Nonostante l’abbondanza di
notizie relative a questo Santo venerato diffusissimamente nei vari paesi
d’Europa, nessuna di esse può definirsi
certa e concretamente storica, nemmeno
quella del paese di nascita (1300-1400 circa), ritenuto dai più Montpellier nel
sud della Francia, in Linguadoca, né quella della sua canonizzazione, né quella
della morte. I poveri uomini tormentati in
passato continuamente dai morsi della fame, dalle guerre e dalle ricorrenti
epidemie, in una triste condizione in
cui la medicina balbettava, come scrisse Lucrezio nel De rerum natura a proposito della peste
d’Atene (430 a.C.), erano disposti ad accettare qualsiasi credenza si
diffondesse di volta in volta circa i poteri taumaturgici di qualche figura di
ciarlatano, esistito veramente o anche totalmente frutto della loro angoscia e
della forte speranza di guarigione. Vedremo come è possibile che la nostra
mente, in condizioni particolari che praticamente sono durate per migliaia di
anni, creava di questi personaggi, ne raccontava i fatti miracolosi e i
particolari della vita, e ne alimentava
così la diffusione attraverso i secoli anche con la costruzione di
chiese e altri luoghi di culto.
Intendiamoci, io non sono il primo ad asserire l’inconsistenza storica
di questo amatissimo Santo, anzi si può dire che io approfitti, in un certo
senso, di questa idea già espressa e dimostrata da altri, per rafforzarne la
veridicità, esclusivamente con i mezzi della linguistica, di cui ho qualche
competenza.
Fu proprio il belga Pierre Bolle, nella monumentale opera in
tre volumi del 2001 “Saint Roch. Genèse e première expansion d’un culte au XV
siècle” e in numerosi saggi successivi, a mettere seriamente in dubbio la
figura storica del personaggio, che sarebbe stato oltretutto un “doppione” agiografico
di un altro santo, anch’esso storicamente incerto, cioè san Raco (o Racho),
vescovo di Autun, del VII sec. dopo Cristo, invocato contro le tempeste. Il nome è quasi omonimo di Rocco che era
anch’egli considerato talora protettore dalle tempeste oltre che dalla peste.
Il Bolle sostiene, in particolare, che il protettorato della peste sia derivato a
san Rocco proprio dalla sua iniziale presunta tutela contro le tempeste e i
temporali, già caratteristica di san
Racho. La parola francese peste ‘peste’ si sarebbe generata,
secondo il Bolle, dalla stessa parola del francese antico tem-peste ‘tempesta’ per aferesi della sillaba
iniziale, fenomeno molto diffuso nell’onomastica come, ad esempio, Tonino < An-tonino,
o Dolfo
< A-dolfo, Ro-dolfo. In questo caso l’aferesi
riguarderebbe una parola comune: tempeste. Il Bolle cita una strofa di una preghiera rivolta
a san Rocco, in francese antico, molto indicativa. La strofa è questa: Qui sert sain Roch, il le garde/ de pestilence et de
tempeste,/ prenons le donc pour sauvegarde/toujours craignant en tout temps
peste (trad: Chi serve san Rocco, egli lo protegge/ dalla pestilenza e
dalla tempesta,/prendiamolo quindi per nostra salvaguardia/ noi che temiamo
sempre in ogni tempo la peste. Ora, a
me pare che, piuttosto che parlare di aferesi, bisogna supporre, all’origine
della confusione tempesta/peste, un verso finale della strofa che al posto
dell’espressione en tout temps peste
abbia invece toute tempeste e che
significhi quindi, nell’insieme, ‘noi
che temiamo sempre ogni tempesta, temporale’, reinterpretata poi come en tout temps peste. Dico questo perché
l’espressione en tout temps (in ogni
tempo, sempre) finisce con l’apparire un pleonasmo inutile rispetto al
precedente toujours ‘sempre’. Si
potrebbe pensare anche ad una forma en
toute tempeste ‘in ogni tempesta’ (ma così non si rispetterebbe la metrica
del componimento, mi pare, perché il verso diventerebbe ipermetro), che
produrrebbe il significato ‘avendo paura noi sempre in ogni tempesta’. Infatti,
secondo le concezioni della medicina galenica dell’epoca, le epidemie e la
peste venivano causte da sconvolgimenti meteorologici. Comunque si intenda la frase, non si può tuttavia
negare questo gioco di parole sagacemente
messo in evidenza dal Bolle.
