mercoledì 7 ottobre 2015

Il trono di Iside e il concetto di "sedia"

                                                                                         
                                              
  Nell’articolo precedente ho fatto notare che di solito la dea Iside veniva rappresentata con un trono sulla testa e che essa pertanto era il simbolo del potere divino o regale. Ora, la voce Aset (variante di Iset), nome della dea in egizio, significa proprio ‘sedia, seggio, sede, trono’, e questo spiega la sua raffigurazione. L’etimo del termine non ci è noto (bisognerebbe conoscere l’antico egiziano per cercare di individuarlo col mio metodo), ma molto probabilmente esso doveva somigliare, per il significato, agli altri che abbiamo analizzato riguardanti gli altri attributi della dea, che contengono il concetto di ‘connessione, unione, composizione’ così caratteristico della dea la cui funzione precipua era quella di mettere insieme, comporre e risistemare le cose. 

  Per convincersi della bontà del precedente ragionamento circa il significato dell’etimo ignoto di egizio aset ‘sedia’ è opportuno chiarire i significati degli etimi di it. sedia e it. trono.

  Quando noi pensiamo, in effetti, al lat. sed-e(m) ‘sedia’, al fine di giustificarne l’etimo che ci pare lampante dal verbo lat. sed-ere ‘sedere’, ragioniamo in questo modo: la sedia è il mobile su cui una persona siede o si mette a sedere.  E così facendo ci precludiamo ogni possibilità di supporre che non fu questo tipo di circonlocuzione a determinare la nascita del termine. Ormai sappiamo bene che la Lingua è usa nominare le cose direttamente, dati i molti esempi incontrati che depongono in questo senso. La verità è che una sedia è appunto un mobile, un congegno, una struttura in via prioritaria che ha assunto successivamente il significato particolare di ‘sedia’, quando si è incrociato con quello del verbo lat. sed-ere ‘sedere’. Ma anche quest’ultimo significato è il risultato della specializzazione di uno precedente più ampio e generico. Noi siamo troppo abituati a riferire l’azione o lo stato di sedere ad un uomo che si abbassa piegando le ginocchia per mettersi a sedere o che se ne sta seduto su una sedia, uno sgabello, un sedile qualunque per poter sospettare che dietro quest’azione e questo stato ci sia il significato precedente di mettersi in contatto, contattare, stare in contatto, toccare, stare attaccato, stare connesso non necessariamente riferito ad un uomo, ma a qualsiasi corpo che entra in contatto con un altro. In effetti, uno dei significati del lat. sed-ere è proprio ‘aderire, restare attaccato’ che a mio avviso è quello primitivo in quanto più generico rispetto all’altro.  Allora è ammissibile che il significato originario di lat. sed-e(m) ‘sedia, sede’ fosse quello di ‘struttura, strumento, apparecchio’, un oggetto, insomma, composto da una serie di elementi attaccati o incastrati solidamente insieme. Il sostantivo ingl. set ‘serie, raccolta, insieme (mat.), apparecchio (radio o televisore)’, ritenuto sempre una forma della radice in questione, ne è la prova evidente.  Tra l’altro la parola assume anche il significato di ‘pesante struttura lignea usata per sostenere le pareti nei lavori di scavo, nelle gallerie, ecc. avvicinandosi molto all’idea che sta dietro quella di “sedia”.  In abruzzese[1] il verbo sëdé vale ‘trattenersi a veglia: delle donne che nell’inverno vanno dalle amiche e lavorando conversano’.  Il verbo quindi non può indicare in questo caso la semplice azione del sedersi bensì quella di raccogliersi, riunirsi nella casa di qualche amica. Nel dialetto di Aielli, mio paese, la voce sèdë (3° pers. sing. dell’indic. pres. La 3° pl. è sìdënë) riferita ad albero da frutto significava (perché oggi credo siano pochi quelli che ne conoscono il senso) che quell’albero era zeppo, pieno, carico di frutti.  Siamo nell’ambito del concetto di ‘molteplicità, abbondanza’ variante di quello di “massa”, la quale è composta di molti elementi addossati insieme.

