Per tentare di capire come vada inteso l’animismo che traspare in alcune parole dialettali, riporto un brano del libro di Remo Bracchi Nomi e volti della paura nelle valli dell’Adda e della Mera, p. 29.
« Al ‘vento freddo del nord che spira in primavera’ è stato assegnato nel Surselva il nome inquietante di mazzacàuras, ossia di ‘ammazzacapre’ (NVS, 154), che trova un lontano riscontro nel laz. (Vico) scortëcacàprë ‘vento freddo di tramontana’ (Jacobelli, 236) e nel fogg. (S. Marco in Lamis) scorciacràpe ‘grecale, vento impetuoso e molto freddo proveniente da nord-nord-est’ (Galante,706), a Trinitapoli scörciacröpe ‘scortica capre,vento freddo e secco’ (Elia, 727), con l’analogo pelajàtte ‘vento molto freddo’ (Galante, 563), contrassegno di un antico sostrato culturale, di riecheggiamento animistico ».
Mazza-càuras sembrerebbe proprio un composto costruito apposta per il concetto che esprime, contraddicendo il principio più volte da me ricordato (cfr. gli articoli I nomi dei piccoli animali... e Fare il portoghese) ma vi sono almeno due indizi che ne mettono in dubbio la validità. Primo, perchè il vento dovrebbe ammazzare solo le capre tra i numerosi altri animali che dovrebbero subire la stessa sorte impietosa? Secondo, e più cogente indizio è il fatto che in latino si conosceva il vento Caurus o Corus, il quale dovrebbe qui rompere così la solidità del sigillo che marchia univocamente il significato del composto verbo-sostantivo: l’elem. –càuras non avrebbe indicato, all'origine, le ‘capre’ come invece fa oggi nel dialetto del Surselva (Grigioni) ma sarebbe il camuffamento (non troppo riuscito stavolta) proprio del Caur-us, vento freddo di nord-ovest, corrispondente all’attuale Maestrale. Il quale ultimo, etimologicamente, si scompone in magis-tr-alis, con l’elem. mag-is che riporta all’idea di ‘grandezza,forza’ (cfr. gr. még-as 'grande, forte, ecc.'), quella forza costitutiva in questo caso (sempre a mio parere), non del ‘vento freddo del nord’, come pure parrebbe evidente, ma del concetto stesso di ‘vento’, specializzatosi poi ad indicare quel vento particolare. Il vento è qualcosa di animato e non per nulla in greco esso suona ánemos ‘vento’ corrispondente ai lat. anima, animus. L’elem. Mazza- , oltre a richiamare l’altro composto dialettale mazza-morello (con molte varianti) ‘incubo, spirito, folletto’ ma anche ‘vortice di vento’, potrebbe essere il risultato di un ampliamento della sopra citata radice mag- incrociatasi con lat. mact-are 'uccidere' e con it. ammazzare . Ma potrebbero darsi anche altre soluzioni come quella di richiamare il ted. Matz, nome di svariati uccelli, o il ted. Mut 'animo, coraggio', got. moths 'coraggio, ira', da una radice *mat: si pensi alla furia di certi venti invernali. Una riflessione oltremodo interessante è la seguente. L’elem. –càuras, nel significato di 'capre', potrebbe essere sì voce dialettale, ma non proveniente direttamente dal lat. capras, bensì da una lingua preistorica con almeno quel termine comparabile con il latino. Perchè il Caur-us e la capr-a sono termini intercambiabili per esprimere la medesima cosa: essere vivente, animale (cfr. ted. Hauer 'porco, cinghiale', da *Kauer, simile al gr. kapr-os 'cinghiale' e lat. capr-a). Così l’uomo primitivo li sentiva e li rappresentava nella lingua.
Mi sembra che il Bracchi, quando più sopra parla di ‘riecheggiamento animistico’, non intenda il fenomeno così come l’ho descritto ma solo nel senso che questi nomi di venti, intesi paurosamente come vuole il loro significato di superficie, attribuiscono a questi fenomeni atmosferici un comportamento simile a quello di esseri viventi. Ma qui si annida l'errore! gli etimi, se rettamente intesi, ci dicono che l'uomo primitivo considerava queste entità non simili ad esseri viventi ma esseri viventi a tutti gli effetti.
La forma scortëca-caprë la riterrei composta di tre elementi, (s)cor-tica-capre. Il primo è sempre il nostro Caur-us o Cor-us, il secondo –tica- è da collegare al ted. ziehen ‘tirare’ imparentato col lat. duc-ere ‘condurre, trarre’ (cfr. del resto l’espressione ted. es zieh-t = c’è corrente d’aria, ted. Zug 'corrente d'aria'). Se teniamo presente che il ted. Ziege significa ‘capra’, quindi un’altra anima, ci accorgiamo di avere a che fare con un composto tautologico trimembre per ‘capra’, come succede per alcuni termini greci quale kolo-kordó-kola ‘interiora’ i cui tre membri singolarmente hanno sempre lo stesso significato. La forma scorcia-cràpe presenta forse un’abbreviazione nel primo membro rispetto alla precedente, con influsso di it. scorza, da lat. scortea 'pelliccia'.
Il sintagma pela-jatte 'vento molto freddo' dovrà essere risolto con lo stesso ragionamento: –jatte (gatto) è quel soffio vitale ripetuto anche nell’elem. pela-, una probabile variante di lat. fl-are ‘soffiare’, ingl. bl-ow ‘soffiare’. La radice ricompare, in forma un po’ diversa, nel diffuso dialettale fil-ipp-ina ‘spiffero, vento freddo’. Un chiaro indizio del valore della componente -ipp- ci è fornito dal nome Ippote, padre di Eolo, signore dei venti, e dal termine lat. hipp-alus 'vento dell'ovest'.
L'idea di 'vento' coincide nel profondo con quelle di 'soffio, spirito, vapore, nuvola, nebbia,ecc.' e per questo motivo io vedo il pela-jatte precedente strettamente collegato con i vari termini citati dal Bracchi a p. 62 come gatina, (a Grosio) 'nebbia condensata, brina che imbianca gli alberi' (alla lettera 'gattina, micetta'), gatina (a Tresivio) 'nuvola', gatina (a Teglio) 'nebbia che si alza dalla valle verso sera e annuncia un peggioramento del tempo'. Il Bracchi pensa naturalmente che questi nomi siano stati coniati dalla fantasia dei valtellinesi ed abbiano un senso traslato oltrechè un sentore di animismo, non giustamente inteso, come abbiamo già visto.
Interessante è anche l'etimo della parola zebra, messa in relazione col vento Zefiro, inizialmente vento freddo del nord, poi vento primaverile dell'ovest. Correva nell'antichità la leggenda delle cavalle fecondate da Zefiro, come dimostra anche il v. 150 del l. XVI dell'Iliade, il quale afferma che i cavalli Xanto e Balio di Achille erano stati generati a Zéphyros dall'arpia Podarge. Ora sta prendendo piede l'etimo che deriva zebra da un lat. parl. *ecifera(m) per il class. equifera(m) 'cavalla selvaggia' attraverso lo sp. zebra. Debbo riconoscere che questa è una buona etimologia anche se, in ottemperanza al principio secondo cui quanto è stato elaborato in antico in termini di folclore e mito trae origine prioritariamente da qualche base linguistica (v. l'articolo I nomi dei piccoli animali, insetti...), non posso accettarla e credo che sia esistito da qualche parte un nome dialettale di animale corrispondente, all'origine della leggenda. Lo dimostra in qualche modo il nome simile di zeba 'capra' giudicato mediterraneo.
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