mercoledì 2 gennaio 2013

La voce BBUVE 'ferita, vescicola, eruzione cutanea, sfogo' del dialetto lucano di Gallicchio-Pz ma circolante ampiamente anche altrove, conferma che la legge di Grimm o rotazione consonantica andrebbe rivista




La voce  lucana bbùvë[1] corrisponde esattamente a quella di bua, buva ‘ferita’ presente nei nostri dialetti marsicani nel linguaggio cosiddetto infantile, usato sia dai bambini che dagli adulti che parlano con loro. Ad Aielli essa ha il significato di ‘ferita, sfogo’ mentre nei vocabolari italiani in genere appare col significato di ‘male, dolore, disturbo, malattia’, il quale ricompare, accanto all’altro, anche nel dialetto del non lontano paese di Trasacco[2].

I vocabolari, come al solito, si precipitano a sostenere un’origine onomatopeica della parola che, secondo il Devoto-Oli, sarebbe addirittura una “onomatopea elementare, fissata in un mugolio doloroso”: è forse vero che la parola bue, di simile struttura,  trae origine dal muggito dell’animale? Chi ci dà tanta ingiustificata sicurezza?  E così si seppellisce per l’eternità ogni ulteriore riflessione sul termine che invece ha una forza rivelatrice e rivoluzionaria senza pari, rispetto ai soliti schemi elaborati dai linguisti.  Ripeterò fino alla nausea che le parole considerate scherzose, infantili, eufemistiche e quant’altro (come fetta ‘piede’ del post Il lino delle fate […]) sono in realtà spessissimo, non il frutto della intenzionalità dell’homo loquens che a volte cercherebbe di addolcire la pillola o sarebbe in vena di scherzare, ma il risultato involontario di un decadere di quelle parole dallo status di membri di diritto del normale linguaggio ufficiale di una comunità, decadenza che può verificarsi per vari motivi, connessi comunque all’apparizione in quel linguaggio di termini omosemantici che vi acquistano maggiore influenza e rispettabilità, e salgono quindi all’apice della gradevolezza, oscurando gli altri dello stesso significato. I quali, per poter continuare a vivere, si adattano a svolgere funzioni marginali e particolari nella semiclandestinità, sperando magari che un colpo di fortuna li riporti un giorno a galla a godere la piena luce del sole.

Ora, a me sembra molto chiaro che il significato di ‘eruzione cutanea, sfogo, vescicola’ di lucano bbùvë connette il termine con la notissima radice di gr. phý-o ‘faccio crescere, creo, sono generato, sono per natura, ecc.’ in quanto ‘escrescenza, vescicola, eruzione’ che sono tutti concetti affini a quello fondamentale della radice, la quale indica la ‘forza della natura’ che dà vita alla vegetazione come attesta anche il gr. phyt-ón ‘vegetale, pianta, albero’ ma anche ‘ creatura, figlio, tumore, ulcera[3].  Il concetto di “ferita, ulcera” dovrebbe essere nella fattispecie il risultato di questa forza della natura che erompe lacerando il tessuto della pelle. Da citare anche il gr. phŷ-ma ‘escrescenza, tumefazione, ascesso’, gr. phý-sis ‘natura, forza della natura, forze’.  Secondo i linguisti la radice base di queste voci sarebbe BHŪ, BHEWĒ : da essa deriverebbero varie forme verbali come lat. fu-i ‘fui, sono stato’, lat. fi-o ‘divento’, lat. fu-turu(m) ‘futuro’, ingl. to be ‘essere’, ingl. to bu-ild ‘costruire’, danese byld ‘foruncolo’, ted. bau-en ‘costruire, coltivare’, sscr. bhu ‘essere, far essere’, bháva-ti ‘è, diventa’.

 Da questo quadro emerge il fatto che parole in circolazione in Italia come la citata bua ’ferita’ presentano, tranne quelle latine, la labiale sonora iniziale come le forme germaniche corrispondenti: ne consegue, quindi,  che anche nell’antichità  dovettero incontrarsi su suolo italico parole appartenenti  a questa radice ma che presentavano un trattamento della sonora aspirata iniziale diverso da quello latino e uguale a quello germanico.  Pertanto sarei propenso a credere, come ho già rilevato nel post precedente La Madonna della Libera […], che le forme latine in fricativa sorda f- (che secondo la legge di Grimm[4] sarebbero derivate dall’aspirata originaria bh-) siano in realtà una sorta di varianti coesistenti con le altre da remotissimo tempo. Se c’è stata trasformazione, essa è avvenuta veramente in epoche lontanissime della preistoria. Lo schema della rotazione consonantica (o Lautverschiebung) previsto da quella legge può a mio parere continuare ad essere considerato valido ma con la consapevolezza, da parte dello studioso, che non di effettiva trasformazione consonantica si tratta, bensì di una più normale sostituzione di varianti, causata forse dalla libera inclinazione di ogni lingua o della parlata delle classi dominanti ad adottare questa o quella forma omosemantica. 

