Ho dovuto
constatare, negli articoli precedenti, che anche il Vangelo presenta talora episodi
che, a mio parere, rimandano a miti e leggende sviluppatisi verosimilmente già
prima del tempo di Cristo e inseriti, volutamente o meno, nella trama delle vicende
in esso narrate le quali, almeno per i credenti, avrebbero il crisma indiscusso
della storicità. O si deve ammettere, con
buona pace dei fedeli, che potrebbe essere vero l’inverso, che cioè è la gran
parte delle vicende stesse riportate dal Vangelo a trarre origine e giustificazione
da miti e leggende preesistenti?
Mi sono
imbattuto per caso, nelle mie scorribande toponomastiche alla ricerca di nomi
particolari, nelle terme di San Zaccaria della città di Brennero-Bz, e
le ho collegate con il toponimo Casale San
Zaccaria del comune di San Gregorio Magno-Sa, nei pressi del quale sgorga
una abbondandissima sorgente captata da un acquedotto. Diverse altre saranno le località così
chiamate collegabili a sorgenti, e pertanto simili, nel nome, a fonte Val-zacchera
(Serravalle di Chienti-Mc) in cui la componente Val- rimanda a molti altri idronimi (per l’etimo cfr. ted. Welle ‘onda’). L’altra componente, variante di Zaccaria, chiama in causa il got. tagra ‘lacrima’, n.a. tedesco zähra ‘lacrima’, longob. Zahhar
‘liquido gocciolante’ (da cui l’it. zàcchera),
gr. dákry ‘lacrima’, acque minerali Zagori in Grecia e Zagro in Iran. In Austria
scorre un Sacher-bach (ruscello Sacher, come rio Sacro sui monti Sibillini), nome la cui /s/ iniziale è sonora e quindi vicina all’affricata sonora /z/.
L’idronimo risulta a mio avviso incrociato col ted. Sache ‘cosa’; allo stesso modo quelli del tipo ted. Zucker-bach, ingl. Sugar-brook ‘ruscello
dello zucchero’ si sono incrociati con le rispettive parole per ‘zucchero’.
Nel Vangelo di Luca si parla del sacerdote
Zaccaria, marito di Elisabetta, originario della Giudea secondo il vangelo di
Luca (I,39) e, secondo la tradizione, precisamente del villaggio di Ain Karem ‘Fonte (arabo Ain) dell’Orto (Karm)’. Questo nome della fonte dovette passare ad indicare
globalmente il paese, probabilmente già nella preistoria, come avviene spesso,
e comunque prima della venuta di Cristo nonostante l’apparenza, lasciando la
fonte libera di ricevere altra denominazione nell’avvicendarsi nel luogo di civiltà
diverse perché essa attualmente è chiamata Ain
Sitti Maryam ‘Fonte (Ain) della
Signora (Sitti) Maria (Maryam)’[1]. E’
proprio questo nome, allora, che potrebbe aver dato il via, secondo me, alla leggenda
dell’incontro ivi avvenuto tra Maria e la cugina Elisabetta, la cui eco sarebbe
presente nel racconto di Luca. Maria, già incinta di Gesù, avrebbe raggiunto
questa località della Giudea situata a circa 120 chilometri da
Nazaret in Galilea sottoponendosi, così, ad un notevole strapazzo da sopportare
anche nel viaggio di ritorno, avvenuto dopo tre mesi. Non sembrano distanze
abbastanza disagevoli per quei tempi, da percorrere a piedi o sul dorso di un
animale, da parte di una donna incinta? Questa domanda se la sono posta in
molti. Si sa che il nome Maria in ebraico suona Miryam ma in aramaico era Maryam:
si trattava evidentemente di varianti fonematiche facilmente intercambiabili,
specie in toponomastica. La radice di
quest’ultimo idronimo si ritrova in diversi altri sparsi in varie parti
d’Europa come nel Fiume Mare-potamo
(Calabria), Rio Santa Maria,
affluente del Cedrino (Sardegna) e addirittura in idronimi dell’area germanica come
Marien-quelle ‘Sorgente Maria’, terme
presso Vienna, e Marien Brunnen
‘Fonte di Maria’ (acqua minerale) o
come le varie Saint Mary’s Well ‘pozzo di Santa Maria’, sorgenti sacre nella Scozia, dove si
trova anche un idronimo come Isle Maree, il
quale dovrebbe togliere ogni dubbio sul valore delle precedenti Mary (Maria). La radice riappare anche nella località
chiamata Mara dove gli Ebrei guidati
da Mosè fecero la prima sosta nell’attraversamento del deserto del Sinai (Esodo
15,23-25). Il racconto biblico riferisce
che in quel luogo le acque erano amare
ma è chiaro che questa loro caratteristica
è venuta fuori solo in conseguenza dell’interferenza con la parola ebraica per
‘amaro’(marah), se il testo afferma “per questo lo (il luogo) chiamarono Mara “.
