Anche per questo termine la linguistica mi pare annaspare miseramente nella
ricerca di un etimo accettabile. Le
proposte principali oscillano tra una pronuncia napoletana di it. umiltà (omertà), intesa come soggezione supina di affiliati ad una
associazione mafiosa che eseguono senza batter ciglio i dettami criminosi imposti dai capi e un presunto comportamento da
veri uomini d’onore degli stessi (dal sicil. omu ‘uomo’, attraverso lo spagn. ant. hombredad ‘virilità’, da hombre
‘uomo’) dinanzi a simili efferatezze. Il
comportamento omertoso si estende poi
alla società tutta costretta a vivere in ambienti fortemente inquinati da
queste associazioni, pronte a punire selvaggiamente chiunque si azzardi a
denunciare i loro affiliati o addirittura solo a parlarne con mancanza di rispetto. Sicchè, quando succede un misfatto di matrice
mafiosa, non si trovano solitamente testimoni: nessuno ha visto, nessuno ha
udito, nessuno era presente. L’omertà è dunque una sorta di vincolo ermetico di
solidarietà non solo tra associazione mafiosa e affiliati ma anche tra società civile
e mafiosi.
Anche in questo caso l’errore a mio avviso scaturisce dal limitarsi al
latino o addirittura all’italiano nella individuazione di una radice
etimologica. Che i due etimi proposti
siano errati ce lo suggerisce anche il fatto che essi fanno riferimento a concetti in fondo estranei al fenomeno che
si vuole indicare: quello dello stretto
legame (o piuttosto sudditanza) tra i membri dell’associazione e i capi
nonché quello indotto tra la società civile ed i malavitosi che però è appunto
un sottoprodotto dell’esistenza nel territorio di simili associazioni. Secondo
il mio metodo etimologico, ormai convalidato da moltissimi esempi, una parola
deve invece indicare direttamente il referente o il concetto fondamentale di
cui è portatrice.
Nell’articolo Il “municipio”
ovvero il concetto di “unità”[…] del mio blog (apr.2014) abbiamo già
incontrato la parola greca hóm-ēr-os[1] ‘unito, marito, moglie, pegno,
ostaggio’ collegabile col gr. ṓm-er-os ‘spalla, omero’ (lat. humerum,
umerum ’spalla’) in quanto
‘articolazione, connessione’ e quindi ‘unione, associazione, solidarietà’. Pertanto il meridionale omertà si inserisce alla perfezione in questa serie, supponendo
come precedente immediato di esso un sostantivo latino in –itas, gen. –itatis, la
cui radice veniva comunque da lontano, come *omer-(i)tas, *omer-(i)tatis uguale a tanti altri che hanno dato come esito, in
italiano, forme tronche in –(i)tà
quali sever-ità, pover-tà, car-ità,
ecc. ecc. Il concetto di “omertà” non
sarebbe dunque altro che lo stretto
legame che unisce i membri di un’associazione qualsiasi e, nel caso
specifico, dell’associazione a scopi criminali di cui abbiamo parlato. In ultima analisi, poi, sia l’idea di
“associazione” sia quella di “nodo, stretto legame” che si estrinseca, nel caso
specifico, nei modi di cieca subordinazione degli affiliati ai loro capi,
finiscono col combaciare perfettamente. A monte delle parole c’è sempre un’idea
generica che poi si specializza ad indicare questo o quel referente con
caratteristiche spicciole non combacianti. Così stando le cose, potevamo
risparmiarci la fatica (per me comunque piacevole) di andare a trovare l’etimo
della voce omertà di origine meridionale: come ho più volte ricordato, esso ce lo offre gratuitamente la
parola stessa, una volta definito l’esatto suo significato spogliato di tutti
gli accidenti, operazione talvolta non facile, per la verità. La radice da rintracciare come etimo, deve avere comunque
quel significato. In questo modo il
lavoro dell’etimologo diventa veramente un’operazione fruttuosa e scientifica
che finalmente può aspirare a fare piazza pulita dei mille tentennamenti cui
egli attualmente è costretto, non possedendo sostanzialmente nessuna bussola
orientativa, fatto che lo costringe a navigare a naso e lo fa finire quasi
sempre nelle fauci immense dell’aleatorietà nel mare magnum delle lingue. Il
rasoio di Occam, principio fondamentale della scienza, sfoltisce le ipotesi
inutili e pletoriche anche in linguistica. Mi auguro che una nuova epoca si
schiuda per la Linguistica, scienza che porterà una viva luce a tutte le lingue
e a tanti fenomeni anche extralinguistici, dando così il via ad un nuovo
umanesimo.
A conclusione di questo articoletto vorrei puntare l’attenzione su uno
dei significati specifici assunti in greco dal termine suddetto hóm-ēr-os, cioè ‘marito, moglie’. Il lat. mar-itu(m)
‘marito’ viene dai linguisti messo in relazione con lat. mas, maris ‘maschio’ ma,
secondo i canoni della mia linguistica poco fa ricordati, questo è errato
perché il concetto di fondo di “marito” è in rapporto, più che con il maschio, con quello di “legame,
connessione, ecc.” in quanto il marito
è tale solo se visto affianco di una moglie
non se è un maschio, che può essere
anche scapolo. Una volta stabilito ciò è
facile rapportare il lat. mar-itu(m) ‘marito’ alla serie numerosa di radici cui appartiene anche
il m.oland. mar-en, mer-en ‘annodare, ormeggiare’, ingl. moor
‘ormeggiare’[2].
