lunedì 6 dicembre 2021

Il maiale.

 


   Credo che tutti gli etimologi sostengano che l’it. maiale, lat.  maial-e(m), sia stato forse così chiamato perché a Roma si era soliti, in genere il primo giorno di maggio, sacrificare un maiale a Maia, dea della fecondità. Il nome, insomma, deriverebbe da quello di Maia.

   Noi però sappiamo che i nomi non nascono in genere in questo modo perché essi dovrebbero fare riferimento, invece, alla natura del referente e non agli accidenti che possono riguardarlo.

    Dico subito che non conosco il vero etimo della parola in questione, ma mi preme comunque sottolineare alcuni fenomeni che la toccano e che illuminano i fatti linguistici in genere, con la loro complessità.

   Si narra, infatti, fin dall’antichità, che il primo di maggio, come ho accennato or ora, si sacrificava a Maia un maiale il quale, stando ad alcune delle fonti, doveva essere castrato, mentre secondo altre si trattava di scrofa gravida, pregna, significato contrapposto al precedente. Sono forse questi dei fatti casuali su cui non vale la pena soffermarsi? Non credo, dato che essi possono essere spiegati puntualmente.

    Una scrofa pregna, infatti, è appunto una maiala gravida, grossa: due aggettivi i cui concetti possono essere espressi anche dal lat. mag-n-u(m) ‘grande, grosso, ecc.’ la cui radice mag- abbiamo visto (nell’art. precedente intitolato La maésa) che si ritrova nel nome Maia<*Mag-ia, e nel comparativo ma-ior-e(m) ’maggiore’ con la caduta della velare /g/.  E’ dunque questo il motivo per cui dietro il termine mai-al-e(m) è stato visto, dagli antichi, non un semplice maiale o porco, ma una maiala grossa, nel senso di pregna. Nel greco moderno la voce magiá, pronunciata majà, significa ‘lievito’, la sostanza che fa fermentare, crescere, gonfiare la materia organica.

    Nel Vocabolario abruzzese di D. Bielli compare anche la voce majàtëchë  ‘marchiano, grosso, madornale’ detto di animali, ciliegie, errori che conferma evidentemente la radice maia- < mag- .

    E il senso di porco castrato?  Il fatto è che il lat. maial-e(m) significa in genere proprio porco castrato. Ma perché questo avviene?  Come mai al semplice significato di porco deve aggiungersi anche la qualità dell’essere castrato? Anche in questo caso è il dialetto che ce ne svela il motivo.

    In Abruzzo[1], e anche in alcuni paesi della nostra Marsica come Trasacco[2], ricorre la voce majà, majjà ’castrare’.    Ora, la cosa importante è notare, secondo me, che questa voce molto probabilmente esisteva già, anche nel latino parlato, ai tempi della nostra Maia e del nostro maial-e(m) sicchè potè avvenire l’incrocio che fornì a maial-e(m)anche il significato di castrato: altrove ho già ricordato che questi fenomeni erano già presenti nel latino classico.

      Qualunque sia l’etimo di majà ‘castrare’, di cui comunque ho già parlato nell’articolo del mio blog La gramola e i suoi vari nomi dialettali (1 settembre 2012), resta il fatto che esso si è  incrociato con il lat. maial-e(m): anche l’abr. maial-éschë, infatti, ne ha mantenuto intatto il significato di ‘scrofa castrata’ accanto a quello generico di ‘maiala’.  C’è anche da ricordare che l’espressione usata in latino per indicare il porco sacrificato a Maia era sus Maialis intesa come ‘porco dedicato a Maia’ ma in realtà essa, prima che si incrociasse col nome della dea, doveva indicare proprio un ‘porco (sus) castrato (maialis, con la /m/ minuscola perché inizialmente non riferita a Maia)’. E’ chiaro che un animale castrato diventa pingue e  grasso ma solitamente continua ad essere designato come castrato. L’etimo primo di lat. maial-e(m) resta comunque ignoto; esso potrebbe indicare solo il concetto di “animale”.

    E questo è quanto. In simili storie nulla è dovuto al caso, ma è semmai la nostra ignoranza che ce lo fa credere.



[1] Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A. Polla editore, Cerchio-AQ, 2004.

