Mi sono messo a riflettere un po’
sulla leggenda che tradizionalmente e con diverse comprensibili varianti ci
parla di una merla che, tormentata sistematicamente
dal mese di gennaio il quale, ogni volta che essa usciva dal rifugio, si divertiva a
suscitare tempo cattivo e freddo, un anno, dopo aver accumulato abbastanza
cibo, se ne stette al sicuro dentro il suo rifugio. Il 29 di gennaio uscì (evidentemente era bel
tempo) e si mise a cantare in tono canzonatorio nei confronti di gennaio che
ormai stava per terminare, perché in antico, prima del calendario giuliano, il mese contava 28 o 29 giorni.
Gennaio si risentì, andò da febbraio e si fece imprestare tre giorni durante i
quali imperversò sulla terra come mai aveva fatto. La merla allora fu costretta ad entrare in un
comignolo. Quando il maltempo finì, uscì all’aperto
ma da bianca era diventata nera: questo è il motivo per cui ora tutti i merli
sono neri[1]. Il lat. merul-a(m) valeva ‘merlo’ ed è probabilmente da riconoscere dietro il
termine merla della tradizione.
Ora, chi mi segue nei miei articoli sa che per me queste favole e
leggende, che vengono da molto lontano, sono in genere un prodotto automatico
dell’incrocio di termini, avvenuto nel corso di molti secoli. Non esiste, a mio avviso, un ipotetico
inventore della leggenda la quale un bel giorno sarebbe uscita, più o meno come
la leggiamo oggi, dalla sua bocca. Essa
è andata formandosi man mano, non per volontà consapevole di qualcuno, ma
semmai come conseguenza dei diversi significati che le parole possono assumere
passando di strato in strato linguistico, soprattutto per gli incroci con altre
parole apparentemente uguali o simili.
L’inventiva popolare a mio avviso viene messa in moto, stimolata da
questi fenomeni: essa non è mai libera e autonoma.
Già altri hanno notato che il mese di gennaio di 28 o 29 giorni era
quello del calendario romano[2]
pre-giuliano il quale, invece, previde
un gennaio di 31 giorni. E’ chiaro che il tratto della leggenda che probabilmente prese lo spunto da questo fatto può risalire al massimo al 46 a.C., anno dell’entrata
in vigore del calendario giuliano. Ed esso, il tratto, dovette essere aggiunto all’altra parte della leggenda che
probabilmente esisteva già ed era costituita dagli elementi del freddo, del merlo
e del tentativo, per etimologia popolare, di dare una spiegazione del colore nero di un uccello che, stando al significato di un
termine che coincideva con la radice mer-
dell’uccello, avrebbe dovuto essere bianco,
chiaro. La scena della leggenda fu situata in questi giorni aggiunti a gennaio in conseguenza di un incrocio tra
due termini simili o uguali ruotanti intorno sempre al tratto di sonorità mer- ma con significati diversi: l’uno
relativo all’uccello del merlo e l’altro riguardante proprio il concetto di
“aggiunta, acquisto” in riferimento ai giorni aggiunti o acquistati dal mese di
gennaio secondo il calendario giuliano.
In effetti il lat. mer-ēre o mer-ēri significava, oltre a ‘meritare’ anche ‘acquistare,
guadagnare’ e dai linguisti viene solitamente accostato al gr. méir-esthai ‘ottenere come parte, ottenere
in sorte’, gr. mér-os ‘parte’, gr. mer-ís
‘parte, aiuto, soccorso’, gr. mór-os ‘aggiudicazione, sorte, destino’, ecc.
Così
stando le cose è a mio avviso molto probabile che esistesse nel latino parlato,
almeno fino ai tempi del calendario giuliano, una voce *mer-ul-a(m) ‘aggiunta, acquisto’ caduta poi dall’uso ma rimasta
incapsulata sotto mentite spoglie nella leggenda popolare di cui si parla[3].
Il lat. merul-a(m) ‘merlo’ (anche masch. merul-um ’merlo’) dovette ad un certo punto incrociarsi anche con la radice dell’agg. mer-u(m) ‘mero, puro, semplice’ connesso
dai linguisti con una radice mer- presente in greco, celtico e germanico col
significato di ‘chiaro, brillante’. Di
conseguenza la fantasia etimologica del popolo cominciò a credere che il
termine merul-a(m) ‘merlo’ all’inizio
indicasse sì il ‘merlo’ ma che questo uccello fosse ‘bianco’ e non ‘nero’. Il lat. merul-a(m) fu così avvertito come un diminutivo *mer-ul-a(m) ‘bianchino, bianchetto’. Allora si poneva il problema di
spiegare come successe che l’uccello diventasse nero. Io suppongo che, sempre dietro la suggestione
degli incroci, la fantasia popolare che però, come abbiamo detto, mai era
gratuita o autonoma, non trovò di meglio che immaginare che la merla si infilasse in un comignolo, da cui uscì nera a causa
della fuliggine. Un comignolo infatti
assomiglia molto ad un merlo,
elemento architettonico di mura di castelli, torri, ecc., simile appunto al
pinnacolo di un comignolo. La voce medievale merul-u(m) ‘merlo (architettonico)’ doveva essere, pertanto, molto più
antica dell’epoca della sua attestazione.
Che ci sia stato l’incrocio tra il termine per
‘merlo’ e quello per ‘mero, semplice’ è a mio avviso confermato dal significato
che l’it. merlo talvolta assume e
cioè ‘persona ingenua, sempliciotto, semplicione’: uno dei significati di lat. mer-u(m) era appunto ‘semplice’, volto in
senso negativo nel caso in questione.
Non credo che questo significato si sia sviluppato dopo la favola in
questione, dato che in essa il merlo appare già come un ingenuo[4].
[1] In realtà nero col becco
giallo è solo il maschio. La femmina ha una livrea marrone.
[2] Questo calendario, di tipo
lunare, era fatto risalire addirittura a Numa Pompilio.
[3] Forse anche le parole ted. mehr-ung ‘aggiunta’, mehr ‘più, più grande’,
ingl. more ‘più’, ecc. sono della partita.
[4] Alla favola accenna anche Dante nel canto
XIII del Purgatorio, v.123: come fé ‘l
merlo per poca bonaccia.
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