Mosè vi gettò un legno mostratogli dal Signore e le acque diventarono
dolci. Lo erano, in effetti, già in
precedenza, ma, come ho detto, gli incroci, favoriti dall’ ampia dimensione
diacronica delle parole di questi testi antichissimi, che avranno avuto anche
un lungo periodo di trasmissione orale, determinano questi, chiamiamoli così,
incidenti di percorso. Molto
significative, infine, sono la
Pieve di Santa Maria dell’Aquila, a Sorano in prov. di Grosseto nei pressi di una
sorgente termale, e la chiesa di Santa Chiara d’Aquili, nata come Santa Maria d’Aquili (cfr. anche Fonte Santa Maria, sul Gran Sasso),
nella cui area, secondo la maggioranza degli studiosi, si troverebbe la
sorgente principale della famosa Fontana delle 99 Cannelle all’Aquila; nelle
vicinanze sorgeva l’insediamento altomedievale di Acquili che, probabilmente, ha dato il nome all’intera città. L’etimo del toponimo L’Aquila potrebbe essere
quindi di natura idronimica ed essere apparentato col lat. aqua ‘acqua’ come la
Fonte dell’Aquila (Parco
Nazionale dei Sibillini), il torrente Aquila
(Finale Ligure) ed altri idronimi. Anche la chiesetta di San Vito, dirimpetto alla Fontana delle 99 Cannelle, si inquadra
nella serie idronimica di Fonte San Vito di Cerchio, Canistro, ecc. La radice, secondo me, non può essere in
quest’ultimo caso che quella del greco (w)ýdor
‘acqua’ come ho avuto modo di notare,
con dovizia di particolari, in altri articoli.
Una fontana Ain Sitti Maryam
(Fonte della Signora Maria) esiste tuttora anche a Nazaret e naturalmente si tramanda
che lì avvenne l’annunciazione dell’arcangelo Gabriele a Maria. Sono convinto che, andando a cercare in tutto
il territorio della Palestina e dintorni, si incontrerranno diverse altre fonti
di tal nome che per ciò stesso dovrebbero togliere credibilità, a mio avviso,
ai racconti che tradizionalmente collegano alcune di queste fontane ad episodi
della vita di Maria narrati dal Vangelo.
Nella chiesa della Natività di San Giovanni, esistente nel villaggio di
Ain Karem, si trova una grotta nella quale sarebbe nato il Santo: mi viene in
mente la grotta di Pan nelle Macre di Atene dove Creusa, incinta di Apollo,
avrebbe dato alla luce Ione, il cui nome assuona bene con quello di Johannes,
oltre a richiamare le varie Grotte di san
Giovanni, sparse in tutta Italia. La radice in questo caso è simile a
quella di lat. ianu(m) ‘passaggio
coperto’, lat. ianua ‘porta’. Mi chiedo perché mai, quando leggiamo di
simili eventi fantastici in altre religioni, non possiamo non accogliere con un malcelato sorriso i relativi racconti,
ma quando poi si tratta della nostra religione diventiamo razionalmente sordi,
pronti ad accettare anche le cose più incredibili, giustificandole con il
sostenere che Dio può tutto.
