Sono rimasto molto stupito quando ho letto, nel vocabolario abruzzese
online Treppecore, la voce ciprignë col
significato di ‘luna’. Io conoscevo
l’aggettivo fin dagli anni lontani della prima adolescenza, quando già in I°
media, si leggeva durante tutto l’anno l’Iliade di Omero ed ebbi così modo di
apprendere che ciprigna e cipria erano appellativi della dea
Afrodite, la Venere latina, la quale avrebbe avuto quegli epiteti, oltre a
quello di Cipride, perché nata nel mare presso l’isola greca di Cipro a
sud della penisola anatolica, secondo il racconto mitologico che peraltro, come
al solito, non era univoco in quanto, in altra versione, la dea sarebbe nata nel
mare presso l’isola di Citera a sud del Peloponneso, in tutt’altra area
geografica.
Ora, in un primo momento ho pensato che la parola in questione potesse rappresentare
un prestito dotto dall’italiano del dialetto abruzzese, ma successivamente il
suo significato di ‘luna’, nome comune non riferito alla dea Venere e tanto
meno alla dea Luna, mi ha fatto pensare diversamente ed arrivare alla soluzione
che esporrò e che ritengo veritiera.
Di solito il concetto di “bello, bellezza”
scaturisce da quello di “luce, luminosità” da cui a sua volta deriva spesso
quello di “luna”, termine dal lat. *leukn-a(m) ‘quella che brilla”,
dalla radice di lat. luc-e(m) ‘luce’. Ecco quindi la strada che collega a mio avviso l’abruzzese
ciprignë ‘luna’ e l’italiano
epico-letterario Ciprigna ‘Venere’,
anche nella forma di aggettivo femminile nell’espressione, ad esempio, di ciprigna dea. Il fatto è linguisticamente molto
interessante perché induce a constatare che il termine ciprignë, nel valore di ‘luna’ in quanto ‘luminosità’, non può
essere fatto derivare da un supposto lat. *Cyprigenu(m)
a sua volta dal gr.Kupro-genés ‘nato/a
a Cipro’, detto della dea Afrodite-Venere che, secondo una delle due leggende
citate, era sorta dalla spuma del mare prossimo all’isola. Sorge di conseguenza il forte sospetto che
anche il lat. cypr-u(m) cupr-u(m) ’rame’ traesse origine da questa
radice “luminosa” circolante anche in Italia da tempo immemorabile e presente addirittura
nella lingua sumerica nella Mesopotamia (cfr. zubar ‘rame’, kubar
‘bronzo’) risalente almeno al V millennio a.C.. La “luminosità” potrebbe essere
quella del rame rossastro abbondante nell’isola di Cipro. Al limite, questo vocabolo per ‘rame’
potrebbe avere anche un’altra motivazione, ma di sicuro esso ha attirato l’appellativo
omofono per “luminosità” come è successo
a mio parere per il gr. kúpr-os ‘henné’, frutice (Lawsonia inermis) con foglie e rami
rosso-marrone da cui si ricava una sostanza usata per tingere soprattutto di
rosso i capelli anche con riflessi ramati: evidentemente il termine “luminoso,
rosso’, poi caduto dall’uso, determinò la specializzazione di un precedente
nome generico per ‘pianta’ che andava poi a coincidere formalmente con esso.
Così cadono a cascata, l’una dopo
l’altra, tutte le etimologie relative a termini contenenti questa radice,
elaborate dalla linguistica tradizionale che rimane invischiata in genere nei significati
apparenti e superficiali delle parole, corrispondenti spesso alle cosiddette
etimologie popolari. L’appellativo greco
Kupro-genés ‘nata a Cipro, Cipria) riferito
ad Afrodite ci inganna terribilmente con questo significato di superficie,
giacchè il termine va interpretato a mio avviso come composto tautologico
esprimente il concetto di “bellezza, splendore” in ambedue le componenti. La
prima è la parola di cui stiamo parlando, per la seconda –genḗs rimando all’articolo La
luna e la luce presente nel mio blog[1], dove è ampiamente
trattata. Basti qui ricordare il gr. gános
‘spendore’, il turco günes ‘sole’,
l’arabo ganni ’rosso
acceso’,l’albanese hane, hēnē ‘luna’. Il cornico can ‘splendore, bianchezza’. Esiste
anche il gr. aphro-genḗs, riferito
sempre ad Afrodite, nata dalla spuma del mare secondo il significato corrente
di superficie (cfr. gr. aphr-ós ‘spuma’) . Ma se –genḗs vale in questo caso ‘luminoso/a’
anche
aphr-ós ‘delicato,
molle, splendido, grazioso’ poteva avere lo stesso pieno significato di
‘luminoso, splendido,brillante’ come in quella che può essere considerata una sua
variante e che costituisce la prima componente del composto usato da Euripide abro-mίtres ‘dal fulgido diadema’. In effetti
l’aggettivo gr. abr-ós vale
‘delicato, molle, splendido, grazioso’.
