venerdì 2 agosto 2019

Alḗtheia ‘verità’ (l’etimologia corrente della parola è una delle più infelici, a mio parere).





   Il termine greco più comune per ‘verità’ è appunto a-ltheia che tutti, nessuno escluso, intendono come costituito dall’alfa privativo a-, corrispondente al prefisso negativo latino in-, e dalla radice lēth, lath del verbo gr. lanth-án-ein ‘rimanere occulto, inosservato, invisibile, sfuggire, far dimenticare’ che richiama anche il verbo lat. lat-ēre ‘stare nascosto, sfuggire’.

   Ora, a me che so che la lingua nomina in genere direttamente i suoi referenti, sembra un tantino  fuori norma la designazione della verità con la negazione del concetto in qualche modo opposto, cioè quello di occulto. E naturalmente non è da credere che la Lingua fosse a corto di concetti come “chiaro, evidente, concreto” e simili a cui essa poteva ricorrere per la bisogna.

   Sono preso da un sentimento misto di orgoglio e commozione a pensare che prima di me a nessuno dei personaggi importanti  che hanno studiato il greco, come il Leopardi e tanti altri, ma soprattutto ai filosofi e linguisti di professione, sia mai balenata l’idea che il nome greco per ‘verità’ non ce la contasse giusta circa la sua forma esteriore, il significante, camuffando alla perfezione quello che a me sembra molto più probabile, e che subito indicherò. A pensarci bene, però, essi non potevano fare questa considerazione perché, attraverso le loro ricerche non erano arrivati a questo semplice convincimento: che la Lingua nomina quasi sempre le cose senza circonlocuzioni di sorta ma per via diretta, all’origine e prima che intervenissero gli inevitabili incroci tra parole simili.


    Ora, a me sembra molto probabile che la radice di gr. a-ltheia sia la stessa di gr. Lēt o Lat ‘Leto, Latona’, divinità figlia della titanessa Febe < gr. phoïb-ē ‘splendente’ e di Zeus, divinità che tutti conosciamo, corrispondente al lat. Giove, la cui radice indica la ‘luce del giorno’.   Il mito è fantastico perché, secondo esso, un personaggio femminile (Latona), nato da Zeus e dalla divinità legata alla luna (Febe), avrebbe generato allo stesso Giove (scatenando l’ira della legittima consorte Giunone) due grandi divinità della luce: Apollo che simboleggia il sole (ma c’era anche una precipua divinità del sole, cioè Elio) e Artemide-Diana che simboleggia la luna.  Perciò, data quest’orgia di luce,  stento a credere che Latona  simboleggi la Notte in base alla sua radice che abbiamo già incontrata, la quale poteva avere, per la verità, anche il significato di ‘nascondimento e dimenticanza’: e la notte può essere intesa come ‘oscurità (che nasconde)’. 
   
  
   Io però ritengo più probabile l’etimo che, in forma dubitativa, è dato dal vocabolario greco-italiano  di Guglielmo Gemoll.  Si presume, sotto la voce Lēt, che essa sia ciò che rimane di un originario (G)-lēt ‘la spendente’, dalla radice gel, glē del verbo gr. gel-ân ‘brillare, ridere’. La radice è la stessa di ingl. glad ‘contento, felice’ che in ant. inglese e altre lingue germaniche valeva anche ‘brillante’ e di ingl. glee ‘gaiezza, allegria’. Sarà la stessa di fr. é-clat ‘splendore, gloria, strepito, ecc.’?
  
   Per la caduta della velare sonora iniziale –g- si tenga presente il lat. lact-e(m) ‘latte’ e lo si confronti con gr. gâla, gâlaktos ‘latte’. Credo che lo spostamento dell’accento sulla sillaba –lak- in latino abbia provocato la caduta della iniziale –g-.  Del resto anche in greco si avevano altre forme come glágos ‘latte’. Peccato che, attraverso i secoli e l’azione uniformatrice che ogni lingua esercita, tantissime parole, varianti di altre, siano scomparse per sempre.

    A questo punto resta da far notare che nella parola gr. a-lḗtheia ‘verità’  il concetto di “verità” è tratto da quello di “evidente, chiaro, reale’ come nel gr. saphḗs ‘chiaro, evidente, vero, sicuro, certo’.  La cosiddetta alfa privativa iniziale in questo caso non doveva essere tale all’origine, ma doveva corrispondere al valore illativo o intensivo di lat. –in-, non a quello negativo, come, ad esempio, nel verbo lat. illuc-ēre < in-luc-ēre ‘brillare’. Del resto in inglese, anche attualmente, non poche sono le ambiguità cui questo prefisso dà luogo. L’ingl. im-passionate può significare sia ‘privo di passione’ che ‘immerso nella passione’.  Le forme negative greche –a- o –an-, quelle germaniche un- o -on- e quella latina –in- derivano tutte da un’originaria sonante indoeuropea –n-.

