Nell’articolo
precedente ho fatto notare che di solito la dea Iside veniva rappresentata con
un trono sulla testa e che essa pertanto era il simbolo del potere divino o
regale. Ora, la voce Aset (variante
di Iset), nome della dea in egizio, significa proprio ‘sedia, seggio, sede,
trono’, e questo spiega la sua raffigurazione. L’etimo del termine non ci è
noto (bisognerebbe conoscere l’antico egiziano per cercare di individuarlo col
mio metodo), ma molto probabilmente esso doveva somigliare, per il significato,
agli altri che abbiamo analizzato riguardanti gli altri attributi della dea, che
contengono il concetto di ‘connessione, unione, composizione’ così
caratteristico della dea la cui funzione precipua era quella di mettere
insieme, comporre e risistemare le cose.
Per
convincersi della bontà del precedente ragionamento circa il significato
dell’etimo ignoto di egizio aset
‘sedia’ è opportuno chiarire i significati degli etimi di it. sedia e it. trono.
Quando
noi pensiamo, in effetti, al lat. sed-e(m) ‘sedia’, al fine di giustificarne l’etimo che ci pare
lampante dal verbo lat. sed-ere ‘sedere’, ragioniamo in questo modo: la sedia è il mobile su cui una persona siede o si mette a sedere. E così facendo ci precludiamo ogni
possibilità di supporre che non fu questo tipo di circonlocuzione a determinare
la nascita del termine. Ormai sappiamo bene che la Lingua è usa nominare le
cose direttamente, dati i molti esempi incontrati che depongono in questo
senso. La verità è che una sedia è appunto un mobile, un congegno, una
struttura in via prioritaria che ha assunto successivamente il significato
particolare di ‘sedia’, quando si è incrociato con quello del verbo lat. sed-ere ‘sedere’. Ma anche quest’ultimo
significato è il risultato della specializzazione di uno precedente più ampio e
generico. Noi siamo troppo abituati a riferire l’azione o lo stato di sedere ad un uomo che si abbassa piegando
le ginocchia per mettersi a sedere o
che se ne sta seduto su una sedia,
uno sgabello, un sedile qualunque per poter sospettare che dietro quest’azione
e questo stato ci sia il significato precedente di mettersi in contatto, contattare,
stare in contatto, toccare, stare attaccato, stare
connesso non necessariamente riferito ad un uomo, ma a qualsiasi corpo che entra
in contatto con un altro. In effetti, uno dei significati del lat. sed-ere è proprio ‘aderire, restare
attaccato’ che a mio avviso è quello primitivo in quanto più generico rispetto
all’altro. Allora è ammissibile che il significato
originario di lat. sed-e(m) ‘sedia,
sede’ fosse quello di ‘struttura, strumento, apparecchio’, un oggetto, insomma,
composto da una serie di elementi attaccati o incastrati solidamente insieme.
Il sostantivo ingl. set ‘serie,
raccolta, insieme (mat.), apparecchio (radio o televisore)’, ritenuto sempre
una forma della radice in questione, ne è la prova evidente. Tra l’altro la parola assume anche il
significato di ‘pesante struttura lignea usata per sostenere le pareti nei
lavori di scavo, nelle gallerie, ecc. avvicinandosi molto all’idea che sta
dietro quella di “sedia”. In abruzzese[1] il verbo
sëdé vale ‘trattenersi a veglia:
delle donne che nell’inverno vanno dalle amiche e lavorando conversano’. Il verbo quindi non può indicare in questo
caso la semplice azione del sedersi bensì
quella di raccogliersi, riunirsi nella casa di qualche amica.
Nel dialetto di Aielli, mio paese, la voce sèdë
(3° pers. sing. dell’indic. pres. La 3° pl. è sìdënë) riferita ad albero da frutto significava (perché oggi credo
siano pochi quelli che ne conoscono il senso) che quell’albero era zeppo,
pieno, carico di frutti. Siamo
nell’ambito del concetto di ‘molteplicità, abbondanza’ variante di quello di
“massa”, la quale è composta di molti elementi addossati insieme.
