Succede talvolta che anche
personalità di spicco commettano errori che saltano agli occhi, suggestionate
da una loro idea circa particolari fenomeni primitivi come la magia ad esempio,
e non conoscendo a fondo i valori di una determinata voce dialettale presa in
considerazione a sostegno di quella idea. Io ho sempre pensato che se un
ricercatore avesse la ventura di conoscere capillarmente[1], non
dico i dialetti di tutta l’Italia, ma anche solo quelli di una determinata
regione, eviterebbe di commettere certe sviste e sicuramente molti fenomeni
linguistici, anche rilevanti, potrebbero essere visti sotto una luce molto diversa.
Ad esempio nel DESLI (Dizionario etimologico-semantico della lingua
italiana), scritto da M. Alinei e F. Benozzo, famosissimi linguisti, a pag. 89
si afferma, in una visione magica di certi fatti linguistici, che: «Sono numerosi i nomi dialettali
delle scintille che fanno riferimento alle loro virtù magiche: in Abruzzo si
chiamano calenn, cioè ‘calende’, dal
latino arcaico kalendae ‘primo del
mese, primi giorni del mese’: nei primi giorni dell’anno, infatti, si traevano
gli auspici, con la stessa funzione divinatrice attribuita alle scintille; in
diversi dialetti centro-meridionali si chiamano vecchie […]; nel mantovano e nell’Appennino
modenese e bolognese si chiamano streghe
(strie, strèie, striàcce); in diversi dialetti si chiamano pulcini, pulci, piccoline, belline, carine, amichette […]; in
alcuni dialetti alpini, infine, prendono il nome di occhi del diavolo».
Agli
autori di questo brano doveva sfuggire, a
mio avviso, il termine calina
‘scintilla’ ancora vivo a Collelongo-Aq, paese della Marsica e presente anche
nel dialetto di Pisoniano-Rm, sempre col significato di ‘scintilla’[2]. Ora, mi sembra del tutto naturale far
derivare la forma calenn ‘scintilla’,
meglio scritta calènnë
(Introdacqua-Aq), da una precedente calina, piuttosto che da un presunto
lat. kalendas ‘primo giorno del
mese’. Infatti abbiamo diversi altri
termini abruzzesi, a seconda delle parlate, che evidenziano questo passaggio.
Cfr. abr. carg-ènë < carg-ìnë
< carrac-ìnë ‘fico secco’ (lat. caric-a(m) ‘fico secco’) nonché abr. capr-égnë,
crap-égnë < capr-ìnë, crap-ìnë ‘caprino,
puzzo di capra’[3]. La /a/ finale in alcune parlate abruzzesi diventa
vocale evanescente /ë/. La doppia /n/ di
cal-ènnë
si può spiegare in diversi modi: raddoppiamento della sillaba postonica,
incrocio con un probabile verbo dialettale *cal-ent-are ‘scaldare’ o addirittura
con lo stesso dialettale cal-ènnë [4]‘calende’.
O forse, tagliando la testa al toro, era
proprio il lat. kal-end-as ‘calende’ che, all’origine, doveva
indicare direttamente la luna (in
quanto luminosa) del nuovo mese, allorchè
il calendario era basato sul ciclo astronomico del nostro satellite. Quindi il suo etimo non rimanda alla radice
del verbo lat. cal-are’chiamare’, come vogliono i più, ma, semmai, a quella dell’ingl.
glint
‘scintillare’, ingl. dial. glent ‘scintillare, brillare,
muoversi velocemente’, ted. glӓnz-en ‘brillare, risplendere’. Interessante l’espressione Diòs khalin-όs
usata da Eschilo nel verso 672 del Prometeo, che letteralmente vale ‘la briglia
di Zeus’ e che viene intesa
figuratamente come ‘forza di Zeus’: ma alle origini la locuzione doveva indicare,
a mio avviso, l’essenza medesima di Zeus, la
luce del giorno, racchiusa del
resto nel nome stesso del dio.
Che il
valore etimologico di calina fosse
quello di ‘scintilla, luce, fiamma’ lo conferma secondo me anche un’altra voce, ad essa strettamente connessa,
del dialetto di Pisoniano-Rm che suona caglin-ella ‘lucciola’, cioè gallin-ella: anche questo coleottero era stato
magicamente visto come una gallina? e insieme alle Gallinelle
del cielo, cioè le Pleiadi che
più naturalmente potrebbero trarre il
nome dal loro essere ‘splendori, stelle? Io sono convinto, poi, che la voce gallinella ‘lucciola’, prima di
impadronirsi, mediante incrocio, della provvidenziale luce espressa da calina
’scintilla’, avesse il significato di ‘animaletto’, come ho spiegato anche nei
precedenti articoli riguardo ad altri casi.