Il dorico abṓr vale ‘aurora’.
Ma non bisogna dimenticare nemmeno il termine it. afrore ‘odore sgradevole che emana dal sudore, dall’uva in
fermentazione, dai carboni che cominciano ad ardere,ecc.’. Il ribollire dei tini dà l’idea della
“schiuma” da cui sarebbe nata Afrodite oltre a produrre l’aspro odor dei vini
di carducciana memoria. Tutte queste connessioni sono legittime perché i
vocaboli hanno un’idea di fondo genericissima, e in questo caso è facile individuarla
nella forza che accende il fuoco, fa bollire l’acqua o il vino, li fa esalare o
accende le cose. Leggo nel vocabolario
del Rocci che Afrodite era chiamata anche semplicemente Aphrṓ da Nicandro (III sec. d. C.). Questo nome a mio parere non
è un accorciativo come penseranno i più, perché era autosufficiente se esso all’origine bastava da sé a significare ‘bella, bellezza, splendore’ come
abbiamo visto sopra. Anche il secondo elemento di gr. Afro-dίtē doveva avere il significato luminoso del primo che si può
riscontrare, ad esempio, nell’albanese dite ‘giorno’, nel gr. titṓ
‘giorno, sole’, usato da Callimaco.
Quello che vado dicendo è
sconvolgente, come ho detto altre volte in altri articoli simili, perché ci
induce a credere, ad esempio, che la mitologia tradizionale ci offre dei
significati magari validi per il greco antico, ma spesso completamente erronei
e fuorvianti per la remotissima epoca e per la lingua in cui essa iniziò a formarsi. Abbiamo visto
infatti che gli appellativi Kupro-genḗs o
aphro-genḗs non significavano
all’origine rispettivamente ‘nata a Cipro’ e ‘nata dalla spuma’ ma
semplicemente ‘bella, splendida, luminosa’.
E’ un mondo rovesciato perché in questi casi non siamo più di fronte ad
un pensiero mitico e fantasioso bensì ad uno più naturale e concreto! E pensare
che tutta questa rivoluzione è partita dalla riflessione sull’abr. ciprignë ‘luna’, naturalmente inserita
nel contesto della mia visione linguistica, su cui lavoro da moltissimi anni.
Gli Umbri e i Piceni adoravano una
divinità della fecondità chiamata Cupra,
che alcuni hanno paragonato a Giunone, altri alla Bona Dea romana. Essa era
probabilmente una delle tante dee madri dell’amore e della fertilità come era in
fondo la stessa Venere. La radice del nome sembra essere quella degli
appellativi di Afrodite che abbiamo incontrato, inizianti con la componente Kupro-, e non è escluso che la stessa
radice di lat. Cup-ίd-u(m) ‘Cupίdo’
figlio di Venere, e di lat. cup-ere ‘desiderare, bramare’ sia alla sua base. Cupra Montana-An e Cupra
Marittima-Ap sono ed erano nell’antichità due centri delle Marche che
probabilmente debbono il nome a questa dea a cui erano dedicati dei
templi. Dico “probabilmente” perché,
secondo me, l’origine del toponimo potrebbe riferirsi ai “colli” su cui gli
insediamenti sorgevano, anche quello di Cupra Marittima in realtà sorgeva su
colli a nord dell’attuale città. Inoltre
una frazione di Cupramontana è chiamata proprio Poggio Cupro. Un altro Monte Cupro si trova nella zona di
Preci-Pg. Nel territorio del mio paese di Aielli-Aq esiste una contrada in
forte pendio chiamata Cipr-essa[2]. Inoltre, sempre nel territorio di Aielli, si
incontra quella che me pare una variante
del nome nell’oronimo Colle
Capr-ino, come il Colle Caprino di Pescara. Del resto a Roma esisteva la
Iuno Capro-tina
‘Giunone Caprotina’, venerata come dea della fecondità. Per l'elemento -tina cfr. etrusco tin 'giorno'. La rupe Tarpeia , su cui pare fosse il tempio di
Iuno Moneta[3],
è chiamata anche Monte Caprino mi
pare a cominciare da sec.VIII d.C. Ma non è improbabile che questa
denominazione secondaria della rupe famosa esistesse già nell’antichità: a
Giunone, dati questi appellativi, era sacra la capra[4].