La
mancata consapevolezza, da parte della linguistica tradizionale, della
esistenza di un significato generico dietro le parole, che tende a diventare sempre
più generico andando a ritroso, ha prodotto molti equivoci e difficoltà
insormontabili che intristiscono non poco questa bella e utilissima scienza dell’etimologia
e del Linguaggio degli uomini. Con
questo nuovo metodo si potranno districare molte situazioni ingarbugliate
riguardanti gli etimi e i meccanismi di tutte le lingue esistenti.
Se
prendiamo il gr. thrón-os ’sedia,trono’,
con le varianti thrân-os ‘sedia,
sgabello’ e thrên-os ‘sgabello,
predella, banco dei rematori’, vedremo
che esso deve essere messo in rapporto con l’it. tranello, piuttosto che col verbo sscr. dhāráyati ‘egli teneva, portava’ come solitamente si fa. In greco,
d’altronde, si incontra la parola thróna
‘fiori ricamati, ricami’ la cui radice deve aver avuto il significato
originario di ‘intessere’, cioè disegnare con l’ago una figura su un tessuto,
operazione equivalente a quella di intrecciare.
La parola richiama l’irl. druine
‘ricamo’.
L’it. tranello ha avuto, a mio
parere, etimologie molto infelici che riportano il termine all’it. ant. tranare, variante di trainare, verbo derivante da un supposto
lat. volgare *tragin-are, tratto
dal class. trah-ere ‘trarre’. Il tranello sarebbe secondo il Devoto[2] «(azione
subdola) per trascinare (in un’insidia)»! Dove è andata finire la semplicità e
il modo diretto di nominare le cose che abbiamo spesso rilevato in altri casi? Oggi
il significato della parola è quasi soltanto quello figurato di ‘inganno,
trappola’, mentre nel dizionario etimologico d’inizio ‘900 del Pianigiani se ne
dà anche il significato di ‘rete,laccio’.
Per venire a capo di questa non bella situazione possiamo ricorrere,
armati della convinzione che dietro la parola ci sia un significato generico di
‘legame, legaccio’ e simili, alle voci inglesi treenail, trenail, trunnel che hanno il significato marinaresco di
‘caviglia di legno’, usata per fissare
tavole nella costruzione delle navi. La
sua funzione è quindi quella di fissare, inchiodare, tenere stretto, legare. Apparentemente
l’etimo di tree-nail è semplicissimo,
tanto che i linguisti non ne dubitano affatto: si tratterebbe di chiodo (-nail) di legno (tree-). Però tree
significa solo ‘albero’, e già questa piccola difficoltà dovrebbe indurci a
riflettere di più, anche se la radice in altre lingue mostra anche il
significato di ‘legno’. La variante tre-nail
si distacca poco dalla precedente, ma la variante trunnel[3] apre uno scenario diverso.
Infatti, a mio parere, la forma tree-nail
è il risultato dell’etimologia popolare tratta da un precedente termine *trenel (anche *tranel) simile alla variante trenail,
ma anche, per la parte finale, a trunnel,
il quale in inglese risulta però opaco, cioè senza un qualche etimo evidente. E
sappiamo come l’etimologia popolare o paretimologia in questi casi si dia da
fare, quando è possibile, per rendere più familiare e cordiale il termine trovandogli
una qualche motivazione purchessia.
Direi però che in questo caso la sua opera è ineccepibile, in quanto l’etimo
da essa supposto indica con estrema precisione il referente. Ma è proprio
questa precisione ad essere sospetta per i motivi che abbiamo sottolineato più
volte,scaturenti dalla necessità che il significato originario di un termine
deve essere assolutamente generico. Allo stesso modo io sono convinto che la
maggior parte delle parole composte, in inglese ed altre lingue, avevano
originariamente non due significati rispondenti ai due termini del composto ma
uno soltanto, come ho ricordato anche in altri articoli. Parole sante sono
quelle del Saussure che suonano :«Contrariamente all’idea falsa che noi
volentieri ce ne facciamo, la lingua non è un meccanismo creato e ordinato in
vista dei concetti che deve esprimere»[4]. Egli in questo passo commenta la formazione di
alcuni plurali in inglese, ma la sua osservazione può ben essere riferita a
tutti gli aspetti della lingua, compreso quello della formazione dei
significati specializzati: in uno stato casuale, fortuito della lingua lo
spirito si insinua a ricavarne magari quello di cui ha bisogno per una comunicazione
il più possibile chiara e razionale.
