giovedì 11 gennaio 2018

Ciprigna

                                                                      

   Sono rimasto molto stupito quando ho letto, nel vocabolario abruzzese online Treppecore, la voce ciprignë col significato di ‘luna’.  Io conoscevo l’aggettivo fin dagli anni lontani della prima adolescenza, quando già in I° media, si leggeva durante tutto l’anno l’Iliade di Omero ed ebbi così modo di apprendere che ciprigna e cipria erano appellativi della dea Afrodite, la Venere latina, la quale avrebbe avuto quegli epiteti, oltre a quello di Cipride, perché  nata nel mare presso l’isola greca di Cipro a sud della penisola anatolica, secondo il racconto mitologico che peraltro, come al solito, non era univoco in quanto, in altra versione, la dea sarebbe nata nel mare presso l’isola di Citera a sud del Peloponneso, in tutt’altra area geografica. 

    Ora, in un primo momento ho pensato che la parola in questione potesse rappresentare un prestito dotto dall’italiano del dialetto abruzzese, ma successivamente il suo significato di ‘luna’, nome comune non riferito alla dea Venere e tanto meno alla dea Luna, mi ha fatto pensare diversamente ed arrivare alla soluzione che esporrò e che ritengo veritiera.

Di solito il concetto di “bello, bellezza” scaturisce da quello di “luce, luminosità” da cui a sua volta deriva spesso quello di “luna”, termine dal lat. *leukn-a(m) ‘quella che brilla”, dalla radice di lat. luc-e(m) ‘luce’. Ecco quindi la strada che collega a mio avviso l’abruzzese ciprignë ‘luna’ e l’italiano epico-letterario Ciprigna ‘Venere’, anche nella forma di aggettivo femminile nell’espressione, ad esempio, di ciprigna dea.  Il fatto è linguisticamente molto interessante perché induce a constatare che il termine ciprignë, nel valore di ‘luna’ in quanto ‘luminosità’, non può essere fatto derivare da un supposto lat. *Cyprigenu(m) a sua volta dal gr.Kupro-genés ‘nato/a a Cipro’, detto della dea Afrodite-Venere che, secondo una delle due leggende citate, era sorta dalla spuma del mare prossimo all’isola.  Sorge di conseguenza il forte sospetto che anche il lat. cypr-u(m) cupr-u(m) ’rame’ traesse origine da questa radice “luminosa” circolante anche in Italia da tempo immemorabile e presente addirittura nella lingua sumerica nella Mesopotamia (cfr. zubar ‘rame’, kubar ‘bronzo’) risalente almeno al V millennio a.C.. La “luminosità” potrebbe essere quella del rame rossastro abbondante nell’isola di Cipro.  Al limite, questo vocabolo per ‘rame’ potrebbe avere anche un’altra motivazione, ma di sicuro esso ha attirato l’appellativo omofono per “luminosità”  come è successo a mio parere per il gr. kúpr-os ‘henné’, frutice  (Lawsonia inermis)  con foglie e rami rosso-marrone da cui si ricava una sostanza usata per tingere soprattutto di rosso i capelli anche con riflessi ramati: evidentemente il termine “luminoso, rosso’, poi caduto dall’uso, determinò la specializzazione di un precedente nome generico per ‘pianta’ che andava poi a coincidere formalmente con esso.

