Diversi sono i significati di pectin-e(m) ‘pettine’ di facile comprensione,
tenendo presente la forma standard di un pettine:1) strumento d’osso (oggi
anche di plastica) per ravviare e rassettare i capelli; 2) strumento per
cardare o tessere; 3) rastrello[1]; 4)
plettro per “pizzicare” le corde della lira.
Le difficoltà cominciano con il significato di ‘pube’, la macchia di
peli del corpo umano dall’ombelico in giù verso gli organi genitali.
L’italiano obsoleto pettignone ‘pube’ è un ampliamento del nome in questione,
dal latino parlato *pectin-ion-e(m). Nel
dialetto abruzzese, ma anche in altri del Meridione, si incontrano voci simili
dal significato di ‘pube’, come pëttën-arë,
pëttën-icchië[2].
Ora, Tullio De Mauro, ne Il
dizionario della lingua italiana, sotto il lemma pettignone, dandone l’etimologia,
osserva che il nome alluderebbe all’aspetto dei peli del pube, volendo
dire che essi assomiglierebbero ai “denti” del pettine. Ma è mai possibile una cosa simile? Ammesso
che il rapporto fra i due termini sia basato sulla somiglianza tra i due
referenti, non posso assolutamente accettare che chi per primo usò la voce *pectin-ion-e(m) non sia stato in grado di
trovare un termine di paragone meno vago e più concreto e credibile di quello
di pectin-e(m) ‘pettine’. E ce ne erano tanti, come cirr-u(m) ‘ciuffo’, lanug-in-e(m) ‘lanugine, pelame’ e gli stessi pil-u(m) ‘pelo, peli’ e vill-u(m) ‘vello, pelo’.
Allora bisogna dedurre che qualcosa non va nel ragionamento seguito da
De Mauro e da altri, con tutto il rispetto dovuto ai linguisti di questo
calibro. A mio parere la questione è questa: la somiglianza tra i significati
di due parole corradicali può essere, diciamo così, estrinseca e superficiale o
intrinseca e profonda. E’ superficiale quando, come nel caso in questione, essa
è dovuta più che altro alla suggestione che la forma esteriore di un oggetto (il
pettine) suscita nella mente di chi
lo osserva il quale la ritrova, a volte solo vagamente, nell’oggetto indicato
da altro nome corradicale (il pettignone). Così facendo ci lasciamo guidare solo dal
senso della vista che però non è alla base della formazione delle parole le
quali sono essenzialmente un prodotto dell’attività intuitiva della mente,
coadiuvata naturalmente da tutti nostri sensi. E’ un errore capitale credere
che per ogni referente la nostra mente abbia creato un significato unico e
specifico, quando invece essa procede, in questa attività, dall’universale al
particolare, sicchè si verificherà che sotto un unico concetto generico si
ritroveranno molti oggetti, anche molto diversi tra loro, con significato più o
meno specializzato rispetto a quello generico a loro sovraordinato che, benchè sia
all’origine e alla base delle loro specificità, tende a scomparire nel fondo
delle parole dove dorme il suo sonno millenario. Questo è il significato intrinseco e profondo
dei vocaboli, il quale, per quanto non si imponga solitamente subito alla vista
dell’osservatore, ne costituisce tuttavia la “radice” prima, benchè possa
ancora rinviare a significati via via sempre più generici.
Ora,
questo significato di fondo emerge chiaramente soprattutto quando ci è
possibile confrontare tra loro diversi referenti che ne siano portatori.
Ritornando al nostro pectin-e(m) ‘pettine’ possiamo notare, infatti, che l’espressione latina pecten
dentium indica la fila
compatta di denti nella bocca, e non mi pare che essa voglia alludere ai
“denti” come “punte” paragonabili ai peli, bensì alla serie compatta
dell’insieme dei denti. La cosa si
chiarisce ancora meglio con voci dialettali corradicali di lat. pect-in-e(m) ‘pettine’ come gli abr.
pétt-ëlë , pëtt-ël-éllë , pëtt-ìnë che significano ‘infilzata di fichi
secchi, fatta con fuscelli, in forma di triangolo. Un’infilzata è dunque, come
supponevamo per l’espressione latina precedente, una serie di elementi (non
importa di che cosa: denti, fichi secchi o altro). L’accento sulla penultima sillaba di pëtt-ìnë fa capire che la voce si è incrociata
con l’it. petto: infatti uno dei suoi
significati è ‘Il davanti della camicia, staccato e ben incartato’. Un altro
suo significato ‘arnese con più bracci
per sostegno di candele’ lo ricollega a quello di ‘sfilza, serie’ e quindi a
quello più generico di ‘gruppo, insieme, massa, ecc.’
Così
si può con certezza asserire che è errato cercare di spiegare dei significati
collegandoli con quello del termine corradicale più comune e diffuso in una
lingua, in quanto questa diffusione è in gran parte casuale e non è dovuta ad
un sua presunta qualità di primogenitura.
Se il concetto di “pettine” è più diffuso rispetto a quello di “pube”
ciò avviene perchè il pettine lo adoperiamo più volte al giorno (specie le
donne vanitose) mentre il concetto di “pube” se ne sta nascosto nell’ombra ed è
certamente meno popolare anche dei termini dei vicini organi sessuali di cui, anzi, si ha un’inflazione di voci, soprattutto nei
dialetti.
Pecten
significa talora anche ‘verso (di poesia)’, che presso i classici non era altro
che un insieme, una serie di unità ritmiche più piccole come i piedi: il
concetto rientra quindi in quello di sfilza, serie, filare, concatenamento di
elementi, della stessa natura di quello indicato dal lat. vers-u(m) ‘verso’, concetto che sembra espressione di un movimento
lineare come quello del greco stíkh-os ‘fila, schiera, verso, riga’. Ma la parola poteva repentinamente
cambiare tipo di movimento espresso, rendendolo circolare come in una giravolta o piroetta della danza, per influsso del verbo vert-ere ‘girare, voltare’, che evidentemente non era il solo a dirigerlo
nella danza dei significati, anche se noi stentiamo a crederlo.
Per pecten
ci sarebbero anche altri significati da analizzare, ma mi fermo qui, pago
di aver delucidato il meccanismo, molto fluido e instabile, in base al quale si
originano i diversi significati particolari delle parole, rivelando una
tendenza alla mobilità e al travestimento quasi si trattasse delle particelle
subatomiche di cui si occupa la fisica quantistica[3].
[1]
Dell’etimo di rastrello, che nel suo
valore di ‘composizione di vari elementi’ coincide con quello che qui dò di
lat. pect-in-e(m), ho parlato nell’articolo I Rostri, la famosa tribuna del Foro romano
(maggio 2016).
[2] Cfr. D.
Bielli, Vocabolario abruzzese, A.
Polla editore, Cerchio-Aq. 2004.
[3] Dei
rapporti tra fisica quantistica e significati delle parole ho già parlato abbastanza
nell’articolo del mio blog Il parapetto
ovvero della libertà delle parole (febbraio
2016).
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