A
questo punto mi pare chiaro che l’it. tranello,
che, secondo il Pianigiani, significa anche ‘rete, laccio’, debba far parte di
questa famiglia di parole inglesi che semanticamente indicano la funzione del
legare, connettere, fermare, fissare. Si
sa che reti e lacci costituivano strumenti essenziali nell’uccellagione e nella
cattura di altri animali, che rimanevano impigliati
in essi. L’etimologia popolare ha fatto il
miracolo di trasformare un significato generico in uno molto preciso e calzante
alla perfezione, come se il composto che ne è derivato fosse stato creato ad hoc. Ma noi sappiamo che ciò è
impossibile. Questo è uno dei principi fondamentali della mia linguistica. Le cose sono andate effettivamente così:
esisteva un termine *trenel dal
significato generico di ‘legame, legaccio’ e simili e la Lingua ne ha
approfittato per adattarlo meravigliosamente, nel modo che abbiamo visto, ad
indicare la caviglia di legno e
creando un termine specifico che rende la comunicazione più chiara e
puntuale. Comunicare con termini
contenenti solo significati generici riuscirebbe molto più aleatorio e penoso.
Anche
l’etimo dell’it. trina, riportato
all’aggett. lat. trin-u(m) ‘triplice, trino’,
è poco convincente per il suo eccesso di precisione, che alluderebbe ad un intreccio
di tre fili. Ma la trina è un pizzo o
merletto non composto da tre fili, come il genovese trena che ha il significato generico di ‘cordoncino’. Anche questa radice, quindi, è una variante
di quella di it. tranello. Il suo
incrociarsi col lat. trin-u(m) ha provocato un tentativo mal riuscito di far specializzare
il significato generico iniziale nella direzione del tre, quando invece i suoi referenti sin dall’inizio potevano avere
un numero di fili maggiore di tre.
Ma non è tutto. L’it. traino,
l’abr. traìnë ‘carro’,abr. trainèlla ‘carretto’ non sono da
ricondurre, nemmeno questi, alla radice del verbo lat. trah-ere ‘trarre, trascinare’ con cui si sono pure incrociati, ma a
quella di it. tran-ello perché con
essa venivano a significare quello che realmente sono: un insieme di parti
unite tra loro, una struttura. Anche l’it. treno,
dal fr.train, non può sottrarsi allo
stesso ragionamento.
Una considerazione
importantissima che si può fare, sulla base di questi esempi che riguardano parole
di diverse lingue e dialetti, è che tutti gli idiomi dell’uomo evidentemente
obbediscono agli stessi principi generali per la formazione delle parole. Così
anche i linguisti giapponesi, ad esempio, potrebbero risolvere con una certa
facilità questioni etimologiche e linguistiche riguardanti la loro lingua.
Viva Iside, la gran madre di Dio,
dea della vita e della morte, dea del silenzio e delle innumerevoli parole, la
quale, con le sue arti magiche, deve avermi aiutato non poco a districare
questi imbrogliatissimi nodi semantici.
[1] Cfr. D.
Bielli, Vocabolario bruzzese, Adelmo
polla editore, Cerchio-Aq, 2004.
[2] Cfr. G.
Devoto, Dizionario etimologico, Le
Monnier, Firenze 1968.
[3] Cfr.
Dizionario Mirriam-Webster
[4] Cfr.
Ferdinand de Saussure, Corso di
linguistica generale, Editori Laterza 1976, Bari, p.104. Traduzione di
Tullio De Mauro.
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