Natale, Magi, Epifania: una matrice comune nei culti solari mediorientali ed egizi
Tutte le festività ruotanti intorno alla
nascita del nostro Salvatore con i relativi riti ed eventi, veri o presunti che
fossero, vanno a mio avviso inquadrate nel solco di una tradizione o, meglio,
di molteplici tradizioni astrologico-mitico-religiose di origine antichissima
che affollavano in quel tempo l’ambiente saturo di spiritualità, in attesa di
un Salvatore, del Vicino Oriente, crocevia di correnti culturali provenienti
dall’antico Egitto, dalla civiltà della Mesopotamia nonché da quella
dell’antica Persia. «Queste leggende orientali ―afferma infatti il Cattabiani[1]
riguardo a diversi racconti sui Magi pervenutici attraverso i Vangeli apocrifi
ed altri scritti― sono il frutto di un processo sincretistico che tendeva a
cristianizzare le tradizioni religiose dell’area mesopotamica e iranica. Ma,
come sempre accade nei processi di assimilazione, molti aspetti della religione
mazdeica e di quella caldea penetrarono nella cristianità. Né v’è da
scandalizzarsi poiché
La questione della Stella
Cometa, per la quale sono state avanzate diverse ipotesi nel passato (c’è chi
vuole che si tratta di una cometa
vera e propria, chi di una supernova e
chi di una congiunzione dei pianeti Giove,
Saturno, Marte), si risolve a mio
avviso con molta semplicità applicando sul nome il mio solito metodo di ricerca
convalidato dai numerosi esempi presenti negli articoli del mio blog. L’espressione stella cometa sembra
risalire a Giotto che all’inizio del 1300 la dipinse con una lunga coda nell’affresco
della natività della cappella degli Scrovegni a Padova, dopo essere rimasto probabilmente
impressionato dalla visione della cometa di Halley passata qualche anno prima. Da
questo autorevole esempio si sarebbe diffuso nei secoli successivi l’uso di includere
una cometa nella scenografia della natività.
Ma d’altra parte è certo che lo scrittore-teologo Origene (185-254) già
nei primi secoli del cristianesimo aveva parlato di cometa a proposito dell’astro che secondo il vangelo di Matteo
avrebbe guidato il cammino dei Magi dall’oriente. E’ quindi a mio parere almeno
supponibile, stante la interpretazione di Origene, che questa idea della cometa circolasse in qualche ambiente
dotto o popolare, soprattutto perché, come spiegherò tra poco, la parola già ricorreva,
con funzione e significato solo apparentemente diversi, in altre tradizioni greche
e orientali, prima e dopo della nascita
di Cristo.
Nell’articolo La tradizione della Panarda e i suoi
rapporti con miti di antichissime divinità solari del gennaio 2012 ho già individuato nella tradizione relativa
a sant’Antonio Abate gli elementi che rimandano alla
divinità solare di Apollo degli antichi greci[2]. Nell’Iliade Omero usa chiamare il dio akerse-kómes
[3] ‘dall’intonsa
chioma’, epiteto il cui secondo membro, come ho fatto notare in quell’articolo,
doveva avere un significato di ‘luminosità’ che ribadiva tautologicamente
quello del primo, secondo i principi della mia linguistica ricordati ad nauseam nei post precedenti. Il gr. kom-étes esibiva due
significati, ‘dai lunghi capelli’ o
‘dalla lunga barba’: in quest’ultimo senso dovette generare la rappresentazione tradizionale del
Santo con una lunga barba bianca. A mio
avviso questa radice kom- è variante
di quella del termine rom kam ‘sole’
o dell’arabo gam-ra ‘luna’. E’
pertanto possibile che il termine kométes
sia stato uno dei tanti appellativi del Sole col significato di ‘luminoso’ e
simili, a meno che non fosse stato addirittura un sostantivo designante il sole
stesso o qualsiasi altro astro. Il suo
incrociarsi col termine kóme ‘chioma,
capelli’ ne specializzò il significato nel senso di ‘chiomato’ riferibile anche
alle comete che sono dei corpi
celesti luminosi che di solito
presentano una coda più o meno lunga. In
questo modo verrebbero a cadere tutte le altre più o meno artificiose ipotesi
relative alla tradizione della cometa
del Natale, la quale certamente non dovette essere un fenomeno celeste ma doveva
alludere alla natura solare e divina del bambino Gesù. In questo modo si capirebbe meglio anche
perché tradizionalmente il Nazareno venisse rappresentato con lunghi capelli e
con barba, anche se non troppo lunga. D’altronde
si intuisce facilmente che il campo semantico dei raggi del sole, ad esempio,
deve essere affine a quello dei capelli:
si tratta sempre di escrescenze, emanazioni e simili. A Roma il Natale
sostituì, come è ben noto, la festa pagana del Sole Invitto.