  La mancata consapevolezza, da parte della linguistica tradizionale, della esistenza di un significato generico dietro le parole, che tende a diventare sempre più generico andando a ritroso, ha prodotto molti equivoci e difficoltà insormontabili che intristiscono non poco questa bella e utilissima scienza dell’etimologia e del Linguaggio degli uomini.  Con questo nuovo metodo si potranno districare molte situazioni ingarbugliate riguardanti gli etimi e i meccanismi di tutte le lingue esistenti. 

  Se prendiamo il gr. thrón-os ’sedia,trono’, con le varianti thrân-os ‘sedia, sgabello’ e thrên-os ‘sgabello, predella, banco dei rematori’,  vedremo che esso deve essere messo in rapporto con l’it. tranello, piuttosto che col verbo sscr. dhāráyati ‘egli teneva, portava’ come solitamente si fa. In greco, d’altronde, si incontra la parola thróna ‘fiori ricamati, ricami’ la cui radice deve aver avuto il significato originario di ‘intessere’, cioè disegnare con l’ago una figura su un tessuto, operazione equivalente a quella di intrecciare. La parola richiama l’irl. druine ‘ricamo’. 

  L’it. tranello ha avuto, a mio parere, etimologie molto infelici che riportano il termine all’it. ant. tranare, variante di trainare, verbo derivante da un supposto lat. volgare *tragin-are, tratto dal class. trah-ere ‘trarre’.  Il tranello sarebbe secondo il Devoto[2] «(azione subdola) per trascinare (in un’insidia)»! Dove è andata finire la semplicità e il modo diretto di nominare le cose che abbiamo spesso rilevato in altri casi? Oggi il significato della parola è quasi soltanto quello figurato di ‘inganno, trappola’, mentre nel dizionario etimologico d’inizio ‘900 del Pianigiani se ne dà anche il significato di ‘rete,laccio’.  Per venire a capo di questa non bella situazione possiamo ricorrere, armati della convinzione che dietro la parola ci sia un significato generico di ‘legame, legaccio’ e simili, alle voci inglesi treenail, trenail, trunnel che hanno il significato marinaresco di ‘caviglia di legno’, usata per fissare tavole nella costruzione delle navi.  La sua funzione è quindi quella di fissare, inchiodare, tenere stretto, legare. Apparentemente l’etimo di tree-nail è semplicissimo, tanto che i linguisti non ne dubitano affatto: si tratterebbe di chiodo (-nail) di legno (tree-). Però tree significa solo ‘albero’, e già questa piccola difficoltà dovrebbe indurci a riflettere di più, anche se la radice in altre lingue mostra anche il significato di ‘legno’. La variante tre-nail si distacca poco dalla precedente, ma la variante trunnel[3] apre uno scenario diverso. 

  Infatti, a mio parere, la forma tree-nail è il risultato dell’etimologia popolare tratta da un precedente termine *trenel (anche *tranel) simile alla variante trenail, ma anche, per la parte finale, a trunnel, il quale in inglese risulta però opaco, cioè senza un qualche etimo evidente. E sappiamo come l’etimologia popolare o paretimologia in questi casi si dia da fare, quando è possibile, per rendere più familiare e cordiale il termine trovandogli una qualche motivazione purchessia.  Direi però che in questo caso la sua opera è ineccepibile, in quanto l’etimo da essa supposto indica con estrema precisione il referente. Ma è proprio questa precisione ad essere sospetta per i motivi che abbiamo sottolineato più volte,scaturenti dalla necessità che il significato originario di un termine deve essere assolutamente generico. Allo stesso modo io sono convinto che la maggior parte delle parole composte, in inglese ed altre lingue, avevano originariamente non due significati rispondenti ai due termini del composto ma uno soltanto, come ho ricordato anche in altri articoli. Parole sante sono quelle del Saussure che suonano :«Contrariamente all’idea falsa che noi volentieri ce ne facciamo, la lingua non è un meccanismo creato e ordinato in vista dei concetti che deve esprimere»[4].  Egli in questo passo commenta la formazione di alcuni plurali in inglese, ma la sua osservazione può ben essere riferita a tutti gli aspetti della lingua, compreso quello della formazione dei significati specializzati: in uno stato casuale, fortuito della lingua lo spirito si insinua a ricavarne magari quello di cui ha bisogno per una comunicazione il più possibile chiara e razionale.