Ma che il marito facesse capo a una
realtà diversa da quella di maschio
ci era suggerito già dall’espressione italiana, di ascendenza comunque latina, maritare le viti (agli olmi, pioppi,
ecc.) con cui si intende ‘collegare le viti a queste piante’: l’espressione non
è una metafora da marito come
tradizionalmente si pensa, ma, semmai, sarebbe il marito a derivare da questa espressione, nel senso che egli è un
uomo legato
alla sua con-sorte. Quest’ultimo termine, inoltre, viene inteso, a mio avviso
erroneamente, come ‘(colui) che ha la
stessa sorte (lat. sort-em ‘sorte’)’
quando invece a me pare evidente che il/la consorte
è semplicemente il coniuge legato,
appunto, all’altro come vuole l’etimo che rimanda al lat. con-iung-ere ‘congiungere’. Pertanto io vedrei il lat. con-sort-em come ‘colui/colei che partecipa di
un insieme’ costituito qui dalla coppia di coniugi. Il verbo di riferimento deve essere il lat. con-ser-ere ‘intrecciare’. Il lat. sors,
sort-is ‘sorte, estrazione a sorte, ecc.’ indicava la verghetta di legno
che, mescolata insieme ad altre, componeva un insieme da interpretare di volta in volta in modi diversi. Anche il
lat. seri-e(m) ‘serie, fila’ che deve essere messo in rapporto con lat. sort-em, costituisce un insieme di elementi allineati, appunto. Il lat. con-sort-em significava talora anche sorella
(lat. sor-or ‘sorella’) per
cui i due termini dovrebbero essere a mio parere equivalenti, sicchè l’etimo
usuale di lat. sor-or-e(m) che accomuna il termine all’ingl. sister’sorella’, ted. Schwester
‘sorella’ non mi pare adeguato[3].
E il maritozzo, il noto dolce
romano, cosa potrebbe entrarci con la radice di marito? E’ molto semplice
a mio avviso rispondere a questa domanda.
Il dolce in questione, per lo più di forma ovale, è inciso profondamente
in senso longitudinale, sì da dividersi in due parti, quasi due valve di un
tutto riempite di panna. Le due valve
non sono altro che una coppia come
quella maritale, cioè, etimologicamente, un legame
matrimoniale! Ma non ci giurerei che il
dolce fosse stato creato nella lontana antichità apposta per il
matrimonio. Esso poteva avere già una
vita autonoma col significato, appunto, di coppia
di fette di pane (farcita con
panna).
Sors tibi prospera sit, scriptum
meum! ( La sorte ti sia prospera, articolo mio!)
[1] Per l’etimo dei due
componenti tautologici della parola rimando al suddetto articolo.
[3] Questi due termini germanici
sono più vicini a voci come quelle del dialetto di Trasacco-Aq susta e sùstalë. Il primo significa ‘spilla pettorale o fermaglio che le donne
d’altri tempi usavano portare sulla camicia’, il secondo significa ‘tassello di
ferro che mantiene due assi unite e aderenti in modo che non si stacchino’
(cfr. Q. Lucarelli, Biabbà Q-Z, Grafiche Di Censo, Avezzano-Aq,
2003). A Rocca di Botte-Aq susta significa
‘robusta corda usata dai carrettieri per sostenere il carico’ (cfr. M.
Marzolini, “… me ‘nténni?”, Arti
Grafiche Tofani, Alatri 1995). A Gallicchio-Pz sustë vale ‘bordo della manica’ perché esso è caratterizzato dal rafforzamento del tessuto mediante
ripiegamento e cucitura dello stesso(cfr. Dialetto di Gallicchio online). Il significato di fondo è quindi quello di
‘stretto legame, connessione, solidità, ecc.’, significato che, come abbiamo
visto, può designare sorelle e coniugi in genere, attraverso il valore di
‘legame’. Susta ha anche il
significato di ‘alterigia, spocchia’, atteggiamento di chi cammina impettito,
rigido e tutto d’un pezzo, come fosse il suo corpo sostenuto da verghe di legno
o ferro. Mi pare che dietro queste
parole si possano individuare voci greche simili a sy-stás (ampélōn) ‘insieme di viti’, a sy-stéll-ein ‘stringere insieme’, a sy-stolé
‘restringimento, sistole’ o anche sy-ster-iz-ein ‘consolidare, fissare’. L’ingl. sister-ing significa ‘contiguo’. L’it. sosta potrebbe suggerire che il lat. sub-stare ‘stare sotto’ e ‘tener duro,
saldo’ sia in realtà reinterpretazione di precedente voce greca proveniente dal
verbo syn-íste-mai (come la precedente sy-stás)
che, tra l’altro, significa anche ‘mi fermo’.
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