Così cadono a cascata, l’una dopo l’altra, tutte le etimologie relative a termini contenenti questa radice, elaborate dalla linguistica tradizionale che rimane invischiata in genere nei significati apparenti e superficiali delle parole, corrispondenti spesso alle cosiddette etimologie popolari.  L’appellativo greco Kupro-genés ‘nata a Cipro, Cipria) riferito ad Afrodite ci inganna terribilmente con questo significato di superficie, giacchè il termine va interpretato a mio avviso come composto tautologico esprimente il concetto di “bellezza, splendore” in ambedue le componenti. La prima è la parola di cui stiamo parlando, per la seconda –genḗs rimando all’articolo La luna e la luce presente nel mio  blog[1], dove è ampiamente trattata. Basti qui ricordare il gr. gános ‘spendore’, il turco günes ‘sole’, l’arabo ganni ’rosso acceso’,l’albanese hane, hēnē ‘luna’. Il cornico can ‘splendore, bianchezza’. Esiste anche il gr. aphro-genḗs, riferito sempre ad Afrodite, nata dalla spuma del mare secondo il significato corrente di superficie (cfr. gr. aphr-ós ‘spuma’) .   Ma se –genḗs vale in questo caso ‘luminoso/a’ anche aphr-ós ‘delicato, molle, splendido, grazioso’ poteva avere lo stesso pieno significato di ‘luminoso, splendido,brillante’ come in quella che può essere considerata una sua variante e che costituisce la prima componente del composto usato da Euripide abro-mίtres ‘dal fulgido diadema’. In effetti l’aggettivo gr. abr-ós vale ‘delicato, molle, splendido, grazioso’.   Il dorico abṓr vale ‘aurora’. Ma non bisogna dimenticare nemmeno il termine it. afrore ‘odore sgradevole che emana dal sudore, dall’uva in fermentazione, dai carboni che cominciano ad ardere,ecc.’.  Il ribollire dei tini dà l’idea della “schiuma” da cui sarebbe nata Afrodite oltre a produrre l’aspro odor dei vini di carducciana memoria. Tutte queste connessioni sono legittime perché i vocaboli hanno un’idea di fondo genericissima, e in questo caso è facile individuarla nella forza che accende il fuoco, fa bollire l’acqua o il vino, li fa esalare o accende le cose.  Leggo nel vocabolario del Rocci che Afrodite era chiamata anche semplicemente Aphrṓ da Nicandro (III sec. d. C.). Questo nome  a mio parere non è un accorciativo come penseranno i più, perché era autosufficiente se esso all’origine bastava da sé a significare ‘bella, bellezza, splendore’ come abbiamo visto sopra. Anche il secondo elemento di gr. Afro-dίtē  doveva avere il significato luminoso del primo che si può riscontrare, ad esempio, nell’albanese dite ‘giorno’, nel gr. titṓ ‘giorno, sole’, usato da Callimaco.

Quello che vado dicendo è sconvolgente, come ho detto altre volte in altri articoli simili, perché ci induce a credere, ad esempio, che la mitologia tradizionale ci offre dei significati magari validi per il greco antico, ma spesso completamente erronei e fuorvianti per la remotissima epoca e per la lingua  in cui essa iniziò a formarsi. Abbiamo visto infatti che gli appellativi Kupro-genḗs o aphro-genḗs non significavano all’origine rispettivamente ‘nata a Cipro’ e ‘nata dalla spuma’ ma semplicemente ‘bella, splendida, luminosa’.  E’ un mondo rovesciato perché in questi casi non siamo più di fronte ad un pensiero mitico e fantasioso bensì ad uno più naturale e concreto! E pensare che tutta questa rivoluzione è partita dalla riflessione sull’abr. ciprignë ‘luna’, naturalmente inserita nel contesto della mia visione linguistica, su cui lavoro da moltissimi anni.