Anzi, io sono convinto che bisogna procedere su questa strada degli
incroci tra le parole avvenuti attraverso i secoli, e talora i millenni, per
poter capire la genesi soprattutto di quelle notiziole particolari e spesso di
nessun valore che non trovano assolutamente giustificazione nella supposta inventiva,
più o meno sbrigliata, dei molti che hanno parlato della vita e delle azioni di
questo Santo: l’inventiva si nutre degli incontri e della immancabile
confusione di parole simili e assonanti, come ho mostrato in tanti brani dei
miei articoli, in specie quelli riguardanti le cantilene relative alla
chiocciola.
A Sarmato-Pc, nell’Emilia-Romagna, dove il Santo si ammalò di peste di
ritorno dal suo pellegrinaggio a Roma, sarebbe avvenuto il miracolo della
nascita di un pero meraviglioso dal
bastone del Santo. Ora, a parte il fatto
che un credente può pensare quello che vuole, come è mai razionalmente
possibile che un fatto del genere, così particolare, sia opera della fantasia
di qualcuno? Che le cose non vadano assolutamente spiegate in questo modo è dimostrato
da quanto sto per dire. In abruzzese la
voce pirë significa ‘piòlo, cavicchio’ ma anche
‘grosso bastone’; abr. pir-òcca o për-òcca o për-òcch-ëla, o për-òcch-ëlë significa ‘bastone’ a volte piccolo, altre volte grande,
e soprattutto ‘vincastro (dei pastori)’.
Ma, per influenza della parola it. pera,
il termine significa anche ‘bastone con grossa testa’. Ora, mi sembra straevidente che il miracolo
del pero attribuito a san Rocco si
sia originato dall’incontro di una voce
simile a quella abruzzese di pirë ‘grosso bastone’ con il termine
it. pero (lat. pir-um). Penso altresì che
questa radice specializzatasi ad indicare il ‘pero’ all’origine indicasse
qualsiasi, stelo, bastone o pianta, ma questo ora ci interessa poco.
La
figura di san Rocco è secondo me l’ipostatizzazione dell’idea astratta di
pellegrino, di guaritore, e, in certa misura, anche di cavaliere errante. Sappiamo che numerosi erano nel medioevo i
pellegrini che attraversavano l’Europa, avendo come meta Santiago di Compostela
in Spagna (dove si trovava la presunta tomba dell’apostolo Giacomo), le tombe
degli apostoli Pietro e Paolo a Roma, il santo sepolcro in Palestina. Orbene,
il nome Rocco, qualunque ne sia
l’origine che pare germanica, assuona molto col termine ingl. rogue
(pron. roug) che ha il significato
arcaico di ‘vagabondo, errabondo’ e risponde così molto bene all’idea di cavaliere errante[1]
e anche di pellegrino, il quale è
normalmente uno straniero in cammino verso una meta, in genere religiosa.