  Riconosco che questa mia proposta interpretativa non ha la caratteristica della verità incontrovertibile, ma mi corre l’obbligo di sottolineare comunque col massimo vigore che l’interpretazione tradizionale, non messa in dubbio mai da nessuno, è ora che sia dimenticata definitivamente.

    C’è anche, in effetti, un’altra strada per  spiegare la parola in questione, strada che nonostante qualche perplessità potrebbe essere, invece quella giusta.
    
   In greco si incontrano alcuni verbi come álth-esthai, áld-esthai, áld-ain-ein, álth-ain-ein che hanno il significato di ‘crescere, far crescere, rinvigorire, curare’. La radice è quella di lat. al-ĕre ‘alimentare, nutrire, far crescere’, lat. alt-u(m) ‘alto, profondo’, ted. alt ‘vecchio’, ingl. old ‘vecchio’. La crescita porta alla maturità e alla vecchiaia. Nella mitologia si può incontrare qualche figura che confermi questi significati. Ad esempio nell’Eneide appare un certo Alete, uno dei comandanti della flotta di Enea, suo anziano compagno, tanto che non partecipò alla guerra contro i Rutuli, pur incoraggiando e consigliando i guerrieri troiani. Non si può non notare che l’anzianità di Alete era , a mio parere, scritta già nel suo nome. La capra Am-altea nutri in una grotta sul monte Ida, allattandolo, Giove appena nato. Questo tratto del mito non può essere disgiunto, a mio avviso, dal significato del secondo membro del nome Am-altea che ha in sé il valore di ‘nutrire, far crescere’. Ma c’è di più: in Sofocle si incontra il verbo amaltheú-ein ’nutrire’. 


   Ora, l’osservazione apparentemente anodina che faccio è questa: come mai, nonostante la sovrabbondanza dei verbi non si trova in greco un sostantivo o aggettivo, ad essi connessi, indicanti la ‘crescita’ e simili? La mia risposta è che quel sostantivo, che assunse un significato apparentemente irriconoscibile rispetto a quello dei relativi verbi, è proprio alḗth-eia ‘verità, realtà’ e l’aggettivo è alēth-és ‘vero, reale’. «Ma come è possibile far combaciare i due concetti di “verità” e di “crescita”?», potrebbe giustamente obbiettare qualcuno. Il fatto è che l’idea di “crescita” ingloba in sé anche l’idea di ‘creazione, sviluppo’ e quindi di “natura”, termine quest’ultimo espressione della radice di lat. nasci ‘nascere, crescere, svilupparsi’ collegato ad un preced. *gn-asci ‘essere generato’ (cfr. lat. arcaico gnatus = natus ‘nato’) con la radice di gr. gén-os dai molti significati ruotanti intorno al concetto di generazione. Ma il verbo greco che ci conduce per mano all’idea di “natura” e “realtà” è  gí-gn-esthai (col raddoppiam. della radice, e simile al lat. gi-gn-ĕre ‘generare’) ‘nascere, divenire, avvenire, avverarsi, ecc.’ con il sostantivo gén-esis ‘genesi’ ma anche, pensate un po’, il ‘complesso delle cose create, creazione’ e, in altri termini, quello che i latini chiamavano rerum natura ‘la natura’. 

   Per concludere, mi pare che sia ragionevole pensare che il gr. alḗth-eia, avendo in sé l’idea della nascita-crescita delle cose, cioè il formarsi di esse dal caos, indicasse agli inizi proprio la natura, concreta o spirituale poco importa, delle cose del mondo, da cui si sviluppò l’idea della “verità”. 

   Faccio notare che anche il termine greco per ‘natura’, cioè phýs-is (da cui il termine it. fisica) rimanda al verbo phý-ein ‘generare, essere generato, ecc.’ ed è apparentato con il perfetto lat. fu-i ‘io fui’ nonché col verbo lat. fi-ĕri ‘essere fatto, diventare, accadere’.


1 commento:

  1. Il termine che indica il crescere è proprio phyo. Nella sua forma attiva come hai già detto significa "generare" e, in senso metaforico, "far apparire ciò che non è evidente o è nascosto." (disvelare, che è il senso dell'aletheia) La forma mediopassiva "phyomai" indicava l'esser generati, il nascere ma anche il proseguimento della generazione, cioè la crescita. Così il sostantivo phyton viene a indicare piante, vegetali in generale in quanto "designa [...] tutto ciò che spunta o germoglia. (cap. 1 p. 10 technophysis, Le Moli)

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