Secondo me uno degli errori più
gravi che i linguisti hanno sempre commesso e commettono tuttora è quello di
dar retta a quanto la tradizione loro ammannisce, a volte sin da epoche
lontanissime, sul comportamento e anche le caratteristiche di certi animaletti lasciandosene
influenzare a tal punto da credere senza tentennamento che i loro nomi ne siano
la naturale conseguenza. E non si
accorgono affatto che, al contrario, sono stati proprio i significati di
superficie dei loro nomi, a dare il via a quella tradizione la quale quindi
viene a costituire un ostacolo insormontabile alla individuazione delle giuste etimologie
che solitamente portano a concetti molto
più generici situati al di sotto di quelli che sembrano i più credibili perché,
oltre ad essere a portata di mano, sembrano giustificati dalla tradizione. Sicchè il complotto tra significati di
superficie, caratteristiche più o meno importanti degli animaletti e tradizione finisce con l’ottundere
l’intelligenza del ricercatore, senza rimedi.
La Lingua, come altre volte ho sottolineato, mira all’essenza della cosa
o dell’essere vivente da rappresentare, essenza che per gli esseri viventi
corrrisponde, ne sono sempre più convinto, alla loro “animalità”, concetto che
del resto nella fase animistica della umanità riguardava anche le cose. Affermo ciò con forza perché mi sono accorto, ad esempio, che l’it.
lucciola non trae la sua origine
remota dalla “luce” che questo caratteristico coleottero emette d’estate come
richiamo sessuale. Il nome, precedentemente, aveva un valore generale di
‘insetto, animale’ e solo incrociandosi successivamente con la parola lat. luc-e(m) ha assunto il significato specialistico che conosciamo[1]. Il fatto è che esiste nel dialetto toscano il
termine lucìa indicante diversi coleotteri, come la coccinella, e messo
in rapporto da tutti i linguisti con quello di Lucia, la Santa
siciliana accecata[2]. Troppo semplice e comodo, in un certo senso,
spiegare l’etimo delle parole in questo modo! Ma prima che si diffondesse il
culto della Santa questi coleotteri non dovevano già avere tra il popolo i loro
bravi nomi? ed essi sarebbero improvvisamente scomparsi, sostituiti da quello della Santa? Come subito vedremo, la
spiegazione non può essere questa.
Ora, sempre nel dialetto toscano, la voce lucìa e suoi derivati
come luc-ìgnola, luc-ìgnolo, luc-ióla indicano l’orbettino,
un serpentello ritenuto popolarmente cieco per via dei suoi piccolissimi occhi.
Va da sé che i linguisti attribuiscono questo nome, come vuole la tradizione
popolare, alla Santa siciliana. Io sono
invece incline a supporre che questi nomi vadano messi in rapporto con la prima
componente dell’it. luc-ert-ola, termine
che secondo me esisteva già nei dialetti contemporaneamente a quello di lat. lac-ert-a(m) che significa ‘lucertola’ e ‘specie
di scombro’. Anche il lat. luc-iu(m) indicava un pesce, il luccio.
Il motivo di questo allargarsi dei significato è secondo me dovuto al fatto
che, come ho più volte rimarcato, il valore iniziale dei termini era molto
generico, corrispondente in questi casi a quello di ‘animale’. Che la voce luc-ert-ola vada scomposta così me lo conferma il nome che
l’animaletto ha a Lecce, in Puglia, e cioè lucertone
erde, o lucerta erde[3] in cui erde equivale al secondo
membro di luc-ert-ola. In Trentino Alto Adige la bis-èrd-ola è la
‘lucertola’, come una delle diverse voci
venete per ‘lucertola’ è bis-ard-ola[4],
il cui primo membro corrisponde all’it. biscia.
Un’altra conferma mi viene dal ted. Erd-schnecke ‘lumaca’ che però letteralmente suona ‘lumaca (-schnecke) di terra (Erd-)’, termine composto
che si presta a definire meglio di che tipo di lumaca si tratta, di quella
terrestre, anche se essa può essere indicata dal semplice Schnecke ‘lumaca’. Inizialmente,
prima che si affermassero i tipici composti germanici con un determinante (il
primo componente) e un determinato (il secondo componente), si trattava di composto tautologico. Aggiungo che l’etimo di questa parola
corrisponde a quello di inglese snail
‘lumaca’ e di ingl. snake ‘serpente’.
Alla nostra mente immersa ora in una pletora di specializzazioni i due animali possono sembrare molto diversi,
ma la mente primordiale vedeva in essi appunto degli animali, magari ‘striscianti’.
