martedì 21 aprile 2015

I giorni della merla



                                        
Mi sono messo a riflettere un po’ sulla leggenda che tradizionalmente e con diverse comprensibili varianti ci parla di una merla che, tormentata sistematicamente dal mese di gennaio il quale, ogni volta che essa usciva dal rifugio, si divertiva a suscitare tempo cattivo e freddo, un anno, dopo aver accumulato abbastanza cibo, se ne stette al sicuro dentro il suo rifugio.  Il 29 di gennaio uscì (evidentemente era bel tempo) e si mise a cantare in tono canzonatorio nei confronti di gennaio che ormai stava per terminare, perché in antico, prima del calendario giuliano, il mese contava 28 o 29 giorni. Gennaio si risentì, andò da febbraio e si fece imprestare tre giorni durante i quali imperversò sulla terra come mai aveva fatto.  La merla allora fu costretta ad entrare in un comignolo.  Quando il maltempo finì, uscì all’aperto ma da bianca era diventata nera: questo è il motivo per cui ora tutti i merli sono neri[1].  Il lat. merul-a(m) valeva ‘merlo’ ed è probabilmente da riconoscere dietro il termine merla della tradizione.

  Ora, chi mi segue nei miei articoli sa che per me queste favole e leggende, che vengono da molto lontano, sono in genere un prodotto automatico dell’incrocio di termini, avvenuto nel corso di molti secoli.  Non esiste, a mio avviso, un ipotetico inventore della leggenda la quale un bel giorno sarebbe uscita, più o meno come la leggiamo oggi, dalla sua bocca.  Essa è andata formandosi man mano, non per volontà consapevole di qualcuno, ma semmai come conseguenza dei diversi significati che le parole possono assumere passando di strato in strato linguistico, soprattutto per gli incroci con altre parole apparentemente uguali o simili.  L’inventiva popolare a mio avviso viene messa in moto, stimolata da questi fenomeni: essa non è mai libera e autonoma. 

   Già altri hanno notato che il mese di gennaio di 28 o 29 giorni era quello del calendario romano[2] pre-giuliano  il quale, invece, previde un gennaio di 31 giorni.  E’ chiaro che il tratto della leggenda che probabilmente prese lo spunto da questo fatto può risalire al massimo al 46 a.C., anno dell’entrata in vigore del calendario giuliano.  Ed esso, il tratto, dovette essere aggiunto all’altra parte della leggenda che probabilmente esisteva già ed era costituita dagli elementi del freddo, del merlo e del tentativo, per etimologia popolare, di dare una spiegazione del colore nero  di un uccello che, stando al significato di un termine che coincideva con la radice mer- dell’uccello, avrebbe dovuto essere bianco, chiaro.  La scena della leggenda fu situata in questi giorni aggiunti a gennaio in conseguenza di  un incrocio tra due termini simili o uguali ruotanti intorno sempre al tratto di sonorità mer- ma con significati diversi: l’uno relativo all’uccello del merlo e l’altro riguardante proprio il concetto di “aggiunta, acquisto” in riferimento ai giorni aggiunti o acquistati dal mese di gennaio secondo il calendario giuliano.  In effetti il lat. mer-ēre o mer-ēri significava, oltre a ‘meritare’ anche ‘acquistare, guadagnare’ e dai linguisti viene solitamente accostato al gr. méir-esthai ‘ottenere come parte, ottenere in sorte’, gr. mér-os ‘parte’, gr. mer-ís  ‘parte, aiuto, soccorso’, gr. mór-os ‘aggiudicazione, sorte, destino’, ecc. 

   Così stando le cose è a mio avviso molto probabile che esistesse nel latino parlato, almeno fino ai tempi del calendario giuliano, una voce *mer-ul-a(m) ‘aggiunta, acquisto’ caduta poi dall’uso ma rimasta incapsulata sotto mentite spoglie nella leggenda popolare di cui si parla[3]

   Il lat. merul-a(m) ‘merlo’ (anche masch. merul-um ’merlo’) dovette ad un certo punto incrociarsi  anche con la radice dell’agg. mer-u(m) ‘mero, puro, semplice’ connesso dai linguisti con una radice mer-  presente in greco, celtico e germanico col significato di ‘chiaro, brillante’.  Di conseguenza la fantasia etimologica del popolo cominciò a credere che il termine merul-a(m) ‘merlo’ all’inizio indicasse sì il ‘merlo’ ma che questo uccello fosse ‘bianco’ e non ‘nero’.  Il lat. merul-a(m) fu così avvertito come un diminutivo *mer-ul-a(m) ‘bianchino, bianchetto’. Allora si poneva il problema di spiegare come successe che l’uccello diventasse nero.  Io suppongo che, sempre dietro la suggestione degli incroci, la fantasia popolare che però, come abbiamo detto, mai era gratuita o autonoma, non trovò di meglio che immaginare che la merla si infilasse in un comignolo, da cui uscì nera a causa della fuliggine. Un comignolo infatti assomiglia molto ad un merlo, elemento architettonico di mura di castelli, torri, ecc., simile appunto al pinnacolo di un comignolo. La voce medievale merul-u(m) ‘merlo (architettonico)’ doveva essere, pertanto, molto più antica dell’epoca della sua attestazione.

Che ci sia stato l’incrocio tra il termine per ‘merlo’ e quello per ‘mero, semplice’ è a mio avviso confermato dal significato che l’it. merlo talvolta assume e cioè ‘persona ingenua, sempliciotto, semplicione’: uno dei significati di lat. mer-u(m) era appunto ‘semplice’, volto in senso negativo nel caso in questione.  Non credo che questo significato si sia sviluppato dopo la favola in questione, dato che in essa il merlo appare già come un ingenuo[4].

   
   


[1] In realtà nero col becco giallo è solo il maschio. La femmina ha una livrea marrone.

[2] Questo calendario, di tipo lunare, era fatto risalire addirittura a Numa Pompilio.

[3]  Forse anche le parole ted. mehr-ung ‘aggiunta’, mehr ‘più, più grande’, ingl. more ‘più’, ecc. sono della partita. 

[4]  Alla favola accenna anche Dante nel canto XIII del Purgatorio, v.123: come fé ‘l merlo per poca bonaccia.

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