Una cosa che ho scoperto
recentemente e che mi sembra spiegare a puntino l’iconografia tradizionale della
natività è lo schema della costellazione zodiacale del Cancro (che, tra
l’altro, non assomiglia affatto alla forma di un cancro) nella quale il sole
entra, come abbiamo appreso già dai banchi del Liceo, in corrispondenza del solstizio d’estate, periodo di
festeggiamenti solari in quasi tutte le comunità antiche e preistoriche, come
avveniva nel contrapposto solstizio
d’inverno. Attualmente, a causa della cosiddetta precessione degli equinozi, sappiamo che non esiste più un’esatta linea
di congiunzione Terra-Sole-Costellazione come al tempo degli antichi greci e
che, pertanto, l’ingresso del sole in una certa costellazione dello zodiaco in
realtà avviene con un notevole ritardo (circa 30 gradi) cosicchè quando, ad
esempio, si dice che il sole è in Ariete esso si trova in effetti nella
costellazione precedente dei Pesci. Ma
questi dettagli astronomici a noi ora interessano poco e perciò non vi
insistiamo più di tanto. In estrema
sintesi si può asserire che la costellazione del Cancro è composta da un
ammasso centrale di stelle visibile a noi come una nebulosa che i greci chiamavano phátne
‘mangiatoia’. A nord e a sud di questo
ammasso sono situate due stelle nominate latinamente Asellu(m) Boreale(m) ‘Asinello Boreale’ l’una, e Asellu(m) Australe(m) ‘Asinello Australe’
l’altra. Non si può negare, mi sembra,
che questa disposizione abbia fornito il modello incontrovertibile, con una
variante di scarso peso, alla rappresentazione della natività di Betlemme, con
il bambino deposto da Maria nella mangiatoia
(phátne, nel vangelo di Luca) e con
il bue e l’asinello ai lati, copia, appena variata, dei due asinelli della costellazione. Appare
così evidente, a mio parere, oltre al fatto che, quanto alla natività,
probabilmente gli astronomi e gli storici delle religioni non si sono mai
parlati tra loro da 2000 anni a questa parte, anche il fatto che tutta l’iconografia
della natività ha un’origine prettamente astronomica: il bambino nella
mangiatoia rappresenta il Sole che entra, come abbiamo detto, nella
costellazione del Cancro, per la precisione nel bel mezzo della sua mangiatoia, cioè la nebulosa a cui si è
accennato. Ma siccome la natività di
Betlemme riguarda il solstizio d’inverno, il Sole non vi può essere
rappresentato nel pieno della sua forza e fulgore, bensì nelle forme di un Solicello, il bambino Gesù che tuttavia
esplicherà tutta la sua potente forza divina di rinnovamento spirituale quando
avrà raggiunto la maturità, rappresentata dal sole nel segno del Cancro, dove l’astro
brilla in tutta la sua potenza all’inizio dell’estate. Inoltre, a voler essere più esaustivi circa la
probabile origine della figura del bambino, non si può passare sotto silenzio nemmeno
il fatto che, secondo la mitologia greca, la costellazione del Capricorno, dove
il sole entra nel solstizio d’inverno, corrispondeva alla capra Amaltea che aveva nutrito Zeus bambino,
il dio il cui nome, come vedremo più sotto, in una precedente fase preistorica
dovette indicare il Sole[4]. Per quanto riguarda la variazione del bue
che sostituisce l’asinello della costellazione, accenno, per non
appesantire troppo il discorso, solo al fatto che il bue nella mitologia greca era animale sacro al Sole: tutti
ricorderanno il misfatto dei compagni di Ulisse che giunti nell’isola di
Trinacria (Sicilia) uccisero a sua insaputa buoi di una mandria sacra al Sole
Iperione (Od. XII). Nulla, in questi racconti mitici, è gratuito
o attribuibile alla fantasia di qualcuno, ma tutto può e deve spiegarsi con
un’analisi linguistico-culturale, sempre aderente alla corposità polivalente[5]
delle parole, per non cadere, appunto, negli errori di spiegazioni più o meno
fantasiose. Altro bue interessante come antica divinità solare è quello che anima la
festa di San Zopìto a Loreto Aprutino-Pe,
di cui ho parlato ampiamente nell’articolo San
Zopìto, san Pietro, Giove ed altro
presente nel mio blog (giugno 2009).
