Il termine italiano maleppeggio non è registrato
in tutti i vocabolari, perché sentito forse come dialettale. Esso
indica una martellina da muratore atta a tagliare, sgrossare o rifinire, con
due penne piatte perpendicolari tra loro. Durante la trasmissione
televisiva di Uno Mattina del 13/9/ 2020 (Rai 1), ne ha parlato anche
l’illustre linguista Francesco Sabatini di Pescocostanzo-Aq, riferendo
l’interpretazione etimologica a lui data da muratori abruzzesi, i quali
sostenevano che il nome dell’attrezzo deriverebbe dal fatto che esso, se
colpisce con la penna orizzontale fa male, ma se colpisce con l’altra penna
fa molto più male. Il grande studioso ha riferito l’interpretazione
dei muratori ma evidentemente senza condividerla e senza darne però
un’altra. Taluni pensano che maleppeggio sia il risultato
dell’espressione romanesca alla mala peggio nel senso di ‘alla meno
peggio’, dato che lo strumento è più adatto ad una sommaria sgrossatura che
ad una vera e propria rifinitura.
Come si vede la gente comune, come sempre succede, cerca
di interpretare il nome lasciandosi suggestionare dai suoi significati di
superficie e gli esperti, i linguisti, non sapendo in questo caso dove
andare a parare, si limitano a riportare queste interpretazioni che talora
condividono anche.
Ora, il mio metodo di studio, basato sulla tautologia,
mi suggerisce che il male-, elemento iniziale della parola,
deve in realtà essere l’interpretazione di un originario
mal(l)-, radice indoeuropea abbastanza diffusa del lat. mall-eu(m) ‘martello, maglio’. E in effetti, se è vero che il
significato più diffuso nei dialetti del termine maleppeggio è
quello che abbiamo dato sopra, ne circola tuttavia anche un altro come
quello del dialetto di Luco dei Marsi-Aq in cui
malëppèggë
significa:
attrezzo da muratore, consistente in un manico di legno e testa bifronte,
con martello e taglio[1]. Quindi, a Luco dei Marsi, l’attrezzo non ha due
tagli ortogonali tra loro, essendo uno sostituito da normale
martello.
Io sono del parere che il significato del nome di questo
arnese, nelle sue probabilmente lontane origini, doveva essere semplicemente
quello di martello ad una o due teste. E mi spiego. Come accennavo
prima, secondo me le parole in genere sono composte da uno o più membri
tautologici dallo stesso significato, che in questo caso poteva essere
quello di testa atta a battere, picchiare, inchiodare. Ma
poteva essere anche quello di punta dando così origine al significato
di piccone, ad una o due punte. Queste diversità di
significato nascono perché nella nostra mente di uomini d'oggi che usano un
linguaggio superspecializzato una testa, più o meno rotondeggiante, è
abbastanza diversa da una punta più o meno acuta. Ma se ben si
riflette, queste due nozioni, dovettero rientrare, alle origini, in quella
più generica e sovraordinata di protuberanza, prominenza,
sporgenza. Così, a mano a mano che il linguaggio andava
specializzandosi, poteva succedere che da qualche parte una parola nata col
significato di martello si trasformasse in quello apparentemente
opposto di piccone. Esagerando, si può dire che questa metamorfosi
avveniva quasi tra le mani di chi usava l’attrezzo. Le lingue sono soggette
a cambiare sotto la spinta di diversi fattori, soprattutto con l’aiuto del
molto tempo che passa, e di conseguenza se un termine nato per indicare il
martello poteva continuare a farlo in qualche luogo, è ugualmente possibile
che in altri luoghi, per influsso o incrocio con termine omofono ma non
omosemantico, esso assumesse senza sforzo un significato diverso, cosa che
capita a moltissimi vocaboli.
