mercoledì 29 agosto 2018

Il termine "strega" e i suoi riflessi in lingue germaniche oltre che in latino e in italiano.






La saga delle streghe avrà accompagnato l’uomo  fin dal Paleolitico, perché da sempre egli ha dovuto combattere contro la miseria, le  mattie, le difficoltà della vita, la morte immatura, contro la sua disperazione e la sua ignoranza in tanti campi dello scibile, realtà   che lo induceva ad attribuire i mali che subiva a forze magiche ostili che spesso si materializzavano in certi tipi di persone: maghi, maghe, fattucchiere, e streghe con i relativi stregoni.  I quali, spinti per lo più da una volontà malefica, avevano però anche il potere, se avessero voluto, di esercitarla a fin di bene.

   Ora, l’etimo che solitamente si dà della parola strega è il lat. strig-e(m) ‘strige’, uccello notturno. La radice streig- è simile a quella di lat. strid-ere ‘stridere, mormorare’.  La strega, in effetti, è anche un particolare strumento di metallo che i burattinai tengono all’interno della bocca per conferire un suono particolare, spesso “stridulo”, alla voce di un personaggio rappresentato sulla scena.  Ma la gente intende la parola  come ‘strega’ tout court, la donna dotata di poteri straordinari, e non pensa affatto al suo valore etimologico, al massimo può immaginare che quel suono stridulo riproduca la voce della strega.  Succede normalmente che una radice resti sepolta sotto i significati culturali sviluppatisi intorno alla sua struttura semantica iniziale, significati che possono derivare anche da altre radici omofone ma non omosemantiche.  Eppure, anche importanti studiosi, suppongono addirittura che i nomi stessi dei referenti, in casi simili, siano dovuti a quella che chiamerei superfetazione culturale secondaria sviluppatasi intorno alle radici originarie che invece erano nude e spoglie di ogni complicazione successiva dei loro valori iniziali per due motivi almeno. Il primo scaturisce dal fatto che ogni radice, agli inizi, aveva a mio avviso  un significato generico che più generico non si può.  Ma questo potrebbe essere molto difficile da dimostrare, voglio ammetterlo. Il secondo riguarda, appunto, il diffusissimo fenomeno degli incroci tra termini omofoni ma non omosemantici, una risorsa enorme per la Lingua, che ha bisogno di specializzare i termini per un’agevole comunicazione tra gli uomini ma che purtroppo nasconde i loro  significati d’origine.  Questo secondo motivo è più facile individuarlo, analizzando le parole, comparandole, e portando così allo scoperto questo meccanismo degli incroci, vitale  per ogni lingua.

   Ora, tornando alle streghe, farò una casistica di incroci avvenuti, secondo me, anche nella notte dei tempi tra la radice di “strega” ed altre parole omofone. Nella tradizione popolare esse potevano trasformarsi anche in vento. Sarà un caso, ma in tedesco il verbo streich-en ‘passare una cosa sopra un’altra, lisciare, spianare’ significa anche ‘soffiare’, detto del vento.  Ricordo che quando ero ancora un ragazzo di una decina d’anni, nel mio paese di Aielli-Aq, qualcuno usava ancora fissare dietro la porta, presso il buco della serratura (cfr. ted. Strecke ‘galleria, cunicolo di miniera’: in sostanza il traforo o foro corrispondente al buco della serratura), un mazzetto di fili di canapa, nella convinzione che la strega sarebbe stata costretta a contarli tutti (in altri termini avrebbe dovuto “strigarli”[1]  tutti, nel senso di estricarli o districarli) prima di poter esercitare il suo potere malefico; nel frattempo sarebbe arrivata l’alba che l’avrebbe costretta a filarsela!