Non sarà un caso se Tito Livio (XXVII) descrivendo una solenne processione ordinata dagli aruspici in conseguenza di un
fulmine abbattutosi sul tempio di Giunone Regina sull’Aventino dice che duo cupressea
signa Iunonis Reginae portabantur ‘due statue di legno di cipresso di
Giunone Regina erano portate’: il cipresso era sacro a Diana[5] , dea
della caccia, della luna, e sorella di Apollo, dio del sole. Il nome Diana vale etimologicamente ‘la
luminosa’. E anche Giunone rappresentava la divinità della luna! Rami di
cipresso erano portati in processione per Venere: evidentemente la radice del
nome si era incrociata con quella di ‘luminosità, bellezza’.
L’it. inciprignire ‘adirarsi’ o ‘irritarsi (delle piaghe)’ contiene tutta
la forza della radice incontrata che ‘ribolle, si accende, arde e brucia o si
inasprisce’ a seconda dei casi. Inoltre il medio latino cypri-ana[6] indicava una forte burrasca in mare che
si sviluppava, secondo i marinai cartaginesi, intorno al giorno festivo di san
Cipriano. A parte la coincidenza con la festività, il termine doveva
significare di proprio ‘tempesta, ribollimento’ e simili. Infine il greco kapr-áō significa ‘essere in caldo, essere
libidinoso’ come l’ingl. cypr-ian che, oltre a ‘cipriota’, significa ‘uomo libidinoso’ o
‘meretrice, prostituta’.
Concludo affermando che l'abruzzese ciprigna 'luna' dimostra che parole dalla coloritura greca circolavano tra gli italici ben prima,forse millenni prima, degli spesso fantomatici influssi magno-greci, come ho asserito in diversi altri articoli.
Concludo affermando che l'abruzzese ciprigna 'luna' dimostra che parole dalla coloritura greca circolavano tra gli italici ben prima,forse millenni prima, degli spesso fantomatici influssi magno-greci, come ho asserito in diversi altri articoli.
[1] Cfr.
pietromaccallini.blogspot.it, articolo La
luna e la luce del 04/05/2010.
[2] Cfr.
anche comune di Cipressa-Im il cui
nucleo centrale è su un colle.
[3] Per
quello che secondo me è il vero significato di Moneta cfr. l’articolo citato La
luna e la luce.
[4]
Taluni pensano che la capra era sacra
a Giunone, dea della fecondità, perché questo animale sarebbe particolarmente
lascivo. A me non pare: ragazzo ne
possedevamo alcune. Io credo che il nome avesse in questo caso a che fare col
gr. kapr-áō ‘essere
in calore, in amore’. Ma anche in questo
caso il verbo si incrocia col gr. kápr-os ‘cinghiale’, gr. kápr-aina ‘scrofa’ e potrebbe ingannevolmente suggerire che il suo
significato sia mutuato dall’animale. In realtà si tratta, a mio parere, di una
variante del verbo lat. cup-ere ‘desiderare, bramare’, come ho spiegato sopra.
[5] Cfr. Virgilio,
Aen. III,680-1.
[6] Cfr. Du
Cange, Glossarium mediae et infimae
latinitatis, in rete.
Sono rimasto molto colpito dal lungo esame linguistico. Mi interesso di glottologia e posseggo dalla nascita il nostro arbëresh, tramandato oralmente da circa sei secoli
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