Che il personaggio di Amalfi fosse in
realtà inesistente ce lo ha mostrato la medievalista Chiara Frugoni con le sue
dettagliate ricerche documentarie, già diversi anni fa. Quanto meno curiosa è però la spiegazione che
solitamente si dà del nome Flavio il quale sarebbe sorto da un equivoco, stando
a quanto riesco a capire da siti web.
L’umanista Flavio Biondo (XIV-XV sec.) fu il primo ad affermare in un
suo scritto che l’invenzione della bussola si ebbe ad Amalfi. Ma forse sarebbe
meglio supporre che egli fu solo il primo a registrare una tradizione che quasi
certamente durava da molti secoli. Ad ogni modo un altro umanista,
Giovambattista Pio, avrebbe riportato in un suo scritto l’espressione usata dal
Biondo in questa forma: Amalphi in
Campania veteri magneti usus inventus a Flavio traditur. Il significato più semplice dell’espressione dovrebbe
essere questo: Si tramanda che l’uso
della bussola fu scoperto ad Amalfi in Campania da (un certo) Flavio. Ma è possibile anche l’altra interpretazione
che fa di Flavio non il supposto inventore della bussola magnetica, ma
l’umanista stesso Flavio Biondo. E allora il significato della frase sarebbe: E’ tramandato da Flavio (Biondo) che
l’invenzione della bussola magnetica si
ebbe ad Amalfi in Campania. Da
questo equivoco sarebbe quindi nato il nome Flavio del nostro fantomatico scopritore della bussola[1].
Si potrebbe forse chiarire meglio
l’equivoco se possedessi i testi e i contesti originali dei due umanisti, ma
tuttavia mi sembra quasi impossibile che questo nome Flavio, relativo all’inventore ma molto probabilmente indicante in
origine proprio la bussola, come sosterrò, si sia sviluppato nei tempi dell’Umanesimo,
quando invece l’uso dello strumento, anche se forse non posseduto da tutti i
naviganti, va a perdersi in epoche lontane raggiungendo ipoteticamente anche i Cinesi del
III millennio a.C. Un suo uso certo nel
Mediterraneo è attestato comunque intorno all’inizio del secolo XII d.C. E quindi è naturale pensare che esso, lo
strumento, avesse avuto uno o più nomi circolanti
in passato magari solo in ambiti marinareschi e arrivati fino a noi per vie che
sono quelle solite degli incroci con altre parole simili nella forma che ne
stravolgono però il significato di superficie.
Un’altra considerazione a favore di una tradizione più o meno popolare
di lontana origine è il fatto che il nome Flavio è accompagnato dal presunto
cognome Gioia, che deve essersi prodotto
anch’esso prima dell’età dell’Umanesimo, almeno stando all’analisi della parola
che fra poco proporrò come causa scatenante di tutta questa storia, parola che
contiene le due radici generatrici dei due nomi Flavio e Gioia, da ritenere
quindi una coppia inseparabile formatasi contemporaneamente. Ma la parola gioia ‘bussola’[2] attesta, a mio parere, anche una circolazione
autonoma di uno dei due nomi col valore di ‘bussola’ appunto. E nulla vieta, in effetti, che anche il nome
Flavio potesse circolare autonomamente. Come
ho mostrato altre volte, gli studiosi di linguistica fanno poca o punto attenzione
alla capacità mitopoietica delle parole stesse, le quali innescano spesso
giochi di specchi e di rimandi che confondono irrimediabilmente la mente di chi
non è attrezzato per decifrarli nella giusta maniera.
