martedì 1 ottobre 2019

Suoni, scricchi e strilli nella lingua abruzzese, con interessanti cenni sull’origine del Linguaggio.




   L’abruzzese ‘rillà [1] 'nitrire', o 'stridere' detto della neve calpestata è simile all’aiellese  ‘rijjà  'stridere, scricchiolare' detto, soprattutto, delle scarpe nuove che stridono (almeno quelle di cuoio di un tempo) quando le si indossa. Queste voci debbono derivare da una forma grill-are 'fare cri-cri' dei grilli, in uso nel dialetto toscano, anche nel significato di 'gorgogliare' e di 'crepitare'. Sembrerebbe onomatopeica, come la parola grillo, ma io aborro il fenomeno onomatopeico nella lingua, come ho spiegato in alcuni articoli. Considerare il nitrito uguale o affine al cri-cri o al gorgoglio di un liquido mi pare del resto una forzatura. La radice comunque doveva avere, più a monte, il valore di 'tendere, protendere' e simili come nel verbo aiellese 'ngrellàsse  riferito al ‘tendersi del membro virile’ e in abr. ‘ngrillàtë ‘diritto, saldo, ringalluzzito’[2]. Esprimeva quindi quella idea di "tensione" che è alla base di ogni emissione di suoni, variante  di quella di “forza” la quale, a sua volta, è all’origine di ogni termine, come io penso e ho detto più volte. Tutta la mia annosa ricerca riposa su questo principio che non ho avuto per pura folgorazione, sebbene abbastanza presto, ma comunque ho  potuto spesse volte verificarne la bontà.

     Alle voci abruzzesi sopracitate se ne aggiungono diverse altre tratte sempre dal vocabolario del Bielli, come crillà ‘scricchiolare, crocchiare’, crill-aréccë ‘dal rumore lacerante (detto di tuono)’, crillë ‘stridio delle scarpe’, crèllë oppure crìlïe ‘raganella che si suona nella settimana santa’. Importanti, e vedremo subito perché, sono anche crich-ëlà ‘scricchiolare’, crichëlë ’scricchiolio’ (cfr. abr. scarpë nchë lë crichëlë ‘scarpe che scricchiolano, con lo scricchiolio’) e cricchi ‘cricchiare’, come la forma italiana, appunto.  La seconda forma, abruzzese e italiana, è un chiaro derivato dalla precedente crich-ëlà  attraverso i normali passaggi *crich(ë)là > *crichià > cricchià, tutte forme, manco a dirlo, considerate onomatopeiche dai linguisti, i quali pertanto suppongo che non abbiano ben presente uno dei significati dell’abr. ‘rillà  e cioè ‘nitrire’, termine che a mio avviso fa parte della schiera di tutti gli altri, come vedremo.

   Innanzi tutto mi pare utile far notare che anche l’ingl. creak ‘cigolare, scricchiolare’ si usa per indicare il tipico rumore delle scarpe che scricchiolano.   Pertanto l’abr. crich-ëlà si configura come ampliamento in –el-  della radice di ingl. creak.  Anche le forme grill, crill,  ‘rill  potrebbero essere suoi derivati con l’assimilazione regressiva della velare -ch- alla liquida seguente – l-, invece della normale palatalizzazione della – l- con la trasformazione del termine in cricchi-à.  Lo stesso fenomeno si ha nell’it. coniglio, aiellese cunìjjë (femm. cunèlla), dal lat. cunic(u)lum ‘coniglio’.   Fa parte della serie anche l’abr. grull ‘urlare’[3], il gr. gryl(l)-íz-ein ‘grugnire, strillare’ dei porcelli’ (cfr. gr. grŷl(l)os ‘porcello’), suono che potrebbe essere assimilato a quello del nitrito.  Ma io sono del parere che la radice indicasse un suono in generale, adattato di volta in volta a esprimere un suono normale, oppure alto e acuto, oppure basso e grave, oppure sibilante: cfr. gr. grŷ ’suono debole, bisbiglio’ .  Il vocabolario del Bielli riporta anche le voci gri, ri usate per chiamare il porco: evidentemente all’origine avevano proprio il significato di gr. grŷ-l-os ‘porcello’.  La radice, nella forma di gr. gḗry-s (dor. gâry-s), prende il significato di ‘suono’ ma anche di ‘voce, lingua’, confermando quello che dicevo poco fa.   Naturalmente l’onomatopea è dura a morire nella nostra mente, perché in ogni lingua ogni singola parola viene espressa attraverso suoni (lettere dell’alfabeto) e di conseguenza quando una parola si trova ad indicare proprio un tipo di suono, è facile credere che le lettere dell’alfabeto con cui esso viene espresso, siano di natura imitativa, considerato anche che una “foto” perfetta di un suono è quasi impossibile averla.  L’onomatopea trae alimento, a mio avviso,  soprattutto dalla tendenza sempre presente, anche inconsciamente, nell’uomo (da quando imparò  a parlare e a formare parole attraverso altri principi di cui naturalmente ha perso la memoria), a rintracciarne un etimo che soddisfi il suo bisogno di conoscenza, e individuando così quelle apparenti o reali somiglianze di esse con la realtà sonora che rappresenterebbero.