A
questo punto si presenta però una complicazione, nel senso che il nome del
Santo può essersi incrociato anche con qualche radice del tipo crok, crog, o krog e simili,
con velare iniziale che potrebbe, però, essersi ridotta a spirante /h/ e successivamente
essere scomparsa, confondendosi col personale Rocco. Me lo fa sospettare la questione del nome
del padre del nostro Santo, che sarebbe stato (ma nulla v’è di certo) Jean
Roch de la Croix (Gian Rocco
della Croce). La questione non è stata
risolta ma mi pare chiaro che anche qui emerga un gioco tra una radice roch
e un’altra (k)roch, soprattutto se si considera buona la
derivazione del personale Rocco dalla radice germanica rappresentata, ad
esempio, dall’ant. ted. hruoch ‘ghiandaia, corvo’, a sua
volta da un precedente *(k)ruoch, come del resto l’ingl. rook
‘corvo (comune)’, secondo le norme della cosiddetta rotazione consonantica
germanica o Lautverschiebung. Per il personale Jean è stupendo rimarcare la perfetta
consonanza col fr. jeann-ette ‘crocetta
che si porta al collo’. La voce rocco[2] indicava
in passato anche il bastone del vescovo o pastorale. Ora, è singolare che anche
l’ingl. crook indichi il pastorale
e il bastone dei pastori, quindi è
presumibile che il presunto nome e cognome del padre di Rocco si riferisse
invece ad uno degli elementi più caratteristici di ogni pellegrino e quindi
anche di Rocco: il bastone.
La
voce crùocchĕ
nel dialetto lucano di Gallicchio-Pt[3]
vale ‘uncino di ferro piegato ad S’, mentre l’abr. cròcchĕ[4] significa
‘specie di forchetta che si mette al collo della pecora per tenerla ferma
mentre viene munta’. Ora io penso che
queste voci, soprattutto l’ultima, non siano derivate direttamente dal fr. croc ‘uncino,
gancio’ ma che abbiano qualcosa da spartire con ingl. crotch che presenta un
significato come ‘palo con una forchetta in una delle estremità, usato come
sostegno’: mi pare quasi la stessa definizione usata per la voce abruzzese
precedente! A mio avviso, perciò, penso
che queste voci si trovassero su suolo italico da moltissimo tempo.
Ma
c’è ancora altro da osservare. Il nostro
san Rocco avrebbe avuto una specie di
voglia sul petto: una croce vermiglia,
la quale ci farebbe capire ancor di più la genesi del cognome de la Croix ‘della Croce’, dato che il
lat. cruc-em ‘croce’, da cui deriva il fr. croix, ‘croce’, assuona molto con
ingl. crook ‘pastorale’. Il pastorale
ha un manico molto ricurvo, a forma di riccio. Infatti l’ingl. crook vale anche ‘curva, piega’. Inoltre abbiamo visto più sopra che il fr. jeann-ette è una crocetta la quale,
portandosi appesa al collo, batte di conseguenza sul petto di chi la porta. Il
colore rosso della croce (cfr. prov. rog ‘rosso’, fr. rocou 'pigmento rosso')
potrebbe ricordare quello della croce portata dai cavalieri templari a Gerusalemme o
dai Crociati spagnoli. Ma le meraviglie
non finiscono qui. Il sarrocch-ino o sanrocch-ino, corto
mantello di cuoio indossato fino al gomito dai pellegrini, non deriva il nome
da san Rocco, come può sembrare, ma ha a che fare con diversi altri nomi come
il medio alto tedesco sarrok [5]‘veste
militare’ ecc. Sapete come erano i capelli del nostro Santo? Biondi e
arricciati.
Che
realistica rappresentazione, se il personaggio fosse veramente esistito! Ma il
fatto è che esisteva il termine latino, di origine greca, croc-u(m) ‘croco, zafferano’, un fiore dal colore giallo-arancione (biondiccio), il cui nome, oltre a richiamare la
suddetta croce sul petto del Santo,
compì il miracolo di farci sapere il colore dei suoi capelli! Ma non bastava!
perché i capelli potevano essere lisci o arricciati! Allora ecco spuntare i
miracolosi rocc-oli[6],
cioè i ‘riccioli, capelli avvolti a cilindro’, parola che dura nei dialetti, e
che toglie ogni dubbio sulla qualità dei suoi capelli. E non è affatto da credere, come fanno i più,
che la parola rocc-olo ‘ricciolo’
sia da riportare al lat. rot-ul-u(m) ‘rotella’ o lat. rot-ul-a(m) ‘rotella’, che al massimo possono dare it. rocchio < rocl-u(m) come it. vecchio <
vecl-u(m)< vetl-u(m) < lat. vetul-u(m) ‘piuttosto vecchio’.