Nelle mie varie scorribande
etimologiche mi è capitato di
incontrare una parola che, provenendo dal greco, ha dato come esito gioia, attraverso alcune normali
trasformazioni fonetiche . Si tratta del gr.
dí-aul-os ‘doppia corsa, andata e ritorno’ ma
anche ‘stretto passaggio, stretto’ e al pl. ‘narici’. I primi significati sono sotto l’influsso
dell’avverbio gr. dís ‘ due volte, doppio’ ma gli
ultimi indicano che il prefisso iniziale doveva essere gr. diá ‘attraverso, tra due parti’. In fondo la distanza tra i due prefissi non era
molta all’inizio. La parola dovette
incrociarsi anche con gr. diá-bolos
che ebbe molta fortuna nel Cristianesimo come diavolo, l’antico avversario dell’uomo che semina discordia e separazione tra gli uomini, come è
indicato dall’etimo che fa leva sul diá ‘attraverso’
di cui si è detto e sul verbo báll-ein ‘gettare’, dando luogo a vari significati, da quello di
‘passare, trapassare, oltrepassare’ a quello di ‘calunniare’. I due termini,
col loro significato di fondo di ‘attraversamento’, erano quindi destinati a
confondersi. Ecco perché in toponomastica si incontrano molti Ponti del Diavolo come d’altronde il Passo del Diavolo, in quel di Gioia dei
Marsi, nella Marsica appunto[3]. Per quanto riguarda il nome del paese di Gioia
dei Marsi, ho spiegato nell’articolo Il diavolo non vuole lasciarmi citato
alla nota 3, come da un originario diavolo
o diaulo, indicante il passo montano,
si sia passati prima a (d)jaulo con
la caduta della dentale, quindi a jolo per contrazione del dittongo /au/, e
poi, per la palatalizzazione della /l/, a
joio e, per chiusura della vocale finale, a joië, reinterpretato a sua volta come gioia. Il gentile lettore avrà
la pazienza di andare a leggere o rileggere il suddetto articolo, se vuole una
maggiore chiarezza per questi passaggi fonetici. Il Ciolo
o Giolo nel Salento (Santa Maria di
Leuca),inoltre, è una profonda insenatura
marina (una sorta di ‘passaggio’ dunque, e, nel contempo, un condotto, un tubo, una cavità) il cui
nome è vanamente collegato, dall’etimologia popolare, al termine dialettale ciola
o giola che indica l’uccello
noto altrove come ciàula ‘cornacchia,
ghiandaia, ecc.’ senza contrazione del dittongo /au/. Quest’ultimo vocabolo è
in rapporto anch’esso con l’originario diavolo
come metto in evidenza nell’articolo suddetto.
Il secondo membro di dí-aul-os, cioè il semplice aul-ós, significa proprio ‘condotto, tubo,
apertura, flauto’. Quest’ultimo significato di ‘flauto’ bisogna tenerlo
a mente perché tornerà utile tra poco.
Il termine corradicale aul-ṓn significa ’tubo, condotto, canale, stretto di mare, gola,
burrone, valletta, vallone’. I due
concetti di “cavità” e di “tubo” sono allora intercambiabili e possono
agevolmente tramutarsi in quello di “scatola”, ad esempio. Alcune scatole non
sono altro che un tubo chiuso in
un’estremità e munito di coperchio nell’altra.
Così siamo costretti a renderci conto che concetti che ad un primo
sguardo possono sembrare a qualche distanza tra loro, hanno in realtà la stessa
matrice, anche se la specializzazione, molto aiutata dalla varietà dei nomi
(significanti) con cui essi vengono espressi, sembra volerci convincere,
appunto, del contrario.
Il fr. flageolet ‘piffero,
zufolo’ viene dall’ a. fr. flajolet
‘piffero’, prov. flau-jol ‘piffero’. E così siamo
arrivati al clou della
questione. In effetti il secondo membro –jol
di quest’ultimo termine è molto
probabile che sia il nostro dí-aul-os ‘passaggio stretto’ di cui
sopra, diventato jolo, gioia. Abbiamo visto che la componente aul-ós, da sola, vale anche ‘flauto’. Secondo me è proprio il termine flau-jol ‘piffero’ (a noi noto
attraverso il provenzale ma che doveva avere in antico una circolazione molto
più ampia) che ha generato, in un colpo solo, il nome e il cognome del nostro
personaggio amalfitano, presunto inventore della bussola: Flavio Gioia! Bisogna naturalmente ricordarsi che il concetto di
“piffero, flauto” contiene anche quello di “cavità, scatola” e quindi di
“bussola”, come abbiamo osservato in precedenza. Solitamente si propone un latino parlato *flabeol-u(m), dimin. di lat. flabr-u(m) ‘soffio’, all’origine del termine,
ma a me l’ipotesi non sembra accettabile, e do per scontato che esso è composto
di due radici per ‘piffero,flauto’, flau-
e –jol.