Nell’altra chiesa del villaggio, quella della Visitazione, sgorga, da
un’altra grotta, l’acqua di una fonte la quale, evidentemente, doveva portare
il nome di San Giovanni prima che esso passasse ad indicare quello della chiesa
, come ci fa capire la tradizione secondo cui la fonte servì a dissetare il
Santo e sua madre Elisabetta, quando essi, in un anfratto della parete rocciosa
aperto da Dio, si erano nascosti per sfuggire ai soldati inviati da Erode nella
famosa strage degli innocenti. Questa
fonte, in realtà, deve essere stata oggetto di culto fin dai tempi più remoti,
precedenti all’avvento del Cristianesimo, come avveniva per moltissime altre
fonti, e deve aver dato il via a storie più o meno leggendarie confluite
successivamente nel racconto evangelico.
Numerosissime sono anche in Italia e in Europa le fonti che si
richiamano al nome del Santo, e che riconducono pertanto alla stessa radice di ianu(m) nel suo significato di
‘passaggio’ e quindi di ‘movimento’, caratteristica fondamentale dell’acqua. E in effetti in ebraico il termine per ‘fonte,
sorgente’ suona ma’yan oppure maa-yan: che la parola debba essere
segmentata in questo modo, risultando così composta da due costituenti
tautologiche, me lo suggerisce l’arabo maa
‘acqua’. Anche la mitologia porta acqua
a questo mulino, se il dio latino Ianus era capace di far scaturire fiumi e fonti ed
aveva come moglie la ninfa Iuturna, protettrice
delle sorgenti, e come figlio Fontus
o Fons. Chiarificatrici del processo
di “santificazione” sono la Fonte Giovanni e
l’Acqua San Giovanni nell’area del Gran Sasso.
Elisabetta (ebr. Elishebà), la moglie di Zaccaria, doveva essere
anch’essa un altro nome per ‘acqua, sorgente’ composto
di almeno due elementi, Eli- e
-sabetta (-shebà). Per
il primo basta pensare alla Fonte di Elia,
sul monte Carmelo in Palestina, e alle varie altre dell’Italia come Fonte Elia a Collelongo (Aq). L’idronimo fa
venire in mente il fiumicello laziale Allia,
famoso per la sconfitta che i Galli inflissero ai Romani nel 390 a.C. Ma non bisogna passare sotto silenzio nemmeno
la località El-im, seconda tappa
degli Ebrei nell’attraversamento del deserto, dove erano ben dodici sorgenti. La radice EL è ben nota ai linguisti nel suo
significato di ‘essere in movimento’ come nel lat. amb-ul-are ‘andare attorno, passeggiare’, greco elá-o ‘spingere, muoversi’ e, credo, nel
fr. aller ‘andare’. La segmentazione Eli-sabetta
mi è stata suggerita dal passo del pofeta Zaccaria in cui egli
afferma che “ il ventiquattro del mese undecimo, cioè del mese di Sabat (o Sebat) ’’ il Signore gli
rivolse la sua parola: sono davvero strane queste precisazioni al minimo
dettaglio e, pertanto, esse dovettero essere causate, a mio parere, dai suaccennati
incroci di termini omofoni che potevano mostrare separatamente significati
diversi, ma che comunque erano entrati, mitologicamente, nell’orbita del nome
“Zaccaria”, fosse esso il profeta oppure
il marito di Elisabetta. In queste
faccende generalmente vale più l’assonanza tra i termini che altro. C’erano anche molti altri Zaccaria nella
Bibbia e spesso si faceva confusione tra loro. Comunque la loro ricorrente
caratteristica di essere sacerdoti, o portinai del tempio, o aiutanti nel
trasporto dell’Arca a Gerusalemme, può ricevere luce dal termine greco,
probabilmente di origine ionica, zákoros ‘servo,
ministro del tempio’, forse prestito di qualche lingua asiatica piuttosto che
da riportare al gr. koréo’ spazzare’.