Papa Joseph Ratzinger non ha sfoltito di molto la tradizionale iconografia
della natività nel suo ultimo libro L’infanzia
di Gesù (Rizzoli, Lev) con una interpretazione sostanzialmente teologico-allegorica
dei fatti e circostanze connessi i quali, nonostante i dubbi e le problematiche
che essi pongono, potrebbero tuttavia mantenere, secondo lui, una certa consistenza
storica: la cometa, pur essendo stata interpretata come un racconto teologico, non
esclude un possibile riferimento a qualche fenomeno astronomico come la
congiunzione dei pianeti Giove Saturno e Marte che secondo Keplero sarebbe
avvenuta a cavallo degli anni 7-
I Magi, infatti, che secondo
il racconto biblico andarono a Betlemme per adorare il Bambino, erano probabilmente
degli adoratori del fuoco e del Sole appartenenti ad una classe di
supersacerdoti della Media, detentori del sapere astrologico ed astronomico (a loro
stessi quindi, che certamente mai si erano mossi per recarsi in Giudea, è da
ricondurre semmai l’iconografia solstiziale della natività: fu questa a
viaggiare col tempo nell’area del Medio Oriente, non i magi) imbevuto di zoroastrismo
e mitraismo, religioni persiane riservanti ampio spazio al principio della Luce
e al Sole, come sembra adombrare, tra le altre, anche la leggenda (riferita da
Marco Polo nel Milione) del bossolo chiuso dato ai magi dal Bambino
perché lo portassero con sé tornando alle loro terre. I Magi lo aprirono durante il viaggio e
videro che esso conteneva una pietra. La gettarono delusi in un pozzo e subito
dal cielo scese un fuoco ardente. Capirono
così che quello era un gran segno e presero parte di quel fuoco per portarlo al
loro paese e costruirgli un gran tempio dove da quel tempo arde perennemente,
considerato come un dio[8].
La festa dell’Epifania, nata
in Oriente verso il 120-140 d. C., celebrava all’origine, il 6 di gennaio, il
battesimo di Gesù tra gli gnostici basilidiani, i quali credevano che
l’incarnazione del Signore fosse avvenuta col suo battesimo e non con la
nascita. E’ ad ogni modo bene notare che
il 6 gennaio era anche la data paleoegizia del solstizio d’inverno nella quale
si festeggiava il nuovo sole e che l’Epifania era nota, e lo è tuttora nelle
Chiese orientali, anche come festa delle
luci a detta di san Gregorio Nazianzeno[9],
dove si coglie il segno dell’antico culto mazdeico della luce. Essa ha finito con l’assumere sensi e
sfumature diverse ruotanti intorno al significato del gr. epipháneia ‘apparizione (agli uomini), manifestazione delle varie
nature del Cristo’ nelle Chiese orientali e in quella occidentale che aveva già
iniziato a celebrare il Natale il 25 dicembre.