In effetti la gallinella, nei dialetti indica diversi coleotteri, come
la gallinella del Signore
‘coccinella’ la cui specificazione naturalmente andrebbe spiegata come uno dei
tanti nomi per ‘coccinella’, ma lascio
il compito ad altri o a mie future ricerche, anche per non allontanarmi troppo
dall’argomento. La gallinella, inoltre, è il nome di diversi uccelli come la beccaccia, il croccolone e molti altri. Anche questi vittime della magia? No! Si
dirà, però, di essi che sono simili a piccole
galline, senza lontanamente supporre che potrebbe essere il contrario, cioè
che è la gallina a somigliare ad altri pennuti o uccelli. E’ evidente, allora,
che il lat. gallin-a(m) ‘gallina’, appartenendo
ad una lingua dominante, ha finito col soppiantare tutte le altre voci simili,
sparse nei vari dialetti dell’Italia, contemporanei o precedenti ad esso, ed è
così diventata la misura di tutte le altre, subordinando e allineando i diversi valori, che esse avevano, al suo unico
significato di ‘gallina’. Secondo me,
poi, il suo valore profondo di ‘anim-ale’
si presterebbe molto ad indicare anche quello di ‘soffio, spirito, scintilla’[5].
Una radice simile a quella di gallin-ella, nel significato di
‘luce, splendore’, si ritrova nel gr. gal-ḗnē ‘bonaccia, calma di venti’
che richiama il gr. gel-ân ‘ridere,
splendere’ e il lat. galen-a(m) ‘galena’, minerale dalla lucentezza metallica. Bisogna allora cominciare a pensare che il senso
della magia dell'uomo primitivo si sia generato, o perlomeno rafforzato,
proprio attraverso i numerosi incroci di questo tipo avvenuti tra le parole
attraverso i millenni, e che quindi la magia non sia l’origine di certe
denominazioni. Naturalmente non fa nessuna difficoltà a quanto da me supposto il fatto che a Pisoniano-Rm ricorre anche la voce calina 'scintilla'. Qualcuno potrebbe obbiettare che in quel dialetto la voce calina è rimasta ad indicare la 'scintilla' appunto, e non la lucciola (gaglinella). Ma è quasi sicuro che la gaglinella 'lucciola' o la stessa calina 'scintilla' siano entrate in quel dialetto in tempi diversi: ogni lingua o parlata è sempre costituita da apporti provenienti dalle lingue o parlate vicine a loro volta in continua trasformazione.
Ora, se nei dialetti fosse andata perduta la voce calina ‘scintilla’, di certo avrei trovato grande difficoltà nello spiegare l’etimo di dial. gaglinella ‘lucciola’ e i linguisti avrebbero potuto gongolare in cuor loro, potendo rimanere attaccati alla loro convinzione relativa alla magia. Inoltre l’arco dei significati abbracciato dal termine gallinella, e cioè coccinella nonché vari altri esseri alati, mi conforta nell’idea che il suo significato originario non riguardasse questo o quell’animale, ma l’animale in genere, variamente poi specializzatosi. Anche in greco abbiamo il termine galé-ē ’donnola, martora’ e persino ‘gatto’ , la cui radice è la stessa, a mio avviso, del citato gr. gal-ḗnē ‘bonaccia, serenità’. La forza e la vivacità della scintilla è paragonabile a quella del soffio vitale, cioè l’anima, concetto che quindi, a mio avviso, è alla base non solo di quello del termine animale, ma di ogni termine indicante i numerosi animali particolari. Ciò detto deve risultare lampante la connessione calina ‘scintilla’ > gaglinella ’lucciola’> gallina, nome della gallina e di vari altri animaletti e animali, in quanto dotati della vivace scintilla dell’anima. In fondo non c’è nessuna differenza tra la gaglinella ‘lucciola’ e la gallina volatile: solo che si dà il caso che nella gaglinella la sua animalità va a combaciare con un termine che indica proprio la luce, mentre nella gallina la sua animalità non ha avuto la stessa casuale coincidenza, e pertanto il suo nome può risultare oscuro agli occhi di chi, oggi, cerca di risalire alla sua origine.
Il lat. galli-cini-u(m) ‘canto del gallo’, ma più spesso ‘alba’, come lo intendiamo? E’ formidabile e camaleontica la Lingua! Come una gall-ina poteva prestarsi a indicare una lucciola così il galli-cini-u(m) avrebbe potuto indicare direttamente la debole luce dell’alba, perché la componente –cini-u(m) dovrebbe rispondere all’aiellese cën-ìca ‘scintilla’[6] e al secondo termine dell’espressione gr. Hēphaístoio kýn-es[7], letter. ‘le cagne di Efesto (Vulcano)’, cioè le ‘scintille’.