  A questo punto mi pare chiaro che l’it. tranello, che, secondo il Pianigiani, significa anche ‘rete, laccio’, debba far parte di questa famiglia di parole inglesi che semanticamente indicano la funzione del legare, connettere, fermare, fissare.  Si sa che reti e lacci costituivano strumenti essenziali nell’uccellagione e nella cattura di altri animali, che rimanevano impigliati in essi.  L’etimologia popolare ha fatto il miracolo di trasformare un significato generico in uno molto preciso e calzante alla perfezione, come se il composto che ne è derivato fosse stato creato ad hoc. Ma noi sappiamo che ciò è impossibile. Questo è uno dei principi fondamentali della mia linguistica.  Le cose sono andate effettivamente così: esisteva un termine *trenel dal significato generico di ‘legame, legaccio’ e simili e la Lingua ne ha approfittato per adattarlo meravigliosamente, nel modo che abbiamo visto, ad indicare la caviglia di legno e creando un termine specifico che rende la comunicazione più chiara e puntuale.  Comunicare con termini contenenti solo significati generici riuscirebbe molto più aleatorio e penoso. 

  Anche l’etimo dell’it. trina, riportato all’aggett. lat. trin-u(m) ‘triplice, trino’, è poco convincente per il suo eccesso di precisione, che alluderebbe ad un intreccio di tre fili. Ma la trina è un pizzo o merletto non composto da tre fili, come il genovese trena che ha il significato generico di ‘cordoncino’.  Anche questa radice, quindi, è una variante di quella di it. tranello. Il suo incrociarsi col lat. trin-u(m) ha provocato un tentativo mal riuscito di far specializzare il significato generico iniziale nella direzione del tre, quando invece i suoi referenti sin dall’inizio potevano avere un numero  di fili maggiore di tre.

  Ma non è tutto.  L’it. traino, l’abr. traìnë ‘carro’,abr. trainèlla ‘carretto’ non sono da ricondurre, nemmeno questi, alla radice del verbo lat. trah-ere ‘trarre, trascinare’ con cui si sono pure incrociati, ma a quella di it. tran-ello perché con essa venivano a significare quello che realmente sono: un insieme di parti unite tra loro, una struttura. Anche l’it. treno, dal fr.train, non può sottrarsi allo stesso ragionamento.

  Una considerazione importantissima che si può fare, sulla base di questi esempi che riguardano parole di diverse lingue e dialetti, è che tutti gli idiomi dell’uomo evidentemente obbediscono agli stessi principi generali per la formazione delle parole. Così anche i linguisti giapponesi, ad esempio, potrebbero risolvere con una certa facilità questioni etimologiche e linguistiche riguardanti la loro lingua.

   Viva Iside, la gran madre di Dio, dea della vita e della morte, dea del silenzio e delle innumerevoli parole, la quale, con le sue arti magiche, deve avermi aiutato non poco a districare questi imbrogliatissimi nodi semantici.




[1] Cfr. D. Bielli, Vocabolario bruzzese, Adelmo polla editore, Cerchio-Aq, 2004.
[2] Cfr. G. Devoto, Dizionario etimologico, Le Monnier, Firenze 1968.
[3] Cfr. Dizionario Mirriam-Webster
[4] Cfr. Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, Editori Laterza 1976, Bari, p.104. Traduzione di Tullio De Mauro.  

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