mercoledì 22 agosto 2018

Scarsissima o nulla la credibilità delle storielle relative ad animaletti le quali avrebbero generato anche i loro nomi




Secondo me uno degli errori più gravi che i linguisti hanno sempre commesso e commettono tuttora è quello di dar retta a quanto la tradizione loro ammannisce, a volte sin da epoche lontanissime, sul comportamento e anche le caratteristiche di certi animaletti lasciandosene influenzare a tal punto da credere senza tentennamento che i loro nomi ne siano la naturale conseguenza.  E non si accorgono affatto che, al contrario, sono stati proprio i significati di superficie dei loro nomi, a dare il via a quella tradizione la quale quindi viene a costituire un ostacolo insormontabile alla individuazione delle giuste etimologie che solitamente  portano a concetti molto più generici situati al di sotto di quelli che sembrano i più credibili perché, oltre ad essere a portata di mano, sembrano giustificati dalla tradizione.  Sicchè il complotto tra significati di superficie, caratteristiche più o meno importanti degli animaletti e tradizione finisce con l’ottundere l’intelligenza del ricercatore, senza rimedi. 

    La Lingua, come altre volte ho sottolineato, mira all’essenza della cosa o dell’essere vivente da rappresentare, essenza che per gli esseri viventi corrrisponde, ne sono sempre più convinto, alla loro “animalità”, concetto che del resto nella fase animistica della umanità riguardava anche le cose.  Affermo ciò con forza  perché mi sono accorto, ad esempio, che l’it. lucciola non trae la sua origine remota dalla “luce” che questo caratteristico coleottero emette d’estate come richiamo sessuale. Il nome, precedentemente, aveva un valore generale di ‘insetto, animale’ e solo incrociandosi successivamente con la parola lat. luc-e(m)  ha assunto   il significato specialistico che conosciamo[1].  Il fatto è che esiste nel dialetto toscano il termine lucìa indicante diversi coleotteri, come la coccinella, e messo in rapporto da tutti i linguisti con quello di Lucia, la Santa siciliana accecata[2].  Troppo semplice e comodo, in un certo senso, spiegare l’etimo delle parole in questo modo! Ma prima che si diffondesse il culto della Santa questi coleotteri non dovevano già avere tra il popolo i loro bravi nomi? ed essi sarebbero improvvisamente scomparsi, sostituiti  da quello della Santa? Come subito vedremo, la spiegazione non può essere questa.

   Ora, sempre nel dialetto toscano, la voce lucìa e suoi derivati come luc-ìgnola, luc-ìgnolo, luc-ióla  indicano l’orbettino, un serpentello ritenuto popolarmente cieco per via dei suoi piccolissimi occhi. Va da sé che i linguisti attribuiscono questo nome, come vuole la tradizione popolare, alla Santa siciliana.  Io sono invece incline a supporre che questi nomi vadano messi in rapporto con la prima componente dell’it. luc-ert-ola, termine che secondo me esisteva già nei dialetti contemporaneamente a quello di lat. lac-ert-a(m) che significa ‘lucertola’ e ‘specie di scombro’. Anche il lat. luc-iu(m) indicava un pesce, il luccio. Il motivo di questo allargarsi dei significato è secondo me dovuto al fatto che, come ho più volte rimarcato, il valore iniziale dei termini era molto generico, corrispondente in questi casi a quello di ‘animale’.   Che la voce luc-ert-ola vada scomposta così me lo conferma il nome che l’animaletto ha a Lecce, in Puglia, e cioè lucertone erde, o lucerta erde[3] in cui erde equivale al secondo membro di luc-ert-ola. In Trentino Alto Adige la bis-èrd-ola è la ‘lucertola’, come  una delle diverse voci venete per ‘lucertola’ è bis-ard-ola[4], il cui primo membro corrisponde all’it. biscia. Un’altra conferma mi viene dal ted. Erd-schnecke ‘lumaca’ che però letteralmente suona ‘lumaca (-schnecke) di terra (Erd-)’, termine composto che si presta a definire meglio di che tipo di lumaca si tratta, di quella terrestre, anche se essa può essere indicata dal semplice Schnecke ‘lumaca’.  Inizialmente, prima che si affermassero i tipici composti germanici con un determinante (il primo componente) e un determinato (il secondo componente),  si trattava di composto tautologico.  Aggiungo che l’etimo di questa parola corrisponde a quello di inglese snail ‘lumaca’ e di ingl. snake ‘serpente’. Alla nostra mente immersa ora in una pletora di specializzazioni i due animali possono sembrare molto diversi, ma la mente primordiale vedeva in essi appunto degli animali, magari ‘striscianti’.