Se ben si riflette si può capire anche il motivo per cui la voce bua, buva (anche bubù [5]) è finita nell’ambito del linguaggio bambinesco. In verità essa aveva dato vita anche a termini col significato di ‘bambino, ragazzo’ come ingl. boy ‘ragazzo’, ted. Bube ‘ragazzo’, allo stesso modo in cui la radice greca corrispondente aveva sviluppato, molto naturalmente del resto, il significato di ‘creatura, essere vivente, figlio’ nel gr. phyt-ón, come abbiamo visto.  Ma la cosa è confermata dal composto tautologico gr. boú-pais ‘giovane fatto’, in cui, come ho più volte mostrato in altri casi, i due membri debbono avere lo stesso significato iniziale.  Quindi se -país significa ‘ragazzo, giovane’ l’altro membro boú- deve significare la stessa cosa.  Questo cosiddetto prefisso bou- che precede anche diversi altri termini, viene comunemente inteso come rafforzativo con l’idea di “grande, immenso”, ma che in questo caso esso significhi ‘ragazzo’, cioè un essere in crescita, ce lo conferma anche, a mio avviso, lo spartano boû-a ‘divisione dei fanciulli dai sette ai diciotto anni’.  La radice ricompare nell’altro composto tautologico gr. bou-kólos ‘pastore (-kólos) di buoi (bou-), bifolco’ che sembra un nome creato apposta per questo tipo di pastore.  Ma noi, che non abbocchiamo più a simili esche, pensiamo che in questo caso bou-  non stia per boû-s ‘bue, vacca’ ma contenga dentro di sé lo stesso significato di ted. bau-en ‘coltivare, costruire’ < a. a. ted. bu-an ‘coltivare, abitare’, danese bo ‘abitare’, significati che riconducono speditamente a lat. col-ere ‘coltivare, abitare, venerare’ e a –kól-os, 2° membro tautologico del composto. Il significato originario del composto doveva essere quello generico di ‘coltivatore, allevatore’ ma finì fatalmente per specializzarsi nel senso di cui sopra, data la presenza in greco del termine omofono boû-s ‘bove’ che andava a sovrapporsi al 1° membro, e la scomparsa, nella coscienza del parlante, del significato originario della radice bou- che è, in questo caso, variante della radice di gr. phý-o sopra analizzata.  Anche per il greco, allora, risulta un po’ stretto lo schema delle trasformazioni consonantiche nelle lingue del gruppo arioeuropeo, schema che prevede per le labiali sonore aspirate (bh) indoeuropee la trasformazione in labiali sorde aspirate (ph) per la lingua greca. 

A me sembra così di poter asserire, limitatamente agli esempi riportati, che forme non rispondenti ai canoni ufficiali delle trasformazioni consonantiche, fossero presenti, benchè in fase di decadimento, anche nella lingua greca, e che la loro coesistenza con le altre forme ufficiali non possa essere messa in dubbio: ciò toglie ad altre lingue, dove esse ricorrano, la possibilità di rivendicarle come esclusivamente proprie.


                                                         Viva la Libertà





[1]  Cfr. sito web Dizionario di Gallicchio. L’autrice M. G. Balzano lo ha compilato con professionalità e precisione.  Sotto la voce bbùvë sono elencati degli esempi da cui si evince che la parola non è affatto bambinesca in quel dialetto, tanto più che la Balzano, solitamente attenta, non ne evidenzia tale accezione.
 
[2] Cfr. Q. Lucarelli, Biabbà A-E, Grafiche Di Censo, Avezzano-Aq 2003, s. v.  Da tener presente anche il lat. boa(m), bova(m),boba(m) ‘serpente boa’ ma anche ‘roseola, eruzione cutanea’; marchigiano (a Fabriano) bo(v)a ‘enfiatura’ (cfr. I dialetti italiani, UTET, Torino  1998). 

[3] Cfr. G.Gemoll, Vocabolario greco-italiano, Edizioni R. Sandron, Firenze, ediz. 23.ma.

[4] La legge di Grimm riguarda specificamente le presunte trasformazioni in germanico delle consonanti dell’indo-europeo, ma di riflesso coinvolge anche le corrispettive trasformazioni in altre lingue del gruppo.  Faccio notare che anche in latino ricorrevano forme in labiale sonora al posto di quelle canoniche in fricativa sorda, come dimostra la parola boa(m),bova(m),boba(m) ‘roseola’ citata alla nota 2. A Trasacco si incontrano (Cfr. l’opera di Q. Lucarelli, citato alla nota 2.)   fëccùtë e pëccùtë con lo stesso significato di ‘profondo, cupo’.

[5] Cfr. T. De Mauro, Dizionario della lingua italiana, Paravia B. Mondadori Editori, Milano 2000. Nell’inglese dialettale si incontra la voce boo-boo ‘leggera ferita, contusione, graffio’.  Essa viene usata soprattutto per i bambini, dice il vocab. Merriam-Webster.  Non si esclude del tutto, quindi, un suo uso più generico, confermando così la mia tesi sull’originaria serietà di questi termini.

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