La prima si ritrova, a mio avviso, nel catalano flab-iol o flav-iol ‘tipo di flauto’ e forse, in forma ampliata, nello stesso termine
it. flauto, anch’esso fatto derivare
dal prov. flaut. Può anche darsi che da un originario *flauto-diaul-os
si sia avuta una semplificazione (aplologia) con la caduta della sillaba -to-,
che ha prodotto la forma *flau-diaul-os all’origine del prov. flau-jol
e del catalano flav-iol. Ad ogni
modo,qualunque ne sia l’etimo, a noi basta ed avanza notare, in merito
all’origine del nome e cognome Flavio Gioia, che è possibilissimo che da flau-, flab- o flav- si sia
avuto Flavio, anche per influsso
della semivocale /j/ del secondo membro. La voce flau-jol,
una volta caduta in disuso perché evidentemente già sostituita dalla parola bussola, non scomparve, dunque,
definitivamente dalla scena ma si adattò ad indicare l’inventore dello
strumento. Da notare che la costituente –jol
cerca di distogliere la nostra attenzione, camuffandosi da perfetto
suffisso diminutivo nel corpo del composto tautologico flav-iol. L’asserzione immotivata dello storico
napoletano Scipione Mazzella (XVI-XVII sec.), secondo cui Flavio era originario
della città pugliese di Gioia, conferma solo, a mio avviso, che questo nome
Gioia accompagnava da sempre quello di Flavio.
Quasi certamente flau- è affine all’ingl. flue ‘tubo, condotto, canna d’organo’ di
ignota origine, ma che a me sembra vicino allo stesso ingl. flute ‘flauto, scanalatura’[4], sempre
di origine franco-provenzale. Anche il gr. phloi-ós ‘corteccia, involucro’ potrebbe essere coinvolto, dato che
fischietti e zufoli campagnoli erano spesso costituiti da cortecce
sapientemente staccate intere da un
rametto d’albero, come avviene per il fischia-froce
‘specie di zufolo’ a Rocca di Botte-Aq[5] di cui parlo
nell’articolo relativo citato nella nota 3, che consiglio di andare a
leggere. E’ molto interessante infine
ricordare che in quel di Spinazzola-Ba la voce fresca-jol ha i due
significati interconnessi di ‘fischietto’ e ‘vulva’, quest’ultima in quanto
‘fessura, cavità’[6].
Non me ne vogliano gli Amalfitani che hanno innalzato una statua a
questo immaginario loro concittadino, creatura eterea frutto del fiato incrociato
delle parole.
[1] Sinceramente mi pare impossibile che un
simile equivoco, noto agli inizi solo a qualche dotto studioso, abbia potuto generare
poi,ad Amalfi, la credenza popolare che faceva di un loro presunto
concittadino, Flavio Gioia, l’inventore della bussola.
[2] Cfr. Tullio De Mauro, Il dizionario della lingua italiana, Paravia
Torino, 2000.
[3] Di queste cose ho parlato
abbondandemente in vari articoli del mio blog come Nomi di animali nelle espressioni […] (luglio 2012); Il diavolo
non vuole lasciarmi (agosto 2012); La
gramola e i suoi vari nomi dialettali (sett. 2012); “Fischia-froce”= fischietto […] (aprile 2011).
[4] Questo significato di
‘scanalatura’ di ingl. flute
dovrebbe troncare sul nascere, a mio
avviso, la supposizione di un valore onomatopeico della radice.
[5] Cfr. Mauro Marzolini, “…me ‘nténni?”, Arti Grafiche
Tofani, Alatri-Fr, 1995.
[6] Lo stretto rapporto tra il
termine diavolo e l’organo sessuale
femminile è chiaramente ribadito dalla storiella nota a Trasacco-Aq, di cui
parlo nell’ articolo del mio blog “Fischia-froce”=fischietto
[…] (aprile 2011), già citato
alla nota 3.
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