   La voce italiana lusc-éng-ola ‘orbettino’ è di facilissimo etimo, nonostante i contorcimenti dei linguisti per spiegarlo. Il primo membro è il tardo lat. lusc-a(m)[5] ‘lucertola’; il secondo non è che la radice del gr. énkhel-ys ‘anguilla’.  Il lat. angu-ill-a(m) è considerato diminutivo di lat. angu-e(m) ‘serpente’ ma la parola greca  mi fa pensare che il membro –ill- fosse in realtà tautologico col significato di ‘anguilla’, se in inglese questo pesce è chiamato eel, in ted. Aal. Allora anche il termine lusc-éng-ola non ce la racconta giusta circa il suo ultimo membro, perché esso non dovrebbe essere un diminutivo all’origine ma un membro tautologico rispetto agli altri due. C’è una possibilità che la parola fosse inizialmente *luc-engola e che si sia incrociata con il lat. lusc-u(m) ‘losco, cieco’ a causa della sua cattiva e inveterata fama di essere cieca, come sappiamo. Ma esiste nel meridione anche la voce lusc-erta ‘lucertola’, animale che non è cieco, nemmeno nella credenza popolare.  Allora vedo la possibilità che agisca dal profondo la radice di lat. lusc-ini-a(m) ‘usignolo’, in quanto animale.

 Il lucignolo della candela o del lume ad olio naturalmente non deve il nome alla luce che promana da esso ma al tardo lat. lic-in-iu(m) luc-in-iu(m) 'stoppino, stuello'', lat. lici-u(m)'liccio,filo'L'espressione sembrare, essere ridotto ad un lucignolo 'essere magrissimo' credo provenga, non dalla nozione di “lucignolo” in sè, ma da quella di “filo” o probabilmente da altra radice come quella dell'aggettivo abr. licchë licchë 'magro stecchito', aggettivo abr. lichë, detto di pianta  “vizza o sopraffatta dalla siccità”[6], voci a mio avviso in rapporto con la radice di a.a.tedesco lecch-en 'diventare secco'. 

   E così siamo arrivati alla stessa parola it. orb-ett-ino[7], un’altra vittima della congiura ordita dalla tradizione per impedire ogni possibilità di arrivare all’etimo profondo. Quasi tutti i linguisti, senza batter ciglio, credo si precipitino a ripetere in tutta tranquillità che la derivazione del nome è chiarissima, data la credulità del popolino riguardo alla cecità dell’animale. Il termine col doppio diminutivo fa riferimento all’aggett. lat. orb-u(m) ‘orbo, privo di vista’. E così si lasciano sfuggire la possibilità di confrontarlo col gr. horpet-ón, variante eolico-dorica di ionico herpet-ón ‘rettile, serpente’ ma anche ‘animale in genere, quadrupede’(v. vocab. del Rocci). In latino la parola corrispondente è rappresentata dal verbo serp-ere ‘serpeggiare’ con la fricativa /s/ iniziale intatta, ma il latino come noi lo conosciamo è solo una delle tante lingue e dialetti che hanno lambito il suolo italico nel lontano passato.  In Veneto una delle voci per lucertola è bisa-orba[8]. Sarebbe orba anche la lucertola? Sicchè l’innocuo orbett-ino, al dilà dei falsi diminutivi e dell’accanitamente falsa storia della sua cecità, riacquista finalmente  la sua naturale condizione di ‘animale (strisciante)’.

Questo tipo di convinzioni, specie se dovute a pregiudizi incarniti nella tradizione, operano guasti irrimediabili in tutti i tempi: anche in latino l’orbettino era chiamato caec-ilia ’cecilia’, fatto derivare da lat. caec-u(m) ‘cieco’, in barba alla santa siracusana che era di là da venire. Ma anche qui si trascura il fatto che il termine aveva un largo spettro di significati, come ‘specie di lattuga’, e che la sua radice, secondo me, si ritrova nell’abruzzese chëc-onë, chic-onë [9]‘grossa lumaca’: miopia e credulità senza scampo  della mente umana[10]!
  
  
  
  




[1]  Presumibilmente anche nelle altre lingue la nozione di “luce” l’ha fatta da padrona nel designare il coleottero, sostituendosi a precedenti parole omofone indicanti l’insetto in quanto “animale”.

[2] Cfr. Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani, UTET Torino 1998 s. v. lucìgnola.

[3] Cfr. sito web: https://www.persee.fr/doc/roma_0035-8029_1913_num_42_166_4737

[4] Cfr. sito web: http://www.dialettando.com/dizionario/detail_new.lasso?id=49687

[5] Cfr. etimo di luscengola dato nel vocabolario italiano di Tullio De Mauro sotto il lemma.

[6] Cfr. D.Bielli, Vocabolario abruzzese, Adelmo Polla editore, Cerchio-Aq. 2004.

[7] Il termine è attestato abbastanza tardi in italiano (1875) ma sicuramente avrà dormito i suoi lunghi sonni all’ombra di qualche dialetto.


[8] Cfr. sito web: http://www.dialettando.com/dizionario/detail_new.lasso?id=49687

[9] Cfr. D.Bielli, Vocabolario abruzzese, Adelmo Polla editore, Cerchio-Aq 2004.

[10]  Però, in questo modo la Lingua, l’ho spiegato altrove, riesce a produrre quelle specializzazioni che sono vitali ad una comunicazione il più possibile chiara e precisa. 


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