Gli Umbri e i Piceni adoravano una divinità della fecondità chiamata Cupra, che alcuni hanno paragonato a Giunone, altri alla Bona Dea romana. Essa era probabilmente una delle tante dee madri dell’amore e della fertilità come era in fondo la stessa Venere. La radice del nome sembra essere quella degli appellativi di Afrodite che abbiamo incontrato, inizianti con la componente Kupro-, e non è escluso che la stessa radice di lat. Cup-ίd-u(m) ‘Cupίdo’ figlio di Venere, e di lat. cup-ere ‘desiderare, bramare’ sia alla sua base. Cupra Montana-An e Cupra Marittima-Ap sono ed erano nell’antichità due centri delle Marche che probabilmente debbono il nome a questa dea a cui erano dedicati dei templi.  Dico “probabilmente” perché, secondo me, l’origine del toponimo potrebbe riferirsi ai “colli” su cui gli insediamenti sorgevano, anche quello di Cupra Marittima in realtà sorgeva su colli a nord dell’attuale città.  Inoltre una frazione di Cupramontana è chiamata proprio Poggio Cupro.  Un altro Monte Cupro si trova nella zona di Preci-Pg. Nel territorio del mio paese di Aielli-Aq esiste una contrada in forte pendio chiamata  Cipr-essa[2].  Inoltre, sempre nel territorio di Aielli, si incontra quella che  me pare una variante del nome  nell’oronimo Colle Capr-ino, come il Colle Caprino di Pescara. Del resto a Roma esisteva la Iuno Capro-tina ‘Giunone Caprotina’, venerata come dea della fecondità. Per l'elemento -tina cfr. etrusco tin 'giorno'. La rupe Tarpeia , su cui pare fosse il tempio di Iuno Moneta[3], è chiamata anche Monte Caprino mi pare a cominciare da sec.VIII d.C. Ma non è improbabile che questa denominazione secondaria della rupe famosa esistesse già nell’antichità: a Giunone, dati questi appellativi, era sacra la capra[4]. Non sarà un caso se Tito Livio (XXVII) descrivendo una solenne processione  ordinata dagli aruspici in conseguenza di un fulmine abbattutosi sul tempio di Giunone Regina sull’Aventino dice che duo cupressea signa Iunonis Reginae portabantur ‘due statue di legno di cipresso di Giunone Regina erano portate’: il cipresso era sacro a Diana[5] , dea della caccia, della luna, e sorella di Apollo, dio del sole.  Il nome Diana vale etimologicamente ‘la luminosa’. E anche Giunone rappresentava la divinità della luna! Rami di cipresso erano portati in processione per Venere: evidentemente la radice del nome si era incrociata con quella di ‘luminosità, bellezza’.  

L’it. inciprignire ‘adirarsi’ o ‘irritarsi (delle piaghe)’ contiene tutta la forza della radice incontrata che ‘ribolle, si accende, arde e brucia o si inasprisce’ a seconda dei casi. Inoltre il medio latino cypri-ana[6] indicava una forte burrasca in mare che si sviluppava, secondo i marinai cartaginesi, intorno al giorno festivo di san Cipriano. A parte la coincidenza con la festività, il termine doveva significare di proprio ‘tempesta, ribollimento’ e simili. Infine il greco kapr-áō significa ‘essere in caldo, essere libidinoso’ come l’ingl. cypr-ian che, oltre a ‘cipriota’, significa ‘uomo libidinoso’ o ‘meretrice, prostituta’. 

Concludo affermando che l'abruzzese ciprigna 'luna' dimostra che parole dalla coloritura greca circolavano tra gli italici ben prima,forse millenni prima, degli spesso fantomatici influssi magno-greci, come ho asserito in diversi altri articoli.





[1] Cfr. pietromaccallini.blogspot.it, articolo La luna e la luce del  04/05/2010.

[2] Cfr. anche comune di Cipressa-Im il cui nucleo centrale è su un colle.

[3] Per quello che secondo me è il vero significato di Moneta cfr. l’articolo citato La luna e la luce.

[4] Taluni pensano che la capra era sacra a Giunone, dea della fecondità, perché questo animale sarebbe particolarmente lascivo.  A me non pare: ragazzo ne possedevamo alcune. Io credo che il nome avesse in questo caso a che fare col gr. kapr-áō ‘essere in calore, in amore’.  Ma anche in questo caso il verbo si incrocia col gr. kápr-os ‘cinghiale’, gr. kápr-aina ‘scrofa’ e potrebbe ingannevolmente suggerire che il suo significato sia mutuato dall’animale. In realtà si tratta, a mio parere, di una variante del verbo lat. cup-ere ‘desiderare, bramare’, come ho spiegato sopra.

[5] Cfr. Virgilio, Aen. III,680-1.

[6] Cfr. Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, in rete.

1 commento:

  1. Sono rimasto molto colpito dal lungo esame linguistico. Mi interesso di glottologia e posseggo dalla nascita il nostro arbëresh, tramandato oralmente da circa sei secoli

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