog:
pietromaccallini.blogspot.it, giugno 2009.
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