Ultima e interessantissima
scoperta linguistica: il circolo dello Zodiaco, dal gr. zōidiakós (kýklos), cioè
‘(circolo) delle figure celesti’, va interpretato in modo diverso dal consueto. Il gr. zó-idi-on ‘animaletto, figura’ è diminutivo di gr. zó-ion ‘vivente, animale’ ma, a mio
avviso, questo significato di superficie qui ne copre un altro, quello della
radice di gr. Zeús, genit. Di-ós
‘Zeus’ che, come è ben noto, è la stessa di lat. Iu-ppiter < *Diu-ppiter ‘Giove’ e di lat. di-e(m) ‘giorno’. Evidentemente il sommo Giove, prima di diventare
il padre degli dei e degli uomini e il signore del cielo, della folgore e degli
altri fenomeni atmosferici, era stato dio del Sole e della sua Luce. Pertanto il termine Zo-diaco va sciolto in ‘viaggio, percorso (-diaco) del Sole (Zo-) nel cielo’ perché la seconda
componente –diaco dovette essere, in
una fase preistorica, sostantivo del verbo gr. di-ágō ‘trasporto, tragitto, trascorro’ o del verbo gr. di-ókō ‘inseguo, corro, ecc.’, e dovette
indicare il percorso apparente del
sole sul piano dell’eclittica durante l’anno. Il significato di ‘sole’, per la
componente Zo-, è confermato
dall’analisi da me fatta del nome di san Zo-pìto di Loreto Aprutino, per la quale rimando all’articolo sopra citato,
nonché dall’epiteto Zo-stério di Apollo[10].
Ma è più stupefacente ancora il dover constatare che, in base al principio
tautologico da me stabilito in virtù del quale le componenti di un composto
avevano all’origine lo stesso significato, anche il 2° membro –diaco era sicuramente all’origine un nome
per ‘luce, sole’ composto a sua volta dalla radice di- di lat. *Diu-ppiter ’Giove) e dalla radice ag-
di a. ind. ag-nis ‘fuoco’, lat. ig-ne(m)’fuoco’[11]. Anche
questo esempio dello Zodiaco dimostra che, scava e riscava, i nomi finiscono
sempre con l’indicare, direttamente e semplicemente, l’oggetto o l’azione che
rappresentano. D’altronde anche il
significato di ‘animale’ di gr. zóion
è molto vicino, a mio avviso, a quello di ‘vita, calore, sole’. Avrebbe dovuto far nascere qualche dubbio sulla
genuinità dell’etimo tradizionale di Zodiaco già il fatto che solo sette suoi segni
su dodici alludono ad animali.
E’ mio proposito cercare di capire meglio, infine, se
per caso il cosiddetto Camino de Santiago
o semplicemente Camino (che nel
medioevo ―con una reviviscenza nei nostri giorni― vedeva nella Spagna
settentrionale un’infinità di pellegrini in marcia da oriente verso occidente
per raggiungere Santiago de Compostela,
città situata non troppo lontano dalla località di Finisterre sull’Oceano Atlantico,
dove esso terminava) non sia stato in realtà un itinerario religioso già percorso
nella preistoria da popolazioni celtiche o meno come segno di devozione verso
il dio del Sole. Non è azzardata quindi la proposta, se a Finisterre secondo la
tradizione esisteva un’Ara Solis ‘Altare del Sole’ che
continuava un culto precedente alla romanizzazione, di scomporre il nome in San-tiago, invece che in Sant-iago[12]
‘San Giacomo’ come comunemente si fa, e intenderlo, allo stesso modo dello Zo-diaco, come *San-diaco ‘percorso, cammino(-diaco)
del Sole (San-)’: per il primo membro *San- cfr. gr.dial. Zán
‘Zeus’(con la zeta sonora, se non pronunciata come fricativa sonora), ingl. sun
‘sole’, ted. Sonne ‘sole’, serbo-croato sunce ‘sole’.
ALMO SOLI
GRATIAS PLURIMAS
AGO
[1] Cfr. A. Cattabiani, Calendario, Mondolibri S.p.A. 2004,
Milano, p. 94.
[2] Per un’analisi più ampia
della questione rimando all’articolo citato del gennaio 2012.
[3] Mi pare che anche Dioniso, figlio di Zeus,
avesse questo stesso epiteto. La componenete akerse- (intesa come ‘intonsa’ dalla radice di gr. keírō ‘recido, toso’ preceduta da alfa
privativo) ha la stessa radice, a mio avviso, della voce del dialetto parmigiano
agher, reso in italiano con agro nel Dizionario della
lingua italiana (Ceschina, Milano 1957) di Fernando Palazzi, che significa
‘massa informe di ferro ancora misto con scorie, tirata fuori dalla poffa
(fuoco) con la vergella (paletta per il fuoco)’. In greco si incontra un altro composto
leggermente diverso nella forma esteriore ma con altro significato, e cioè egresí-kōmos ‘eccitatore (egresí-) di festosa baldoria (-kōmos)’
riferito sempre a Dioniso, figlio di Zeus.