Tra i cantori del coro del tempio, stabiliti da Davide, c’era anche uno Zaccur.
Un perfetto corrispondente del nome del mese
di Sabat
e della componente -sabetta si ritrova nel fiume campano Sabato, lat. Sebethos (nome che assuona con lat. septem ‘sette’, come la seconda
componente di ebraico Eli-shebà corrisponde ad ebraico shebà
‘sette’), nel fiume Savio (Romagna) o anche nella località termale del Belgio Spa, da cui l’inglese spa
‘terme’. Frequenti sono in Italia le
fonti Sp-ino, Sp-ina, ecc. Lo stesso cliché si
ripete nell’ex Iugoslavia con idronimi del tipo Sava, Sav-inja.
Ad occidente del villaggio di Ain Karem, a circa tre chilometri, si
trova il convento del Deserto di san Giovanni con una grotta, che si inquadra
nel ciclo del rifugio di Elisabetta e suo figlio, nei pressi di una sorgente, che doveva avere,
precedentemente, lo stesso nome del Santo, come abbiamo supposto per la
sorgente della chiesa della Visitazione.
Come ciliegina sulla torta viene la considerazione che il nome del Monte Karm-el deve essere di
origine idronimica se è vero che nella sua sommità si trovava la Sorgente di Elia, nome
che dà ragione della seconda componente di karm-el, come l’idronimo Ain Karem dà ragione della sua prima
componente Karm-. E non è un caso se, già molto tempo prima
dell’avvento del Cristianesimo, presso la Sorgente di Elia si riunivano eremiti e si
fondavano edifici di culto. Ma non è
tutto. Uno dei nomi di questa fonte
dovette essere proprio quello di Maria se
furono alcuni di questi eremiti, a quanto si tramanda, a dedicare verso il 93 d.C.,
una cappella alla Santa Vergine Maria del Carmelo . La data della fondazione
della cappella potrebbe, però, essere il frutto di un adeguamento alla storia
evangelica di Maria e così potrebbe essere
spostata ad epoca anteriore al Cristianesimo; inoltre, secondo
l’interpretazione di tutti i mistici cristiani e degli esegeti, il profeta Elia
(IX sec. a.C.) ebbe in quel luogo la visione prefiguratrice della Vergine Maria
quando, inginocchiatosi a pregare Dio, suscitò dapprima una nuvoletta ‘piccola
come una mano d’uomo’(I Re 18,41ss) che salì poi ingrandendosi su per il monte
a portare la pioggia ristoratrice alle campagne assetate di Israele, allo
stesso modo in cui la Vergine Maria,
portando in sé il Verbo divino, diede la vita e la fecondità al mondo. Sta di
fatto che anche il titolo sotto cui è noto il santuario mariano attuale, Stella Maris ‘Stella del Mare’, sembra richiamare fatalmente questa antica
radice idronimica. La spiegazione della parola Carm-elo come ‘giardino, orto (karm-)
di Dio (-el)’ è basata sui
significati dello strato superficiale del nome e pertanto è poco attendibile. Non è un caso che le Madonne del Carmine, ben frequentemente, si trovano presso sorgenti
come a Pescina e a Celano.