Ora, se nei dialetti fosse andata perduta la voce calina ‘scintilla’, di certo avrei trovato grande difficoltà nello spiegare l’etimo di dial. gaglinella ‘lucciola’ e i linguisti avrebbero potuto gongolare in cuor loro, potendo rimanere attaccati alla loro convinzione relativa alla magia. Inoltre l’arco dei significati abbracciato dal termine gallinella, e cioè coccinella nonché vari altri esseri alati, mi conforta nell’idea che il suo significato originario non riguardasse questo o quell’animale, ma l’animale in genere, variamente poi specializzatosi. Anche in greco abbiamo il termine galé-ē ’donnola, martora’ e persino ‘gatto’ , la cui radice è la stessa, a mio avviso, del citato gr. gal-ḗnē ‘bonaccia, serenità’. La forza e la vivacità della scintilla è paragonabile a quella del soffio vitale, cioè l’anima, concetto che quindi, a mio avviso, è alla base non solo di quello del termine animale, ma di ogni termine indicante i numerosi animali particolari. Ciò detto deve risultare lampante la connessione calina ‘scintilla’ > gaglinella ’lucciola’> gallina, nome della gallina e di vari altri animaletti e animali, in quanto dotati della vivace scintilla dell’anima. In fondo non c’è nessuna differenza tra la gaglinella ‘lucciola’ e la gallina volatile: solo che si dà il caso che nella gaglinella la sua animalità va a combaciare con un termine che indica proprio la luce, mentre nella gallina la sua animalità non ha avuto la stessa casuale coincidenza, e pertanto il suo nome può risultare oscuro agli occhi di chi, oggi, cerca di risalire alla sua origine.
Il lat. galli-cini-u(m) ‘canto del gallo’, ma più spesso ‘alba’, come lo intendiamo? E’ formidabile e camaleontica la Lingua! Come una gall-ina poteva prestarsi a indicare una lucciola così il galli-cini-u(m) avrebbe potuto indicare direttamente la debole luce dell’alba, perché la componente –cini-u(m) dovrebbe rispondere all’aiellese cën-ìca ‘scintilla’[6] e al secondo termine dell’espressione gr. Hēphaístoio kýn-es[7], letter. ‘le cagne di Efesto (Vulcano)’, cioè le ‘scintille’.
Per
altri nomi delle ‘scintille’ citati nel brano di cui sopra mi limito a fare
brevi cenni rimandando ad altro tempo una trattazione più ampia. La parola strega
l’abbiamo già incontrata, col significato di ‘fuoco’, nell’articolo precedente Il termine “strega” e i suoi
riflessi in lingue germaniche […]. La parola pul-cino per il secondo membro richiama, a mio avviso, la seconda
componente di lat. galli-cini-u(m) sopra citato; la prima
componente pul- richiama il gr. poli-ós ‘grigio, bianco, chiaro’ e qualche epiteto esornativo relativo
all’aurora[8].
Per il primo membro della voce bell-ina si può pensare, tra i tanti, alla festa di Bel-taine ‘fuoco di Bel’, cioè del dio
celtico Bel o Bel-eno, termine il cui etimo vale
‘brillante’. Cfr. anche serbo-croato bijel ‘bianco’ e ingl. bale-fire ‘falò’, composto tautologico, se
in inglese fire significa ’fuoco’.
L’appellativo car-ina è da
connettere col primo membro di gr. khar-opós ‘dagli occhi (-opós)
brillanti (khar-)’. Per picc-oline va senz’altro citato il gr. pygo-lampís ‘lucciola’ che letteralmente
suona più o meno ‘ lucetta di dietro (pygḗ=natica)’: ma ormai lo sappiamo,
non nascono così le parole, non ci si siede a tavolino e si descrive il
referente dettagliatamente! I nomi riciclano materiale preesistente senza
l’intervento della volontà di descrivere ex novo il referente da parte
dell’uomo. Allora anche il nome di una famosa statua romana (II sec. d. C.)
nota come Venere o Afrodite Calli-pigia faceva
riferimento, all’origine, alla singolare bellezza
della dea (espressa tautologicamente col
concetto di “luminosità”) più che a quella delle sue natiche. Anche per gli occhi
del diavolo mi limito a citare l’igl.
devil-fire ‘fuoco fatuo’ o ‘fuoco di sant’Elmo’. L’ingl. devil
vale ‘diavolo’. La parola meriterebbe qualche spiegazione ma ho deciso
di fermarmi qui. Spero di essere stato
convincente.
[1] Con
“capillarmente” intendo dire ‘tutti i vocaboli dialettali di ogni paese, cosa
difficilissima.
[3] Cfr. D.
Bielli, Vocabolario abruzzese, Adelmo
Polla editore, Cerchio-Aq, 2004.
[4] Cfr.
D.Bielli, cit.
[5] Una
simile variazione di significato si nota nel lat. aura(m) ‘aria, soffio’ ma anche, in Virgilio, ‘luce, scintillio’.
[6]
Veramente ad Aielli le scintille del focolare erano chiamate paréndë
‘parenti’. Le cën-ìchë erano quelle
che uscivano, non so, dal tubo di scarico di una trebbiatrice a vapore, non
ancora elettrica. Esse insomma
designavano tutte le scintille che volavano via da un fuoco all’aperto,
resistendo per qualche tempo. Il termine
si ritrova anche in altri paesi marsicani col significato di ‘brace leggera,
diventata quasi cenere’ e simili: si nota l’influsso di lat. cinis, eris ‘cenere’.
[7]
Espressione del commediografo Alessi ( IV sec. a.C.).
[8] Cfr. le
voci impoddile, impuddile ‘alba,gallicinio’ nell’articolo Parole sarde del DULS nel mio blog (giugno 2009).
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