   Ora, sembrerà strano  ma in inglese il termine strick[2] indica proprio un mazzo di fili di canapa o lino pettinati! Addirittura potrebbe essere successo che la radice di strick, inrociatasi con una simile a quella di lat. strigil-e(m) ‘striglia’ e al dialettale streccia ‘pettine’, abbia generato anche il valore di ‘pettinato’. D’altronde, anche restandosene comodamente in Italia, si può incontrare il toscano strega ‘stoppino cerato’ posto all’estremità di una canna per accendere i ceri sull’altare.  In questo caso la voce strega poteva aver subito l’influsso di una parola omofona col significato di ‘accensione, fiamma’.

    Talvolta, sempre da ragazzino, sentivo qualcuno raccontare di aver trovato la mattina nella propria stalla le cavalle con la criniera intrecciata, indiscutibile opera delle streghe! Egli certamente non conosceva il toscano strega sunnominato né tantomeno il suo significato etimologico di ‘insieme intrecciato di fili’ da rapportare al ted. strick-en ‘lavorare a maglia’, che è un annodare o un intrecciare i fili: cfr. ted. Strick ‘corda’.

    Se al mattino si scorgeva sulla pelle del corpo di un bambino qualche arrossamento o livido o graffio si sospettava che era stato visitato dalle streghe; anche in questi casi bisogna cercare, specie per il graffio, la spiegazione nell’incrocio con termini come ted. Streiche ‘strumento per cardare’, ted. streich-en, già citato, che significa anche ‘cancellare, cardare’, ingl. streak ‘stria, striscia, screziatura’, lat. stri-a(m) ‘solco, scanalatura’ probabilmente da *strig-a(m), serbo-croato struga-ti ‘raschiare’, ecc.
    In un documento dell’Archivio di Stato di Genova si elencano i tremendi tormenti a cui le infelici donne considerate streghe venivano sottoposte: [] la colpevole sia croata (strascinata) per terra (cfr. ted. Strich ‘strisciamento’), aut sia marchiata (cfr. ingl. to strike ‘coniare, imprimere’) cum ferro ardente in lo volto, aut tagliato lo naso (cfr. ingl. to strike off ‘mozzare, tagliare’ []. 

   La masca (strega) Micillina, nata a Barolo e maritata a Pocapaglia (Piemonte), deformava i bambini (cfr. ingl. to stretch ‘allungare, stiracchiare, deformare’, ingl. to strike ‘trasformare per magia’); mentre la portavano al luogo del supplizio l’aria si riempì di strani miagolii ( a causa forse del suo nome Mic-ill-ina apparentato con it. micio del linguaggio infantile e famigliare, ma non è da scartare il raffronto tra piemontese masca ‘strega’ e l’ungherese macska ‘gatto’) mentre gomitoli di corda (cfr. il già citato ted. Strick ‘corda’) cadevano attorno alla strega.  

  Nel medioevo le streghe venivano bruciate vive sul rogo ed esse stesse d’altronde avevano l’abitudine, come si raccontava anche nel mio paese, di passare sul fuoco (si ricordi uno dei significati del ted. streich-en ‘passare una cosa sopra un’altra’) le loro vittime designate, in specie bambini (cfr. ingl. to strike ‘suscitare il fuoco’ sfregando la pietra focaia o altro, ingl. to strike ‘accendersi’). E così il termine “strega ci riconduce alle lontanissime epoche in cui l’uomo preistorico accendeva il fuoco in quel modo anche confricando due bastoncini, sistema del resto ancora in uso presso i Boscimani.  Ma io sono propenso a credere che anche qui si tratti di un incrocio. Una parola simile ad ingl. strike doveva indicare autonomamente l’idea di “fuoco, scintilla, fiamma”, quel fuoco che l’uomo aveva cominciato a conoscere e nominare già da quando ancora non era capace di produrlo da sé, ma aveva avuto modo di osservarlo nelle eruzioni vulcaniche e soprattutto negli incendi causati dai fulmini caduti nelle foreste, che allora dovevano essere immense. 