Il secondo membro –peggio del termine in
questione dovette essere all’inizio qualcosa come picco se nel
dialetto abruzzese compaiono voci come piccë (palatalizzato)‘picca, puntiglio, bizza, battibecco (sia pure in
questi significati metaforici)’ o come picchë ‘becco, beccuccio’[2]. Va da sé che una eventuale forma originaria *malë-picchë ‘martello’ o ‘piccone’, trasformatasi prima in
malë-piccë per palatalizzazione della velare e poi, per etimologia
popolare, in malë e péggë perdesse inevitabilmente la sua identità originaria e ne
assumesse un’altra superficiale del tutto diversa. Se così stanno le
cose, risulta di conseguenza impossibile, anche ai più seri e preparati
linguisti, rintracciare il significato del nome iniziale, a meno che essi
non siano convinti della composizione tautologica della parole, di cui ho
parlato sopra.
A me pare, così, che anche il composto ingl.
mill pick ‘ascia (pick) bipenne per levigare la mola di
mulino (mill)’ sia il prodotto di una reinterpretazione di un
composto tautologico in cui un originario *mul(l), o *mil(l),
o *mol(l), o *mal(l), che indicava tautologicamente una
testa o una punta o una protuberanza, finì per cadere
naturalmente in braccio ad ingl. mill ‘mulino’, simile a ted.
Mϋhle ‘mulino’, ted. mahl-en ‘macinare’. Cito solo l’ingl.
mull ‘promontorio’ che a mio avviso fa il paio con il lat.
mol-em ‘diga, molo, ecc.’. E il promontorio
Punta di Mulo a Capri non dovrebbe aver avuto il nome
dall’animale.
C’è inoltre da dire che un sinonimo di ingl. mill pick è mill bill . In ingl. bill vale ‘becco, punta, promontorio, roncola’ e si potrebbe supporre che esso, arrivato in Italia in tempi remoti, deve aver subito la diffusissima palatalizzazione della doppia elle (fenomeno antichissimo) trasformandosi in bijjë (simile al lat. peior, peius ‘peggio’) e quindi, per etimologia popolare, in –peggio, secondo membro dell’it. male-ppeggio. Ma si potrebbe supporre addirittura un originario ingl. *pill ‘ascia, accetta, ecc.’ se il significato arcaico di ingl. pill è ‘scorticare, spellare’ oltre a ‘saccheggiare’.
Mi sono ricordato solo ora che la suddetta radice bill, bell, pell, ecc. è stata trattata ampiamente e accuratamente nell’articolo sul bidente del 19 aprile 2010, presente nel mio blog. Raccomanderei caldamente di leggerlo, per convincersi ancora di più di quello che vado sostenendo.
C’è anche da osservare che l’idea di coppia di due cose male assortite potrebbe essersi sviluppata da una interpretazione popolare del nome originario dell’attrezzo, quale sarebbe quella risultante dall’espressione *mala piccia che in toscano suonerebbe come ‘cattiva coppia (piccia)’ o ‘coppia male assortita’ con riferimento ai due tagli dalla posizione non perfettamente identica, essendo ortogonali tra loro.
Come si può notare, le interpretazioni superficiali della parola in questione potevano essere svariate e potrebbero aumentare in futuro se nel frattempo la lingua italiana si sarà trasformata accogliendo anche nuove radici che potrebbero incrociarsi con quella o quelle di maleppeggio, ammesso che quest'ultimo non sia caduto dall'uso. La Lingua sa attendere pazientemente per migliaia e migliaia di anni. Tutte queste interpretazioni di superficie, però, hanno il grave difetto, secondo me, di non nominare mai direttamente l’oggetto cui si riferiscono, come se esso, già dagli inizi, fosse stato indicato preferibilmente dalla Lingua in questo modo indiretto. Cosa inesorabilmente negata dalla stragrande maggioranza dei casi che nella mia annosa ricerca ho preso in considerazione.
[1]
Cfr. G. Proia, La parlata di Luco dei Marsi, Grafiche Cellini,
Avezzano-Aq, 2006.
[2]
Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A. Polla editore,
Cerchio-Aq, 2004.
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