 

[2] Cfr.Q. Lucarelli, Biabbà F-P, Grafiche Di Censo, Avezzano-Aq 2003. 

   




Credo che tutti gli etimologi sostengano che l’it. maiale, lat.  maial-e(m), sia stato forse così chiamato perché a Roma si era soliti, in genere il primo giorno di maggio, sacrificare un maiale a Maia, dea della fecondità. Il nome, insomma, deriverebbe da quello di Maia.

   Noi però sappiamo che i nomi non nascono in genere in questo modo perché essi dovrebbero fare riferimento, invece, alla natura del referente e non agli accidenti che possono riguardarlo.

    Dico subito che non conosco il vero etimo della parola in questione, ma mi preme comunque sottolineare alcuni fenomeni che la toccano e che illuminano i fatti linguistici in genere con la loro complessità.

   Si narra, infatti, fin dall’antichità, che il primo di maggio, come ho accennato or ora, si sacrificava a Maia un maiale il quale, stando ad alcune delle fonti, doveva essere castrato, mentre secondo altre si trattava di scrofa gravida, pregna. Sono forse questi dei fatti casuali su cui non vale la pena soffermarsi? Non credo, dato che essi possono essere spiegati puntualmente.

    Una scrofa pregna, infatti, è appunto una maiala gravida, grossa: due aggettivi i cui concetti possono essere espressi anche dal lat. mag-n-u(m) ‘grande, grosso, ecc.’ la cui radice mag- abbiamo visto (nell’art. precedente intitolato La maésa) che si ritrova nel nome Maia<*Mag-ia,e nel comparativo ma-ior-e(m) ’maggiore’ con la caduta della velare /g/.  E’ dunque questo il motivo per cui dietro il termine mai-al-e(m) è stato visto, dagli antichi, non un semplice maiale o porco, ma una maiala grossa, nel senso di pregna. Nel greco moderno la voce magiá, pronunciata majà, significa ‘lievito’, la sostanza che fa fermentare, crescere, gonfiare la materia organica.

    E il senso di porco castrato?  Il fatto è che il lat. maial-e(m) significa in genere proprio porco castrato. Ma perché questo avviene?  Come mai al semplice significato di porco deve aggiungersi anche la qualità dell’essere castrato? Anche in questo caso è il dialetto che ce ne svela il motivo.

    In Abruzzo[1], e anche in alcuni paesi della nostra Marsica come Trasacco[2], ricorre la voce majà, majjà ’castrare’.    Ora, la cosa importante è notare, secondo me, che questa voce molto probabilmente esisteva già, anche nel latino parlato, ai tempi della nostra Maia e del nostro maial-e(m) sicchè potè avvenire l’incrocio che fornì a maial-e(m)anche il significato di castrato: altrove ho già ricordato che questi fenomeni erano già presenti nel latino classico.

      Qualunque sia l’etimo di majà ‘castrare’, di cui comunque ho già parlato nell’articolo del mio blog La gramola e i suoi vari nomi dialettali (1 settembre 2012),  resta il fatto che esso si è  incrociato con il lat. maial-e(m): anche l’abr. maial-éschë, infatti, ne ha mantenuto intatto il significato di ‘scrofa castrata’ accanto a quello generico di ‘maiala’.  C’è anche da ricordare che l’espressione usata in latino per indicare il porco sacrificato a Maia era sus Maialis intesa come ‘porco dedicato a Maia’ ma in realtà essa, prima che si incrociasse col nome della dea, doveva indicare proprio un ‘porco(sus) castrato (maialis, con la /m/ minuscola perché inizialmente non riferita a Maia)’. E’ chiaro che un animale castrato diventa pingue e  grasso ma solitamente continua ad essere designato come castrato. L’etimo primo di lat. maial-e(m) resta comunque ignoto; esso potrebbe indicare solo il concetto di “animale”.

    E questo è quanto. In simili storie nulla è dovuto al caso, ma è semmai la nostra ignoranza che ce lo fa credere.



[1] Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A. Polla editore, Cerchio-AQ, 2004.

 

[2] Cfr.Q. Lucarelli, Biabbà F-P, Grafiche Di Censo, Avezzano-Aq 2003. 

   


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