          La cosa che mi stupisce di più è che anche le forme simili all’italiano s-cricchiare, s-cricchiolare potrebbero far risalire la /s/ iniziale non al lat. ex- con valore intensivo-durativo ma alle varianti di ingl. creak ‘scricchiolare, cigolare’, e cioè a ingl. screak ‘scricchiolare, stridere’, ingl. screech ‘stridere, strillare’, ingl. scrike ‘gridare’, ingl. shriek ‘gridare, strillare’.

      Nel Vocabolario abruzzese del Bielli non poche sono i lemmi che rivelano radici germanico-inglesi.  Io propendo a credere che esse non siano tutte il portato delle invasioni barbariche del medioevo ma che esistessero già da gran tempo su suolo italico.  Proprio qualche giorno fa, dinanzi alla parola stranissima come scrignénzë, sgrignénzë  ‘gran miseria, penuria, scarsezza’, di primo acchito vi ho fiutato la radice di ingl. scrimp ‘lesinare, fare economia’, ingl. scrimpy ‘scarso, povero, misero’ e anche ‘tirchio, spilorcio’. Ed avevo fiutato bene: la radice ha il significato di ‘ritirarsi, restringersi, avvizzirsi, ecc.’ ed  è in connessione con ingl. shrink ‘ritirarsi, contrarsi, rimpicciolirsi, diminuire, ecc.’ se svedese scrympa corrisponde al precedente ingl. shrink < a. ingl. scrinc-an.  Ora, tornando alla voce abruzzese scrign-énzë ‘scarsezza, penuria’, è facile comprenderne la struttura.  Il primo componente scrign- è un derivato da a. ingl. scrinc-an ‘ritirarsi, restringersi’ (diventato naturalmente scring- nella pronuncia abruzzese, con la sonorizzazione della velare sorda)  attraverso la normale metatesi scring-/scrign-  come in it. ting-ere/tign-ere (arcaico), in aiellese tégn ‘tingere’, o in abr. ajjόgn ‘aggiungere’, dal lat. ad-iung-ĕre.  Il secondo componente di scrign-énzë è il normale suffisso di tante parole astratte italiane, dal lat. –entia(m).  E così quello che sembrava a prima vista un “mostro” di parola ha acquisito un aspetto cordiale e alla mano.

   Ora è diventato inutile che mi dilunghi nella spiegazione minuta della parole abruzzesi (sempre del Bielli) sgrign-ël-ìtë  ‘macilento’ e scrim-ìzia ‘scarsezza, inedia, piccola porzione di checchessia’.  L’ingl. scrimy (cfr. vocab. Webster) vale ‘spilorcio, disgustoso’.  Abbiamo visto come l’idea di “taccagno”  si confonda facilmente con quella di ‘scarso, misero’, come in ingl. miser ‘avaro’ dal lat. miser-u(m) ‘infelice, misero, povero’.  L’etimo di ingl. scrimy ‘taccagno’ è considerato ignoto, e sfido io! I linguisti inglesi certamente non conoscono il vocabolario del Bielli, ma evidentemente non hanno connesso la radice con l’ingl. skrimp ‘lesinare’ e ingl. scrimpy ‘scarso povero, spilorcio’, data forse anche la diversa pronuncia della –i- nei due termini.  Mah!







[1] Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A. Polla editore, Cerchio-Aq. 2004

2 Cfr. D. Bielli, cit.

[3] CFr. D. Bielli, cit.

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