Anzi, a me pare che l’it. rocchio
possa derivare proprio da un originario lat. *rocc-ul-u(m) che doveva esistere accanto al lat. rot-ul-u(m). Me lo fanno supporre i termini latini che
presentano una radice abbastanza simile come lat. rug-a(m) ‘ruga, piega, ma anche ‘madrevite’, la quale è sempre una
vite, cioè etimologicamente qualcosa che si avvolge
intorno; e ancora l’aiellese-abruzzese ruc-ëchë (con varianti) ‘cerchio di legno o
ferro (con cui ci si divertiva da ragazzi)’; il fr. ruche ‘panno crespo’ cioè
pieghettato; il fr. ruche ‘panno crespo’ cioè pieghettato; ingl. ruck
‘grinza, ruga’; il portoghese en-roc-ar ‘pieghettare’. Da non
dimenticare il termine tecnico-marinaresco roach ‘curvatura a forma di
mezzaluna del lembo di una vela’ o ‘convessità del ponte delle navi per
lo scolo delle acque’. Ingl. roach significa anche 'rotolo di capelli sulla fronte stirato indietro con una spazzola': mamma mia, che termine complicato e preciso! ma in questi
casi solitamente c'è il concorso di altre radici simili: qui si può individuare anche la
radice di ingl. reach
'arrivare, raggiungere', col significato etimologico di 'tendere, stendere,
stirare'. Il cane che a
Sarmato-Pc, paese sopra citato, portava il tozzo di pane (cfr. it. rocchio), sottratto alla mensa di un
potente signore del luogo, al Santo che viveva malato in una grotta, è a mio
avviso un prodotto della fantasia messa in moto dalla parola francese roqu-et ‘botolo’: non è il contrario come ha
supposto qualcuno, che cioè le vicende di san Rocco hanno dato origine alla
parola francese. Si potrebbe infatti
sostenere che, come il piccione che tuba è chiamato in alcuni dialetti rucco, così un cane che ringhia può
essere chiamato roqu-et, ma la
spiegazione, per quanto razionale e accettabile, non mi soddisfa perché io vedo
dietro la radice, all’origine, il significato di ‘animale’.
E
così sono arrivato a parlare (last but
not least) della chiesetta di san Rocco del mio paese di Aielli.
Il cuore mi batte forte. Fin da ragazzo quel luogo mi aveva preso per la sua
particolarità: tre curve consecutive, l’una legata all’altra, consentono
lì alla strada (proveniente da Aielli Stazione) che corre sotto la
caratteristica e impervia chiostra di rocce che circonda, a sud e a ovest, il
naturale oppidum su cui sorge ora il
paese, di accedere appunto, contorcendosi tra gli spuntoni di roccia, alla zona
chiamata Vallone prima di arrivare,
ancora più su, al centro del paese, con la sua piazza panoramica o, ancora più
su, alla zona della torre antica. Orbene, da tutto quello che abbiamo detto, desumo
con quasi assoluta certezza che quel
punto delle tre curve dove sorge la chiesetta doveva essere noto col toponimo Rocco, o anche san Rocco, col significato antichissimo di ‘curva’ o ‘movimento
ondoso’ o ‘andamento sinuoso (come quello rappresentato dal susseguirsi delle
tre curve’: per la radice abbiamo l’imbarazzo della scelta tra una forma
originaria Crocco e un’altra Rocco, A ben pensarci anche il verbo
ingl. rock indica il movimento oscillante di una sedia a dondolo e di
altro. Ma anche il movimento di chi, ad esempio, si muove piegando prima a
destra e subito dopo a sinistra e poi ancora a destra descrive un ondeggiamento
simile ad un’oscillazione sinusoidale.