Con questo quadro di riferimento a me sembra altamente probabile che diversi
tratti delle storie relative alle figure bibliche connesse con questi luoghi abbiano
potuto ricevere linfa vitale dai toponimi stessi del luogo, in specie dagli
idronimi. Oppure, se non si vuol credere ad una improbabile completa invenzione
dei personaggi del Vangelo, come pure taluni sostengono, si può supporre uno
scenario in cui alcuni idronimi di questo luogo chiamato Ain Karem (il quale si
trovava a pochi chilometri da Gerusalemme e quindi poteva fungere benissimo da
cassa di risonanza della vicenda di Cristo che in quella città fu crocifisso) potrebbero
avervi attratto i fatti reali che magari si erano svolti altrove e che qui
trovavano la loro naturale sceneggiatura toponomastica, anche perché non sono propenso
a credere che i nomi delle sorgenti qui coinvolte siano stati imposti
successivamente ai fatti evangelici, ma che essi risalgano piuttosto alla
preistoria. E non deve costituire un ostacolo la presenza concentrata di
idronimi corrispondenti a nomi personali: a Cappadocia-Aq si incontrano due
fonti chiamate Pietro e Nina. I santi martiri di Celano, cioè Costanzo, Simplicio e Vittoriano
credo che siano, come ho mostrato in altro articolo, nomi diversi relativi alla
stessa sorgente di Fonte Grande. I toponimi, infatti, in ogni tempo e in ogni
luogo hanno svolto spesso una potente azione mitopoietica, sicchè non è
improbabile che miti relativi a punti sensibili di questo villaggio, formatisi
in epoche antichissime, anche prima dell’era cristiana, siano poi confluiti nella
vicenda terrena di Cristo e di Giovanni Battista, apportando qualche tratto
nuovo o anche andando solo a sovrapporsi ai nomi nudi e crudi dei personaggi
reali e assorbendone quindi le vicende. L’episodio dell’annuciazione a Maria e della
visita di costei alla cugina Elisabetta, in una città della Giudea, è presente
solo nel vangelo di Luca e non negli altri vangeli sinottici, motivo per cui
diversi studiosi pensano che esso derivi da una fonte personale
dell’evangelista, fonte –aggiungo io- che poteva essere costituita proprio
dalla tradizione, probabilmente orale, che si era originata, in virtù di quegli idronimi, in quella località dove,
ancora nei nostri giorni, essa continua a resistere.
Credo sia qui il caso, in relazione alla funzione mitopoietica dei
toponimi, di portare l’esempio, tra gli altri, del paese di Canal San Bovo nel Trentino,
con relativa statua del Santo nella chiesa del paese, il cui nome si è
incredibilmente generato dalla santificazione del “sambuco”, perché il toponimo deriva in verità dalla
voce dialettale sambovo ‘sambuco’, essendo
esso attestato nel 1275 come “Canale
Sambugo”.
Il paese di San Pelino di Avezzano avrebbe tratto il nome da un vescovo
di Brindisi dell’alto medioevo, il quale sarebbe stato mandato in esilio a
Corfinio nella valle Peligna dove sarebbe stato martirizzato: uso il condizionale
perché i fatti attribuiti al Santo dall’unica biografia che ci resta, non credo
possano essere accettati senza battere ciglio.
Sappiamo quanto siano incerte e fantasiose le Vite dei Santi che ci
vengono dal medioevo, che molto spesso fanno le lodi di santi addirittura mai
esistiti. Un bel giorno egli, di ritorno
dalla città di Roma, avrebbe fatto sosta a San Pelino, secondo quanto afferma la
tradizione seguita dallo storico Corsignani che certamente non si distingue per
precisione ed attendibilità, e gli abitanti gli avrebbero innalzato, successivamente,
una chiesa, la quale, però, stranamente, non è confermata non solo dalla
continuazione del culto fino ai nostri giorni, ma nemmeno da tracce
archeologiche o ricordi circa il sito
della sua edificazione. E non basterebbe, per smontare la credenza tradizionale,
la semplice riflessione che quel paese doveva avere già il suo bel nome, per di più sparito nel
nulla, e che difficilmente lo avrebbe cambiato, anche se avesse dedicato la
suddetta chiesa al Santo? Più concretamente, e rimanendo letteralmente
coi piedi ben saldi a terra, io volgerei piuttosto lo sguardo al vicino Monte Vel-ino, il cui nome presenta una
ben nota radice oronimica mediterranea (bal/bel), per dedurre che Pel-ino
ne è una semplice variante e che essa ricorre in Cima
Piange<*Pl -ange (Magliano dei Marsi) da mettere accanto alla
parola del dialetto di Scanno-Aq che suona chiancone
‘sasso’< *pl-anc-one, Monte Bello (Luco
dei Marsi), Colle Pil-ato
(contrada tra Cappelle e San Pelino), nel toponimo Pela-costa (Tagliacozzo) che non è da sciogliere, forse, in ‘per la costa’ perché
in tal caso dovrebbe suonare dialettalmente Pella-costa, con la /l/ geminata, a meno che
non si tratti di errore di trascrizione da parte del cartografo dell’IGM. Anche ad Aielli la radice si ripresenta nel Monte Costa Pel-ara e nelle
contrade Dalla Vella e Da Pel-ara, ambedue in forte
pendio. E non è forse vero che San Pelino
Vecchio svetta proprio su un colle?