    Penultimo, ma non meno importante, il cosiddetto colpo della strega, l’attacco di sciatica o lombaggine che fa piegare in due il malcapitato: l’espressione non è altro che la ripetizione tautologica dello stesso concetto (colpo), segno di due civiltà o parole che si sovrappongono (cfr. ingl. strike ‘colpo’, dial. veneziano struc-ar ‘premere’, abruzz. marsicano struccà ‘ spezzare, tirando con forza’. Nell’immaginario popolare però, a vibrare il colpo, sarebbe stata proprio la povera strega, vero capro espiatorio di tutti i mali della sofferente umanità.

  L’ultimo è l’ingl. to strike  che significa incredibilmente proprio ‘stregare’, cosa che mi fa capire, insieme a tutto l’altro di cui sopra, che in quella lingua doveva pur esserci nel lontano passato un termine per ”strega” simile ma indipendente dal lat. strig-a(m) ‘strega’. Allora quasi sicuramente l’etimologia data dai linguisti per strega è falsa: non si tratta di antropomorfizzazione dell’uccello notturno chiamato strige, ma di qualche altro concetto che non saprei indicare. Azzardo una mera ipotesi: il suo significato d’origine sarebbe stato ‘colei o colui che colpisce (con i suoi influssi malefici)’. 

Il mio parere, dunque, è che la parola “strega” non sia di origine italica ma che essa sia antichissima e abbia avuto tutto il tempo per rastrellare sincronicamente e diacronicamente, in lungo e in largo nelle lingue che ha incontrato nel suo cammino, per la verità quasi esclusivamente quelle di area germanica (dove è stata soppiantata però da termini come ingl. witch ‘strega’, ingl. hex ‘strega’, ted. Hexe ‘strega’), tutte le parole che contribuivano a formare ed accrescere la sua saga nei modi più disparati, come abbiamo visto.  Più correttamente essa sembra aver avuto a che fare con molti dei significati di alcuni verbi e sostantivi inglesi e tedeschi sovrapponibili al suo nome.  Io non credo che le varie credenze siano dovute ad una mentalità primitiva che si lascia indurre a concepire gratuitamente e magicamente i nomi degli esseri viventi e no, le loro presunte o reali caratteristiche fisiche e i loro comportamenti i quali sono dovuti, al contrario, al semplice e meraviglioso meccanismo dell’incrocio di termini omofoni, strumento insostituibile nella creazione e nel perfezionamento specialistico della Lingua. 

  Il fatto stesso che, nel caso delle streghe, le credenze e i comportamenti che le contraddistinguono siano scaturiti in gran parte dai vari significati relativi a quell’unica entità linguistica corrispondente all’ingl. strike e al ted. streich-en depone a favore di una motivazione concreta e non magica, secondo me, di quelle credenze le quali, però, finivano certamente con l’alimentare il mondo fantastico e magico dell’uomo primitivo soprattutto quando le parole che le avevano motivate e i loro significati fossero stati sostituiti da altri col passare del tempo.  Questo fenomeno naturale era più che sufficiente, con il favore dei tempi lunghi riguardanti ogni lingua, a popolare questo mondo magico di nomi strani, irreali, inverosimili come quelli che indicassero, ad esempio, una “fiamma” o una “scintilla” con i termini  pollo,cavallo, ecc.: non era affatto necessario che intervenisse la volontà diretta di creare simili nomi “strampalati”, basata solo su se stessa e su un presunto meccanismo glottogonico di questa natura suscitato dalla condizione di magia in cui l’uomo primitivo viveva.  



[1] La voce, anche italiana, attualmente mi pare non esista nel nostro dialetto in questo significato di ‘districare’, ma avrebbe potuto esistere in passato, se dura ancora la voce trë ‘imbarazzare, cavillare, far perdere tempo’ dal lat. tricari ‘imbrogliare, cavillare, ecc.’

[2] Cfr. vocabolario Merriam-Webster.


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