E’ a mio avviso evidente che l’origine preistorica di questi due
composti è la stessa, ma successivamente essi subirono due rietimologizzazioni
diverse. L’idea di ‘eccitamento’ è molto
simile a quella di ‘forza, calore’ del precedente composto come anche l’idea di
‘baldoria, orgia’ del resto. Nell’antico
indiano il nome segreto di Agni, dio del fuoco (lat. igne(m) ‘fuoco’), è proprio agre
che però in quella lingua significa ‘avanti’, avverbio che condivide chiaramente
lo ‘scatto (in avanti)’, lo ‘slancio’ col fuoco! Agréus ‘cacciatore’ è in greco epiteto di Apollo, dio del sole, di
Pan, antico nome di un dio solare (cfr. l’articolo del mio blog La tradizione della Panarda […] del
gennaio 2012) e di Poseidone, dio del mare, le cui onde e cavalloni assomigliano molto alle emanazioni solari.
[4] Il segno del Capricorno in greco era chiamato
aigó-kerōs cioè ‘corno (-kerōs) della capra (aigó-)’ la cui seconda componente -kerōs si prestava benissimo, a mio parere, ad essere interpretata
come ‘figlio, bambino, giovane’ e ad essere considerata della stessa radice di
gr. kóros, koûros, kôros ‘bambino, fanciullo,
giovane, figlio, rampollo, stelo’ e di lat. cre-sco ‘cresco’, lat. Ceres
‘Cerere’ dea della fertilità e delle messi.
Si acclara così anche l’origine della Cornucopia (lat. cornu copiae
‘corno dell’abbondanza’) posseduta dalla capra Amaltea, corno pieno di ogni bendidio
(gr. Amaltheías kéras ‘corno di
Amaltea’). Anche il concetto di “corno”
rientra in quello sovraordinato di “escrescenza, crescita”.
[5] Io penso, tanto per fare un esempio, che lo
stesso gr. kár-kinos ‘granchio;
costellazione del Cancro’, termine presente anche nell’antico indiano, abbia
dato origine all’idea dell’asino e del bue.
Nei dialetti iranici del Pamir, infatti, la voce khar (divenuta poi kar) designa l’asino. La radice è
rintracciabile, del resto, anche nel francese antico har-az ‘allevamento di cavalli’
e, se si vuole, anche nell’incitamento rivolto un tempo solo al somaro,
nel dialetto del mio paese, arri là, arri qua ‘(vai) di
là, (vai) di qua’. La componenete –kinos
trova un’esatta rispondenza nell’inglese arcaico kine ‘vacche’. Altre radici
potrebbero essere coinvolte, che indicano però altri generi di animali, per
effetto di una loro specializzazione che le allontana dal significato generico
di ‘animale’ che all’origine avevano.
[6] La presenza del bue e dell’asinello nella
stalla della natività è fatta risalire
dal Papa alla suggestione generata nei fedeli da luoghi biblici come quello di
Isaia 1,3 nel quale testualmente si dice: «Il bue conosce il suo proprietario e
l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non
comprende». Il profeta qui parla della
degenerazione e corruzione del popolo d’Israele che non vuole riconoscere di
appartenere a Dio e non vuole comportarsi saggiamente. Certamente c’è una coincidenza di parole
(bue, asino, greppia) che potrebbe aver influenzato la strutturazione della
scena della natività ma c’è altresì una quasi totale dissonanza di argomenti
tra i due termini di paragone (
[7] Il
Papa, per avvalorare la storicità della natività narrata dal vangelo, a p.81
del suo libro testualmente afferma:«Già in Giustino martire († ca. 165) ed in
Origene († ca. 254) troviamo la tradizione secondo cui il luogo della nascita
di Gesù sarebbe stata una grotta, che i cristiani in Palestina indicavano. Il fatto che Roma, dopo l’espulsione dei
Giudei dalla Terra Santa nel II secolo, abbia trasformato la grotta in un luogo
di culto a Tammuz-Adone, intendendo evidentemente sopprimere la memoria
cultuale dei cristiani, conferma l’antichità di tale luogo di culto e mostra
anche la sua importanza nella valutazione romana. Spesso le tradizioni locali sono una fonte
più attendibile che le notizie scritte. Si può quindi riconoscere una misura
notevole di credibilità alla tradizione locale betlemmita, alla quale si riallaccia
anche
[8] Cfr.