Al massimo lascerei al Santo quel San
che precede il nome del paese, anche se nemmeno questo è sicuro, come
potrei ben argomentare, ma è meglio non andare troppo per le lunghe. Se di Santo si tratta esso va situato molto
indietro nel tempo: esisteva in antico una non meglio precisata dea Pelina.
Anche nel lessico dialettale è rimasto un valore della radice pel-, pal-consono al significato in
questione: ‘nchianà < *in-planare vale ‘salire’ nel vocab. abruzzese del
Bielli; acchianata significa ‘salita’ a Filiano, prov. di
Potenza. Che dire della spiegazione che
danno i linguisti de I Dialetti Italiani della
UTET dei verbi siciliani e calabresi nchianà,
acchianari, secondo la quale il significato profondo di essi sarebbe
‘arrivare al piano’? La risposta non voglio darla io ma la lascio
all’espressione del dialetto di Buccino (Salerno) acchiána la quale significa ‘in salita’ ed esclude la possibilità
di introdurre surrettiziamente un verbo di movimento che porti all’eventuale ‘ripiano’
riscontrabile dopo una salita (a parte la considerazione che si ‘sale’ anche in
cielo o su un albero dove non è previsto nessun ‘piano’): l’espressione, nel
suo riferirsi ad una condizione di staticità, dovrebbe quindi significare ‘in
piano’ e non ‘in salita’, visto anche che il significato etimologico di ‘piano’
è ben presente nella coscienza del parlante! Come se non bastasse ci viene incontro anche
il termine serbo-croato plan-ina
‘montagna’. Ma già oronimi come Costa Piana (Terminillo) e Piano
Grande, una parete scoscesa del Gran Sasso, e tanti altri gridavano a
squarciagola la loro verità, senza essere ascoltati da nessuno![2]
Mi rendo conto di dire delle cose alquanto inquietanti e incredibili per
chi è un fedele cristiano, ma, se tutta la mia annosa ricerca ha un senso, sento
anche il dovere di trarne le conseguenze, anche se incresciose: ognuno,
d’altronde, alla fine saprà tenersi stretto alle proprie convinzioni religiose e
non saranno certo le mie osservazioni, che presentano pur sempre un margine di fallibilità,
a distrarlo o a turbarlo.
Da parte mia, intanto, voglio
ribadire il concetto, già di Galilei, secondo il quale sono piccole cose di
questo mondo a nascondere il segreto anche di grandi verità. In questo caso sarebbero proprio questi
idronimi e oronimi, se rettamente intesi, a svolgere una funzione insostituibile
di chiarificatori di fatti del lontano passato, destinati altrimenti a restare
completamente avvolti nella nebbia dell’incertezza e del mistero acriticamente
accettato o rifiutato. E’ proprio il
caso di dire che i toponimi, oltre a svolgere essi stessi una funzione
mitopoietica, a volte captano, come moderne parabole satellitari, l’eco di eventi
e credenze occorsi persino nella preistoria, e la trasmettono intatta a noi
uomini smaliziati e distratti del XXI secolo.
Se riusciamo a fornirci degli strumenti di decifrazione adeguati, i
toponimi si rivelano così dei collaboratori indispensabili nella immane fatica di
separare il poco grano della verità dalla molta zizzania degli scritti, delle
leggende e dei racconti che la tradizione è riuscita a traghettare fino ai
nostri giorni.
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