La voce italiana lusc-éng-ola ‘orbettino’ è di facilissimo etimo, nonostante i
contorcimenti dei linguisti per spiegarlo. Il primo membro è il tardo lat. lusc-a(m)[5] ‘lucertola’; il secondo non è che la
radice del gr. énkhel-ys
‘anguilla’. Il lat. angu-ill-a(m) è considerato diminutivo di lat. angu-e(m) ‘serpente’ ma la parola greca mi fa pensare che il membro –ill- fosse in realtà tautologico col
significato di ‘anguilla’, se in inglese questo pesce è chiamato eel, in ted. Aal. Allora
anche il termine lusc-éng-ola non ce la racconta giusta circa
il suo ultimo membro, perché esso non dovrebbe essere un diminutivo all’origine
ma un membro tautologico rispetto agli altri due. C’è una possibilità che la parola
fosse inizialmente *luc-engola e che si
sia incrociata con il lat. lusc-u(m) ‘losco, cieco’ a causa della sua cattiva e inveterata fama di
essere cieca, come sappiamo. Ma
esiste nel meridione anche la voce lusc-erta ‘lucertola’, animale che
non è cieco, nemmeno nella credenza popolare.
Allora vedo la possibilità che agisca dal profondo la radice di lat. lusc-ini-a(m) ‘usignolo’, in quanto animale.
Il lucignolo della candela o del
lume ad olio naturalmente non deve il nome alla luce che promana da esso
ma al tardo lat. lic-in-iu(m) o luc-in-iu(m) 'stoppino, stuello'', lat. lici-u(m)'liccio,filo'. L'espressione sembrare, essere ridotto ad un
lucignolo 'essere magrissimo'
credo provenga, non dalla nozione di “lucignolo” in sè, ma da quella di “filo”
o probabilmente da altra radice come quella dell'aggettivo abr. licchë licchë 'magro stecchito', aggettivo abr. lichë, detto di pianta “vizza o sopraffatta dalla siccità”[6], voci a mio avviso in rapporto con la radice di a.a.tedesco lecch-en 'diventare secco'.
E così siamo arrivati alla stessa parola it. orb-ett-ino[7],
un’altra vittima della congiura ordita dalla tradizione per impedire ogni
possibilità di arrivare all’etimo profondo. Quasi tutti i linguisti, senza
batter ciglio, credo si precipitino a ripetere in tutta tranquillità che la
derivazione del nome è chiarissima, data la credulità del popolino riguardo
alla cecità dell’animale. Il termine col doppio diminutivo fa riferimento all’aggett. lat. orb-u(m) ‘orbo, privo di
vista’. E così si lasciano sfuggire la possibilità di confrontarlo col gr. horpet-ón, variante eolico-dorica di ionico herpet-ón ‘rettile, serpente’ ma anche ‘animale in genere,
quadrupede’(v. vocab. del Rocci). In latino la parola corrispondente è
rappresentata dal verbo serp-ere ‘serpeggiare’ con la fricativa /s/ iniziale intatta, ma il
latino come noi lo conosciamo è solo una delle tante lingue e dialetti che
hanno lambito il suolo italico nel lontano passato. In Veneto una delle voci per lucertola è bisa-orba[8].
Sarebbe orba anche la lucertola? Sicchè l’innocuo orbett-ino, al dilà dei falsi diminutivi e
dell’accanitamente falsa storia della sua cecità, riacquista finalmente la sua naturale condizione di ‘animale
(strisciante)’.
Questo tipo di convinzioni, specie se dovute a pregiudizi incarniti nella
tradizione, operano guasti irrimediabili in tutti i tempi: anche in latino
l’orbettino era chiamato caec-ilia ’cecilia’, fatto derivare da lat. caec-u(m) ‘cieco’, in barba alla santa siracusana che era di là da
venire. Ma anche qui si trascura il fatto che il termine aveva un largo spettro
di significati, come ‘specie di lattuga’, e che la sua radice, secondo me, si
ritrova nell’abruzzese chëc-onë, chic-onë [9]‘grossa
lumaca’: miopia e credulità senza scampo
della mente umana[10]!
[1] Presumibilmente anche nelle altre lingue la
nozione di “luce” l’ha fatta da padrona nel designare il coleottero, sostituendosi
a precedenti parole omofone indicanti l’insetto in quanto “animale”.
[4]
Cfr. sito web: http://www.dialettando.com/dizionario/detail_new.lasso?id=49687
[5]
Cfr. etimo di luscengola dato nel
vocabolario italiano di Tullio De Mauro sotto il lemma.
[6] Cfr.
D.Bielli, Vocabolario abruzzese, Adelmo
Polla editore, Cerchio-Aq. 2004.
[7]
Il termine è attestato abbastanza tardi in italiano (1875) ma sicuramente avrà dormito
i suoi lunghi sonni all’ombra di qualche dialetto.
[8]
Cfr. sito web: http://www.dialettando.com/dizionario/detail_new.lasso?id=49687
[9]
Cfr. D.Bielli, Vocabolario abruzzese,
Adelmo Polla editore, Cerchio-Aq 2004.
[10] Però, in questo modo la Lingua, l’ho spiegato
altrove, riesce a produrre quelle specializzazioni che sono vitali ad una
comunicazione il più possibile chiara e precisa.
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