Naturalmente, quando arrivò anche ad Aielli il culto di san Rocco, forse in occasione di qualche
pestilenza, la chiesetta costruita in suo onore non poteva trovare altra
collocazione che quella indicata già da gran tempo dal toponimo, giacchè esso
poteva risalire anche a decine di migliaia di anni prima. Ugualmente, la Fontana di san Rocco nel paese di Sarmato-Pc, sgorgante sulla linea delle risorgive, non dovette di certo aspettare l'arrivo del Santo per acquisirne il nome, se la voce rocchio, come abbiamo visto nell'articolo precedente ("L'aiellese-abruzzese rucà..."), significa 'sorgente' nel dialetto umbro e anche, in italiano, 'getto d'acqua'. La leggenda tradizionale addirittura narra che
la fontana sgorgò miracolosamente per dissetare il Santo!
Quanto alla voce Vallone, la zona non molto estesa
nelle immediate vicinanze del valico, diciamo così, di san Rocco, c’è da osservare che, curiosamente, essa dovrebbe essere
accusata di falsità, se fosse una persona: non c’è infatti l’ombra di qualcosa
che potrebbe definirsi come tale, cioè una valle stretta e lunga con pareti a
volte quasi verticali. Già in altra
occasione ebbi a pensare che essa avesse indicato, all’origine, proprio il
valico in questione, dato che il termine valle
l’ho talora incontrato, in toponomastica, a designare proprio un passo montano. Ora, stante quanto ho detto sopra, credo che sia
il caso di definire meglio il concetto di “valico” con l’aggiunta
dell’aggettivo tortuoso. Si
tratterebbe, per quanto riguarda il significato, di un doppione della voce Rocco nel significato, appunto, di ‘sinuosità, tortuosità’. Voce che con molta probabilità fu scalzata
successivamente dall’arrivo dell’altra voce omosemantica Rocco, che la costrinse a ritirarsi un po’ indietro ad indicare la
zona circostante, non potendo essa naturalmente tener testa all'importanza del nome di un tale Santo. Il verbo tedesco wall-en ‘ondeggiare, fluttuare’, insieme col ted. Welle 'onda', potrebbe fornirci la radice che fa al
nostro caso. Che poi dovrebbe essere quella dello stesso lat. vall-e(m), lat. valv-as ‘battenti’, lat. volv-ĕre ‘volgere, girare, voltare’, ecc. ecc. Naturalmente ci saranno,
nei tanti paesi e frazioni in cui il Santo è venerato, ancora tanti episodi della
sua presunta vita da analizzare linguisticamente e da spiegare. Leggo in alcuni post su internet che Gottardo
Pallastrini, il potente signore di Sarmato-Pc, dove il Santo si ammalò di
peste, un giorno seguì il cane che rubava il pane dalla sua mensa e lo portava,
attraverso un sentiero tortuoso
del bosco, nella grotta dove il Santo si
era rifugiato. Anche qui ritorna l’idea
della “tortuosità” niente affatto necessaria al racconto, ma evidentemente
generata dall’influsso di uno dei significati che la voce rocco dovette avere in passato[7].
Viva san Rocco e la sua stupenda storia fittizia la quale, a mio parere,
ci fa toccare con mano i meccanismi mitopoietici che lo riguardano!
[1] Cfr. O.
Pianigiani, Vocabolario etimologico ,
in rete, s.v. rocco. Il Pianigiani ci
dà la notizia che, secondo l’orientalista francese del sec. XVII B. Herbelot,
la voce roc, rokh avrebbe avuto in origine il significato di
‘uomo valoroso e venturiero, cavaliere errante’.
[2] Cfr. O.
Pianigiani, Vocabolario etimologico,
in rete, s. v. rocco
[4] Cfr. A.
Bielli, Vocabolario abruzzese, A.
Polla editore, Cerchio-Aq,2004.
[5] Cfr.
l’articolo Il gioco topa topa
‘nascondino, presente nel mio blog, marzo 2018.
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