A. Cattabiani, cit., p. 97. Lì, tra l’altro, si afferma che i Magi erano
coloro che possedevano il mag (che
letteralmente significa ‘dono’), il potere mediante il quale si otteneva una illuminazione o visione diretta delle cose e una conoscenza al di fuori
dell’ordinario. A me pare che in questo
significato la radice si incontri con quella del gr. mák-ella dal significato di ‘zappa’ ma anche di ‘folgore (di Giove)’,
con cui si introduce un suo probabile valore generico di ‘luce, luminosità’.
[9] Cfr. A. Cattabiani, cit., p. 102 e sgg.
[10] Cfr. articolo del mio
blog (novembre 2010) intitolato La dea
Angizia […].
[11] La componente –diaco , con la caduta della dentale iniziale, va a confrontarsi col
ted. jag-en ‘cacciare, dar la caccia’, ted. jäh,
jähe
‘veloce, impetuoso, ecc.’ Essa ricompare
a mio avviso nell’espressione ingl. jack-o’-lantern ‘fuoco fatuo’ ma anche ‘zucca svuotata e illuminata
dall’interno con incisi i tratti di un volto umano’, lett. ‘Jack della
lanterna’, il che fa supporre che il personale it. Iago (che potrebbe tuttavia confondersi con Iaco, forma abbreviata di Iacopo)
faccia riferimento, in ultima analisi, allo ‘spirito’ dell’uomo se qui la
parola vale ‘fuoco, luce’. In inglese Jack è sentito ora come diminutivo di John ‘Giovanni’ o di Jacob ‘Giacomo’, ma la sua vera origine
poteva essere molto più antica e risalire alla forma –diaco di cui si parla. Anche il lat. igne(m) fatuu(m) ‘fuoco
fatuo’ non la racconta giusta sul significato di fatuu(m) che in latino valeva solo ‘stupido, insulso, sciocco,
buffone’ e un fuoco non lo potrebbe mai essere!
La spiegazione sta, per me molto
chiaramente, nel riconoscere che la radice è la stessa di lat. fatu-ari ‘essere ispirato, essere in preda dell’agitazione
profetica’ il quale, a sua volta, aveva un duplice etimo, come in una
successione di strati, quello di lat. fari
‘parlare’ (in quanto profeta, indovino) e quello di ‘spirito’ in quanto i
profeti in genere era presi da ‘entusiasmo’, lett. ‘agitazione o furore divino’.
Da ricordare il dio latino della natura Fatuu(m), altro nome di Fauno, ritenuto
indovino. Sicchè, in conseguenza di questi meccanismi, vedo profilarsi in
lontanza anche la possibilità di interpretare la parola phát-ne ‘mangiatoia, cassettoni del soffito, cielo d’una stanza,
alveoli dei denti’, che designava l’ammasso nebuloso della costellazione del
Cancro, come rietimologizzazione di un probabile precedente vocabolo per
‘luminosità, luce’, concetto vicino a quello di ‘spirito’, e non come
allegorica ‘mangiatoia’. E così di significato
in significato le etimologie raggiungono,
a mio avviso, il profondo vero che si
rivela molto più cordiale e semplice di quanto generalmente si crede.
[12] Il nome della città sarebbe derivato dal
fatto che, nel medioevo, vi fu rinvenuta la tomba di san Giacomo apostolo, il
quale, secondo gli Atti degli Apostoli era invece morto in Palestina (At 12,1-2). A me pare chiaro che tutta la storia della
tomba di Giacomo rinvenuta a Santiago de Compostela si sia naturalmente
originata da mera coincidenza di nomi, essendo il toponimo della città a quanto
pare preesistente al nome dell’apostolo. Anche il nome della Costa della Morte (tra
Finisterre e Malipica) di fronte all’oceano, credo sia dovuto, più che ai
probabili naufragi avvenutivi, al fatto che lì, nell’Atlantico, il Sole va a
tramontare, cioè a morire.
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